La trappola dell’audismo
È tempo di cambiare prospettiva sulla sordità
Audismo è una parola coniata quasi cinquant’anni fa, eppure non sono così tante le persone a conoscerne il significato e, peggio ancora, le implicazioni pratiche.
No, non riguarda la nota casa automobilistica, ma un qualcosa di negativo che dovremmo cercare di eliminare dalle nostre vite.
In particolare, il termine audismo identifica la discriminazione delle persone sorde.
Presi dalla quotidianità, spesso non ci rendiamo conto di avere un approccio discriminatorio, magari manifestandolo in comportamenti che riteniamo innocenti, ma che di fatto sono figli di pregiudizi e stereotipi.
In questo senso, l’oppressione può manifestarsi in diversi modi.
Possiamo ad esempio valutare l’intelligenza, il successo e persino la felicità delle persone sorde in relazione alle loro abilità di capire ciò che diciamo e parlare.
Eppure, possiamo fare tanto per avere una società più inclusiva e che sappia sviluppare le potenzialità e valorizzare i talenti delle persone sorde.
Audismo per principianti
Fu Tom L. Humphries, nel 1975, studioso della deaf culture, a coniare il termine.
Ciò contribuì a porre in evidenza un fenomeno diffuso, la discriminazione delle persone sorde.
In effetti, nei secoli precedenti, molte culture usavano la facoltà di ascoltare e parlare come una sorta di discriminante tra civili e selvaggi.
Fino ad alla prima metà del Novecento (almeno), questo concetto era talmente popolare che alcuni pensatori pensarono (erroneamente) di trovarne il razionale scientifico nella teoria dell’evoluzione di Darwin-Wallace.
Nell’ultima parte del secolo scorso la situazione cominciò a cambiare.
Si cominciò ad avere coscienza della fallacia di questo ragionamento, anche grazie al lavoro di Humphries.
All’inizio era di nicchia, ma lentamente l’audismo cominciò ad acquisire popolarità.
Così, partendo dalle università, sempre più persone presero coscienza del problema.
Poi, gli studiosi approfondirono la complessità delle lingue dei segni, ovvero lingue a tutti gli effetti, ben diverse dai gesti che usiamo di solito tutti i giorni.
La neurolinguistica fece il resto e gli scienziati cominciarono ad avere consapevolezza di un quadro complessivo più ricco e variegato di quanto si pensava.
In quanti modi la società discrimina la sordità?
Con il tempo, gli studiosi capirono che la discriminazione delle persone sorde è un fenomeno complesso che assume diverse forme.
Primo, l’audismo individuale è un insieme di convinzioni che razionalizza la discriminazione.
Ad esempio, possiamo incontrare una persona sorda è trattarla come una persona malata, magari parlando al suo posto.
Altre volte possiamo superficialmente dare per scontato che la sordità impedisca di svolgere altre azioni (e.g., guidare).
Tutto partendo dall’assunto che la persona sorda non sia “normale“, qualunque cosa ciò possa voler dire.
Insomma, si tratta di una sorta di razzismo individuale.
Era in effetti così che, almeno inizialmente, Humphries l’aveva pensato.
Il secondo tipo di audismo è quello istituzionale che si esplica nell’organizzazione della società.
Le strutture mediche, educative e lavorative sono di solito organizzate sulla base del parlato.
Il risultato è che la società tende a dare solo un accesso impoverito alle persone sorde, con ricadute negative sui processi decisionali, ad esempio.
Un candidato si presenta ad un colloquio di lavoro e scopre che l’interprete della lingua dei segni che avrebbe dovuto esserci non si è presentato/a.
Così, la sordità diventa occasione di discriminazione nel mondo del lavoro.
Terzo, l’audismo del laissez-faire consiste nel riconoscere l’umanità della sordità, ma negando l’autonomia.
Ciò si verifica quando i governi trattano la sordità in maniera aggressiva, ad esempio spingendo per interventi chirurgici e utilizzo di impianti, soprattutto nei bambini.
Questa è, di per sé, una forma di oppressione: si dà per scontato che i bambini sordi siano menomati e viene loro negata una scelta.
Eppure, ormai sappiamo che imparare le lingue dei segni comporta molti più benefici rispetto all’uso degli impianti, anche nei bambini non-sordi.
Ci sarebbero altre distinzioni che potremmo fare. Alcune volte la discriminazione è palese, altre invece è più subdola, nascosta o addirittura mascherata. Inoltre, i pregiudizi e gli stereotipi si possono esplicare in comportamenti di evitamento e diniego.
Ciò si traduce spesso in esclusione sociale.
In fin dei conti, tutto ruota intorno ad un concetto che possiamo chiamare audismo metafisico.
In pratica, leghiamo l’identità umana al linguaggio verbale, spesso senza accorgercene.
Ciò innesca un meccanismo di pensieri che ha come risultato la discriminazione della sordità.
Il ragionamento, spesso subdolo, è più o meno il seguente: il linguaggio è umano e quindi anche il parlare.
Seguendo questo modo di pensare, le persone sorde sarebbero “meno umane” e la sordità un problema, non solo per il singolo ma per la comunità.
Come liberarsi dell’audismo
Ognuno di noi può fare molto per liberarsi dell’audismo.
Ad esempio, possiamo partecipare ai progetti volti ad aumentare la consapevolezza pubblica riguardo i contributi alla società delle persone sorde.
Ciò favorisce un clima multiculturale.
Per quanto riguarda i sistemi educativi, possiamo implementare soluzioni che mirino all’equità.
Ad esempio, come accennato prima, anche le persone non-sorde traggono benefici dall’apprendimento delle lingue dei segni.
Inoltre, possiamo promuovere i servizi di volontariato che forniscono opportunità agli studenti di entrare in contatto con le comunità dei sordi.
Questo percorso può ridurre e auspicabilmente eliminare le ingiustizie sociali, per vivere in comunità più inclusive, aperte alla varietà, migliori.
Per approfondire…
Aglioti, S. M., Fabbro, F. (2006). Neuropsicologia del linguaggio. Bologna, Italia: Società editrice il Mulino.
Bauman, H. D. L. (2004). Audism: Exploring the metaphysics of oppression. Journal of Deaf studies and Deaf Education, 9(2), 239-246.
Eckert, R. C., & Rowley, A. J. (2013). Audism: A theory and practice of audiocentric privilege. Humanity & Society, 37(2), 101-130.
Maurizio Oggiano
Trainer | Researcher | Project Manager
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