L’ansia: nemica o amica?
Controllare o gestire l’ansia: le differenze
Siamo abituati a pensare all’ansia come ad una condizione negativa, ad un’emozione da combattere e contrastare, dalla quale fuggire. Qualcosa contro cui ribellarsi, o sotto la quale soccombere. Come se con l’ansia valesse il principio “controllare o essere controllati“. Non la vogliamo, non la accettiamo.
“Basta ansia, basta stress, voglio stare tranquillo. Come la mando via?” ce lo siamo chiesti tutti, e sono sicura che ancora ce lo chiediamo. E allora si forma in noi la credenza che l’Ansia sia il mostro malvagio che rovina la vita delle persone, tenendo in ostaggio la nostra tranquillità. Come ogni Cattivo delle storie che si rispetti, siamo convinti che l’unico modo per ottenere l’agognata pace sia quello di sconfiggerla, di annientarla, di annichilirla. Così che sparisca per sempre, o per lo meno non abbia più il coraggio di farsi vedere in giro.
E se invece l’Ansia non fosse il nemico da sconfiggere? E se l’unico modo per ottenere la pace fosse il deporre le armi?
Cosa, da dove e perché?
Per comprendere meglio l’Ansia, dobbiamo prima conoscerla. Sapere cosa è, da dove deriva, perché esiste, e con quale scopo. Perché sì, l’Ansia ha uno scopo.
Partiamo dunque dal principio: l’Ansia è un’emozione, e fin qui siamo tutti d’accordo. Le emozioni, basandoci sugli studi e sulle ricerche di Ekman, si distinguono tra Primarie e Secondarie: le prime (gioia, tristezza, rabbia, paura, sorpresa, disgusto) accomunano tutte le popolazioni ed anche gli animali, mentre le seconde nascono dalle interazioni sociali e si sviluppano a partire dalla combinazione delle prime. L’Ansia si può definire un’emozione secondaria intrinsecamente legata alla Paura.
Difatti, l’Ansia è una condizione adattiva dell’organismo, una condizione energetica dell’affettività: non è una reazione che si attiva volontariamente, nasce in risposta ad uno stimolo e ci predispone ad interfacciarci con una data esperienza. Allo stesso modo della Paura, da cui deriva, il meccanismo ansioso è un meccanismo filogenetico, ovvero un meccanismo protettivo dell’organismo.
Proprio per queste caratteristiche evolutive, non è possibile vivere senza Ansia.
Nella pratica dunque, l’Ansia è una condizione di per sé adattiva e non patologica che ci predispone ad uno stato di Allerta nei confronti di un Pericolo o di una Minaccia imminente percepita. Allo stesso modo della Paura, ci prepara mentalmente e fisicamente ad affrontare qualcosa o a sottrarcene (la classica risposta di Attacco o Fuga).
Eustress: lo stress buono
Sebbene possa sembrare incredibile, l’ansia e lo stress non sono dunque sempre e solo dannose. Per distinguere questa accezione più positiva da quella comunemente intesa come negativa, sono stati coniati e differenziati due termini in particolare: Eustress e Distress.
Il Distress è dato dall’ansia per come comunemente la intendiamo noi, ovvero quella nociva che ci esaspera, ci frustra e ci rema contro.
Con Eustress invece (la cui radice “eu” deriva dal greco e significa “buono”) si fa riferimento a quell’attivazione affettiva e fisiologica che nasce in noi in relazione a degli stimoli ambientali ed esterni considerati stimolanti e costruttivi, come ad esempio il superamento di una sfida che può portarci alla conquista di un qualche tipo di soddisfazione. Proviamo a presentare due esempi di Eustress in questo senso:
- L’ottenimento di una promozione lavorativa, la quale sicuramente ci conferisce ansia dovuta all’aumento di responsabilità, compiti e oneri, ma dall’altra ci nutre dal punto di vista del riconoscimento personale, dell’autostima e dell’autoefficacia.
- La classica ansia pre-esame che, se da un lato rischia di compromettere la nostra performance soprattutto da un punto di vista orale, dall’altro ci aiuta a riattivare più rapidamente ed in maniera più efficace i ricordi legati al materiale studiato, facendoci di fatto superare la prova (con tutta la soddisfazione che ne consegue).
Le condizioni che contraddistinguono dunque uno Stress ed un’Ansia “buoni” da uno Stress ed un’Ansia “cattivi” possono essere ritrovati in particolare nella presenza di due fattori.
Innanzitutto la condizione esterna che causa e provoca in noi ansia deve poter mettere in relazione tra di loro il suo eventuale superamento con l’ottenimento e la conquista di una qualche forma di soddisfazione personale. In secondo luogo la durata di questo stato d’ansia deve necessariamente essere breve.
Quest’ultimo punto in particolare è importante perché, come si è visto soprattutto grazie e attraverso numerosi studi sui disturbi da stress lavoro-correlati, un’eccessiva e continuata esposizione ad una condizione d’ansia (e dunque di minaccia percepita) senza la possibilità di sottrarsi o di mettere in pratica soluzioni e strategie di coping efficaci (dunque senza poter Fuggire ma anche senza poter Attaccare) rischia di inficiare notevolmente la nostra condizione di benessere psico-fisico.
Controllare l’Ansia
Tralasciando discorsi ed approfondimenti sulle patologie legate all’Ansia (ad esempio attacchi di panico, disturbo d’ansia sociale o generalizzato, disturbo post-traumatico da stress, disturbo dell’adattamento e disturbi da stress lavoro-correlati) poiché necessiterebbero giustamente di spazi e tempi più adeguati alla loro dissertazione, proviamo a prendere in considerazione quegli aspetti dell’Ansia più ordinari e che ci accomunano nella loro esperienza quotidiana.
Chi tra di noi è solito definirsi una persona “ansiosa” sa benissimo quanto sia difficile e frustrante mettersi in gioco e doversi interfacciare con determinate situazioni ed esperienze che riattivano in noi quel senso di paura e minaccia di cui abbiamo parlato in precedenza. Alle tipiche conseguenze di un’attivazione fisiologica e neurovegetativa (es. tremori, sudorazione, tachicardia, capogiri etc.) si possono accompagnare i più classici pensieri del tipo “Non ce la posso fare, andrà tutto male, farò una figuraccia, etc”.
La strategia più comune a questo tipo di reazione è solitamente cercare di tranquillizzarsi o attraverso tecniche di rilassamento centrate sul respiro (di per sé molto efficaci), oppure cercando di autoconvincersi del fatto che il pericolo imminente non esiste, che andrà tutto bene e che non c’è motivo di stare così male.
La peculiarità di entrambe queste strategie è il fatto che mirino a controllare l’ansia, anziché gestirla. Il loro scopo pare essere quella di farla sparire.
Se la prima tecnica di fatto è capace di apportare un cambiamento facendo leva sulla connessione corpo-mente, è necessario tuttavia avere a disposizione il giusto tempo e le giuste condizioni facilitanti il suo svolgimento, e non sempre tali condizioni si rendono possibili. La seconda strategia sembra invece partire dal presupposto inverso (ovvero modifico le mie cognizioni ed il mio pensiero per poter modificare le mie sensazioni corporee), ma è ancora più ardua e spesso fallimentare. Questo perché, come detto, l’Ansia ha senso di esistere.
È lì per un motivo e sta cercando di dirci qualcosa, come una sorta di “Attenzione! Qua sta per accadere qualcosa che per te ha un forte valore”.
Il problema è che a volte non sappiamo cosa sia questo “qualcosa” e non sappiamo a quanto ammonti questo “valore”.
Dunque anziché provare a interrogarci su di noi viene molto più semplice cercare di scacciare l’emozione fastidiosa in superficie. In questo senso, cercare di controllare l’Ansia significa cercare di dominarla, di sovrastarla, di avere la meglio su di lei facendola sparire, o almeno facendo in modo che non sfugga al nostro dominio. Cosa pressoché impossibile, se non per tempi davvero molto brevi, e questo ovviamente può generare ulteriore frustrazione.
Gestire l’Ansia
Ma cosa significa invece gestire l’Ansia? Gestire l’Ansia non significa combatterla, ma neppure arrendersi ad essa. Significa accettare che io la possa provare e la stia provando. Significa legittimarla ad esistere.
Proviamo a pensare ad un marinaio in mezzo ad un mare in tempesta: il marinaio non può controllare la tempesta, né fingere che non esista. Ciò che può fare invece è cercare di rimanere a galla nonostante la tempesta, non navigando contro le onde ma tra di esse.
Gestire l’Ansia significa dunque accettare che dentro di noi il mare è mosso e che determinate situazioni o contesti contribuiscono – e contribuiranno – ad incresparlo. Significa anche imparare a conoscere il mare in cui si naviga e le sue correnti, sapere da dove arrivano i suoi venti e dove si trovano i suoi scogli, così da conoscere ed avere consapevolezza di quali siano i punti in cui la nostra nave risulterà più fragile, e perché.
Solamente con una tale conoscenza del mare (ovvero di se stessi) il marinaio saprà affrontare le acque in bufera, saldo nella sua scialuppa non senza paura, ma con la fiducia che oltre i cavalloni troverà il faro e la terraferma ad aspettarlo.
Per una buona Navigazione
Le osservazioni fin qui fatte ovviamente non intendono schierarsi né da una parte né dall’altra, ovvero non hanno lo scopo di prediligere un lavoro sulla gestione dell’ansia contro quello che utilizza delle tecniche di controllo.
L’intenzione è solamente quella di porre un focus sui due tipi di strade a disposizione e riconoscere le differenze ed i contributi di ciascuna. Se utilizzate con cognizione, quindi in scienza e coscienza, le più diffuse tecniche di meditazione e controllo del respiro, assieme ad adeguati esercizi cognitivi, sono sicuramente in grado di apportare benefici più o meno immediati sulla persona che ne abbia un urgente bisogno.
Dall’altra parte, un lavoro più approfondito sulla gestione e sull’accettazione dell’ansia potrebbe apportare conseguenze meno dirette ed immediate ma rivelarsi più efficace nel lungo termine.
Ciò implica andare a scandagliare con maggiore cura e attenzione le dinamiche ed i significati interni dell’individuo, aiutandolo a ritrovare dentro di sé quegli strumenti di navigazione più efficaci con cui poter affrontare autonomamente il mare aperto.
Dott.ssa Caterina Berti – Psicologa | Email |