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La strada verso l’accettazione

Lasciare andare ciò che non è possibile modificare


In un’epoca costellata da continui cambiamenti risuona, quasi in modo antitetico, un mantra che si ripropone di continuo nelle nostre vite e che ne è stato oggetto di interesse fin dall’antichità: l’accettazione.

La filosofia, e la religione, per millenni hanno dibattuto su questo tema e hanno dato un loro fondamentale contributo ad alleviare la sofferenza degli esseri umani.

Filosofi stoici come Zenone, Seneca e Marco Aurelio sottolineavano come ogni cosa avesse un fine e non capitasse per caso, una sorta di “disegno più grande e razionale” e che, quindi, tutti gli eventi, belli o brutti che siano, hanno sempre una ragione e un loro scopo, e noi non possiamo fare altro che accettarli, accoglierli come sfide da superare e come doni per cui essere grati.

Le avversità non erano viste come circostanze negative bensì come il completamento del bene: l’uno non esiste e non si comprenderebbe senza l’esistenza dell’altro.

Veniva a delinearsi, così, una funzione terapeutica della filosofia: come scienza che consentiva agli esseri umani di ottenere la tranquillità dello spirito e il coraggio di affrontare le difficoltà e i dolori della vita ordinaria.

Ma a quali condizioni gli esseri umani possono essere felici?


La sofferenza della non accettazione

Ognuno di noi possiede aspetti del proprio sé poco piacevoli o, in alcuni casi, disprezzati: sono parti rigettate, combattute e inibite.

Possono riguardare tratti di personalità, caratteristiche fisiche o caratteriali sottoposte a continua autocritica e a tentavi estenuanti di controllo e gestione.

Restano lì, silenti, influenzano in modo implicito i nostri schemi di pensiero, le nostre emozioni e i nostri comportamenti, generando continua sofferenza.

La tendenza a evitare determinate esperienze, sebbene talvolta allevi il disagio nell’immediato, ha un effetto a lungo termine paradossale: impedisce alla persona di mettere in discussione le proprie credenze, alimentando la patologia.

Evitamento, soppressione, distrazione, auto – inganno, sono tutte strategie cognitivo – emotive che incrementano la frequenza, e l’intensità, di comparsa di quei pensieri, emozioni, sensazioni che si volevano eliminare: “il tentativo di controllare esperienze private è il problema e non la soluzione” (Hayes et al., 2004).

La richiesta di aiuto psicologico origina proprio da qui: dalla mancata accettazione. 


L’accettazione come processo terapeutico

In qualsiasi forma di psicoterapia è basilare lavorare sull’accettazione in ogni sua valenza: accettazione della propria storia di vita, del fatto che alcuni legami possono finire, dell’ingiustizia di alcuni eventi, delle emozioni indesiderate, di parti del proprio corpo denigrate.

Il paziente giunge in seduta riportando il suo punto di vista sui problemi che lo affliggono e ripone in noi la speranza di un nostro lavoro terapeutico immediato che porti alla cancellazione del dolore che sta provando.

In realtà la psicoterapia è un processo fatto di tempo, costanza e impegno, proprio perché ciò che è richiesto al paziente è lo sforzo, non di subire passivamente ciò che accade, ma di accettare l’inevitabilità degli eventi di vita, anche se questo comporta l’entrare a contatto con esperienze interne/esterne spiacevoli.

Sebbene nel linguaggio comune il termine “accettare” rimandi alla disponibilità, all’accoglienza di quanto accade, o di quanto ci viene offerto, e quindi a reagirvi con gratitudine, dall’altro lato, sembra suggerire la rassegnazione e sopportazione di situazioni che, in un modo o nell’altro, dobbiamo subire.

Un altro significato, che rientra in un’accezione psicologica più ampia, è di considerare l’accettazione come un disinvestimento di energie su ciò che non può essere modificato e di impegnarsi, invece, in risorse e comportamenti funzionali a costruire una vita guidata da scopi e desideri che rientrano nelle possibilità del soggetto (Perdighe, 2021).

Lo psicoterapeuta, all’interno di questo processo, è indispensabile nell’aiutare il paziente a realizzare che pensieri, emozioni, e sensazioni, possono non essere rigidamente controllate, ma che è possibile accettarne la loro comparsa valutando strade alternative di gestione.

Il paziente pian piano scoprirà che impegnandosi è in grado di raggiungere i propri obiettivi, malgrado la presenza di quegli inevitabili ostacoli che si presentano nella vita di ogni essere umano.


Consapevolezza del cambiamento

L’accettazione non ha valore assoluto, non è incondizionata a tutto ciò che di negativo accade nella vita, al contrario aiuta il paziente ad essere consapevole del fatto che egli è nelle facoltà di poter modificare ciò che può essere cambiato, modellando la sua esperienza secondo i suoi desideri e valori personali.

Accogliere, e normalizzare, assieme al paziente emozioni di rabbia, o di dolore, pensieri ripetitivi e colpevolizzanti, fa capire a chi sta dall’altro lato della scrivania che queste sono tutte espressioni della propria esperienza contingente e che quello che sta accadendo è difficile da accettare.

Perché non dovrebbe esserlo? La nostra mente funziona per scopi che ognuno di noi si prefigge e se qualcosa minaccia, o ostacola, i nostri obiettivi, la nostra reazione sarà tesa affinché questo non accada.

Ma qual è il costo di controllare ogni aspetto della propria vita per evitare che la minaccia si realizzi? A quali altri obiettivi dovrò rinunciare? Cosa sto perdendo di buono e di importante nel tentativo sopprimere, neutralizzare o evitare che qualcosa di brutto accada?

Una vita piena, che lo si voglia o meno, include anche esperienze aversive, problemi, delusioni, emozioni che possono essere negative, ma sono tante anche le esperienze, le sensazioni e vissuti positivi che la persona sperimenta durante l’arco della propria vita.

Accettiamo che non è possibile non provare emozioni spiacevoli, e che non esiste una vita scevra di difficoltà.

Accettiamo la possibilità che è possibile fallire e che dietro ogni fallimento c’è sempre una nuova scoperta, così come scrisse C. Rogers: “Lo strano paradosso è che quando accetto me stesso per come sono, allora posso cambiare”.


Dott.ssa Valeria Pecoraro Autrice presso La Mente Pensante Magazine
Dott.ssa Valeria Pecoraro
Psicologa | Specializzanda in Psicoterapia Cognitiva
Bio | Articoli
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