Corpo, mente, emozioni: l’Alessitimia e la Psicoterapia Sensomotoria
Radici e sviluppi traumatici dell’alessitimia; la psicoterapia sensomotoria come proposta terapeutica e strumento di trasformazione emotiva
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L’alessitimia è una condizione complessa, la cui etimologia deriva dal greco “α-“ «mancanza»; “λέξις” «parola»; “θυμός” «emozione». Il significato letterale corrisponderebbe a “mancanza di parole per (esprimere) le emozioni“, definizione coniata dai promotori che introdussero tale costrutto nella comunità scientifica, Nemiah e Sifneos (1970).
L’alessitimia può essere paragonata a una sorta di “nebbia emotiva” che offusca la capacità di vedere, comprendere e comunicare le emozioni in modo chiaro e nitido. Questa fosca nebbia rende difficile cogliere chiaramente le proprie emozioni o percepire a pieno le sensazioni degli altri ed interferisce con la personale capacità di interpretare pienamente ciò che si prova, di comprendere appieno i segnali emotivi che vengono trasmessi e di tradurli in parole e concetti chiari.
Essere alessitimici, dunque, non vuol dire essere privi di emozioni oppure inibirle o rifiutarle. Infatti, i soggetti alessitimici possono far riferimento, attraverso parole ed eventi, a determinati stati emotivi ma, di fatto, hanno difficoltà a definire cosa significhi sentirsi in questi modi, a snocciolare il vero significato di tale emozione. Questa difficoltà a connettersi emotivamente può rendere più complicato stabilire legami empatici o comunicare in modo efficace ciò che si prova. Può verificarsi un senso di disconnessione nelle interazioni sociali ed un isolamento emotivo. Questa condizione può avere un impatto significativo sulla vita quotidiana: la capacità di comprendere e gestire le emozioni è importante per il benessere emotivo dell’individuo ed il suo sviluppo.
Alessitimia: origine, caratteristiche, correlazioni
L’individuazione dell’alessitimia venne inizialmente condotta da Paul MacLean attraverso una serie di osservazioni cliniche condotte su pazienti affetti da malattie psicosomatiche classiche (come ipertensione, ulcera, asma o eczema) e notò come questi fossero tra loro accumunati da una capacità deficitaria nell’accedere e verbalizzare le proprie emozioni.
La ricerca sul costrutto di alessitimia è stata, durante gli ultimi decenni, oggetto di grande attenzione da parte della comunità scientifica. Attraverso i numerosi studi e dibattiti condotti circa la sua natura, ci hanno condotto a definirla come un costrutto dimensionale che si estende lungo un continuum (che va da uno stato patologico ad uno normale) soggetto ad un’ampia variabilità nella sua manifestazione: include un insieme di caratteristiche affettive e cognitive di cui le più salienti riguardano la difficoltà nell’identificare i sentimenti e nel riuscir a distinguere da sensazioni fisiche di attivazione emotiva; la difficoltà nel descrivere tali sentimenti ad altre persone; scarse capacità di immaginazione; uno stile cognitivo concreto e scarsamente introspettivo.
Oltre a questi, sono state notate anche delle caratteristiche più “accessorie” e non sempre presenti ed essenziali per la definizione del disturbo, come una scarsa empatia; somatizzazione; ridotta elaborazione onirica; a-mimia; difficoltà a riconoscere le emozioni attraverso le espressioni facciali. Al disturbo può essere unito un comportamento evitante o dipendente ed una personalità tendente al conformismo.
Nelle diverse analisi, si è dimostrato come l’alessitimia sia associata ad un’ampia gamma di disturbi medici e psichiatrici, come con il disturbo post-traumatico da stress; con i disturbi da uso di sostanze; con diversi disturbi di personalità; con i disturbi depressivi; con i disturbi alimentari; con i disturbi di panico; con alcune malattie somatiche ed anche con diversi disturbi funzionali dell’apparato gastrointestinale. Inoltre l’alessitimia, entrando in correlazione con tali disturbi, porterebbe ad un aggravamento di essi poiché tale condizione genererebbe uno stato di iper-vigilanza ed irritabilità nell’individuo.
Il ruolo della regolazione affettiva sull’emozione e le conseguenze del trauma relazionale
Contributi importanti vennero forniti dal filone delle neuroscienze contemporanee per cui viene accertata la connessione mente-corpo nell’attivazione emotiva e definita la regolazione affettiva come essenziale per il benessere dell’individuo: per Damasio, regolare l’affetto significa di conseguenza regolare il corpo. L’affetto rappresenta il nostro “core” e quando esso è regolato, funzioniamo in maniera ottimale. Viceversa, quando è disregolato è radice di diversi disturbi psicologici.
Con il termine “regolazione affettiva“, s’intende la capacità di identificare, descrivere e modulare le emozioni. Tale abilità viene acquisita e potenziata dal soggetto nelle diverse fasi dello sviluppo e costituisce il principale compito di ogni genitore: la corrente psicodinamica ha più volte ribadito l’importanza delle prime relazioni nella regolazione degli affetti, sottolineando l’importanza di un caregiver riflessivo, sensibile, responsivo ai bisogni manifestati dal figlio e con il quale riesce ad instaurare un pattern di attaccamento sicuro.
E’ proprio attraverso un attaccamento sicuro con il proprio caregiver che si determina nel bambino un buono sviluppo emotivo e buone capacità di mentalizzazione (riferita a quella capacità di comprendere l’esistenza delle nostre emozioni e quelle degli altri e di intendere i comportamenti come il frutto di questi stati emotivi). La regolazione affettiva del bambino si costruisce perciò attraverso le capacità regolative del genitore stesso.
Sviluppare resilienza affettiva, ossia la capacità recuperare e mantenere le nostre capacità adattive e regolative dopo un evento particolarmente carico emotivamente e stressante, è cruciale per un funzionamento adeguato della persona.
Nell’alessitimia queste capacità di consapevolezza affettiva e di mentalizzazione, invece, vengono a mancare: è possibile ricollegare tutto ciò ad uno stile di attaccamento insicuro, associato a vissuti infantili di trascuratezza e/o abuso fisico e/o emotivo. E’ proprio il trauma infantile a rompere quei processi psicologici che guidano la nostra mente attraverso la comprensione e la gestione delle emozioni. Il trauma può alterare tali capacità rendendo più difficile per la persona identificare le proprie sensazioni e integrarle nella propria esperienza emotiva: gli stati affettivi dolorosi non riescono ad essere elaborabili e modulabili, generando confusione o di paura verso i propri sentimenti.
E’ stato dimostrato come l’alessitimia, oltre a rappresentare un deficit metacognitivo, rappresenterebbe anche una particolare forma di processo dissociativo conseguente al trauma e viene definita, in maniera più specifica, come “alessitimia post- traumatica“.
Uno sguardo alla psicoterapia sensomotoria
La scelta della terapia dipende dalle esigenze specifiche del paziente e dalla modalità con cui preferisce affrontare le proprie emozioni. La psicoterapia sensomotoria, un approccio sviluppato intorno gli anni ’80 da Pat Ogden e le cui radici affondano nelle tecniche di mindfulness, può essere facilmente combinato ed integrato con tutti i principali modelli di intervento clinico e venire in aiuto del terapeuta proprio quando i tradizionali metodi di approccio mostrano i loro limiti. La psicoterapia sensomotoria può essere particolarmente utile per le persone che hanno vissuto traumi o che hanno difficoltà a elaborare ed esprimere le proprie emozioni: è un intervento che si concentra sulle sensazioni fisiche e sul modo in cui il corpo reagisce alle emozioni. Il corpo, infatti, rappresenterebbe la sede ed il teatro delle memorie traumatiche, mentre la mente ne conserverebbe un ricordo vago e frammentato. Questa terapia mira a creare una maggiore consapevolezza e a favorire la guarigione attraverso l’esplorazione delle sensazioni fisiche e delle esperienze emotive.
La terapia sensomotoria può offrire diverse modalità per aiutare una persona alessitimica a comprendere e gestire meglio le proprie emozioni: il terapeuta incoraggia il paziente ad esplorare ed esprimere le proprie emozioni in un ambiente di supporto e accettazione, guidandolo nell’esplorare come le emozioni si manifestano nel corpo utilizzando domande come “Cosa prova nel suo corpo quando pensa a questo?”; “Come incide nel suo corpo questo stato emotivo?”; “Dove sente nel corpo questo stato emotivo?”.
La terapia coinvolge perciò movimenti corporei guidati che aiutano il paziente a esprimere e rielaborare in modo più efficace le esperienze emotive passate. Si sfrutta la consapevolezza del corpo per comprendere come le esperienze passate possano influenzare la postura, la respirazione, la tensione muscolare e altre sensazioni corporee.
Altra finalità della psicoterapia sensomotoria è quella di permettere un’integrazione tra mente e corpo, rispetto l’esperienza emotiva e la consapevolezza corporea.
Il paziente impara a diventare consapevole del proprio corpo, acquisendo progressivamente la capacità di regolazione emotiva e di autoriflessività migliorando la propria autostima ed il senso di autoefficacia. L’obiettivo della psicoterapia sensomotoria è quindi quello di migliorare la capacità del paziente di regolare l’estrema attivazione somatica causata da emozioni disregolate, promuovendo un senso di padronanza sul proprio corpo supportando l’autoriflessione, i processi metacognitivi, migliorando la propria l’autostima ed il senso di efficacia del paziente.
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Dott.ssa Eleonora Scancamarra
Psicologa Clinica
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