Autismo: l’essere normalmente diverso
Siamo tutti un po’ Davide
“Mamma, ma perché Davide è strano?” era la domanda posta a cadenza regolare da me e mia sorella a nostra madre nei momenti più improbabili. “Davide parla con gli angeli” la sua risposta, una delle tante metafore. Con un’alzata di spalle tornavamo a giocare: nostro fratello era speciale e nell’universo domestico, racchiuso tra le mura antiche del giardino, andava bene così.
Ma il mondo non poteva stare fuori da quell’Eden per sempre, la prima elementare si avvicinava e con essa l’entrata di Davide nella società. Resistette un anno. Dopo un esaurimento infantile e una perdita di peso eccessiva per un bimbo di quell’età, i miei genitori decisero di toglierlo dalla classe e optare per la scuola parentale.
Quella pubblica non era stata in grado di gestire un elemento come il piccolo Davide che cercava di scappare un giorno sì e l’altro pure: voleva andare a vedere le mucche, le lettere dell’alfabeto non esercitavano alcun fascino su di lui provocandogli solo crisi di rabbia. E a quel punto neppure le metafore di mia madre frenarono la mia curiosità.
La scoperta della parola “Autistico”
Avevo un’amica con una sorella autistica e, durante le scuole medie, eravamo solite fare i compiti insieme a casa di lei. Vi trascorsi abbastanza tempo per rendermi conto delle straordinarie somiglianze che accomunano il comportamento dei reciproci fratelli.
Per fare un esempio, entrambi parlavano da soli raccontandosi storie per ore e ore, oppure dovevi chiamarli più volte prima che ti ascoltassero. L’avevo sempre considerata una cosa normale, un po’ stravagante forse, ma niente di particolarmente strano, almeno fino a quando la mia amica non si scusò con me del comportamento di sua sorella.
“Vedi, lei parla tutto il tempo da sola così perché è autistica”. Le chiesi cosa volesse dire quella parola, per me nuova, “Non lo so, ma l’ha detto mia madre”. Non approfondii la questione, ma appena arrivata a casa andai a cercare su internet il significato.
autismo s. m. [dal ted. Autismus, der. del gr. αὐτός «stesso» (termine coniato dallo psichiatra svizz. E. Bleuler)]. – In psichiatria, la perdita del contatto con la realtà e la costruzione di una vita interiore propria, che alla realtà viene anteposta, come condizione propria della schizofrenia e di alcune manifestazioni psiconevrotiche.
A. infantile precoce, sindrome insorgente nei primi due anni di vita, che si manifesta con profondo distacco dall’ambiente (ma con intense reazioni emotive alle variazioni di questo), comportamenti motori ripetitivi e monotoni, indifferenza ai consueti vezzeggiamenti, linguaggio assente o comunque privo di valore comunicativo.
–Treccani
“Mamma, Davide è autistico?”, la risposta fu “Tutti siamo un po’ autistici”.
Autismo sulla carta e autismo nella vita
Questa sindrome viene chiamata disturbo dello spettro autistico a causa dell’ampia varietà di sintomi, di abilità e disabilità, che variano da individuo a individuo e riguarda tendenzialmente l’1% della popolazione.
I primi segnali si cominciano a manifestare verso i 2-3 anni, non c’è cura, ma attraverso la terapia e il tempo si può sperare che piano piano la persona migliori. In effetti, i casi di miglioramento sono maggiori rispetto a quelli di peggioramento.
Ma aspettarsi il raggiungimento della “normalità” (sempre se esista la normalità) da parte loro è utopico: rimarranno per sempre socialmente ingenui, vulnerabili ed è possibile che avranno sempre difficoltà negli aspetti pratici della vita.
Davide ora ha quasi 15 anni, ma richiede cure e attenzioni di un bambino di 10: se non ci fossimo io e mia sorella a smuoverlo, probabilmente passerebbe tutto il pomeriggio o al computer a guardare lo stesso video a ripetizione, o sul divano a parlare da solo.
Poi bisogna ricordargli di curare la sua igiene, ma con molto garbo.
Se infatti si dice anche solo una parola sbagliata, che lo possa far sentire un minimo a disagio, Davide esplode con tutta la sua emotività. E allora sono parolacce, urla e porte sbattute. Da piccolo era anche violento verso gli altri, ma crescendo ha imparato a controllarsi e ora rivolge la rabbia solo verso gli oggetti o la trasmette con le parole.
Si deve anche controllare il suo profilo Instagram: neppure l’autismo può bloccare la febbre social di un 15enne. Davide, di fatto, da un lato ricerca disperatamente il rapporto con i suoi coetanei, dall’altro lo rifugge impaurito.
Lo rifugge perché, puntualmente, nel momento in cui si trova ad interagire con loro, emerge il suo disturbo che lo porta ad essere etichettato come “quello strano da evitare”, o nel peggiore dei casi “quello strano da prendere in giro”.
Si rende conto di ciò e ne soffre terribilmente, ma è ingenuo e disperatamente bisognoso di amici, per cui quando incontrerà un elemento da lui considerato come “possibile amico” si rimetterà in gioco, nonostante la paura.
A metà tra passione e ossessione
I suoi direct di Instagram sono più o meno così: numerosi “Ciao” mandati a persone che non gli risponderanno mai intervallati da un “Fuck you” a un politico americano, o da un “Sei un idiota” a uno italiano.
Sì, perché Davide adora la politica e quando una persona autistica si appassiona di qualcosa non ce n’è più per nessuno. A volte il mio cellulare scompare magicamente per ricomparire mezz’ora dopo in mano sua. Non è necessario neppure chiederlo: stava leggendo le notizie del giorno.
Altre volte la porta di camera mia si apre alle undici di sera per fare entrare la sua losca figura che, con nonchalance, si siede sullo sgabello davanti alla scrivania e allora so già che mi tocca sorbire più di venti minuti di spiegazione su cosa sta succedendo in America. Il che è davvero magnifico, se non fosse che a quell’ora il mio unico desiderio è quello di dormire.
Durante la prima quarantena, scattata nel marzo dell’anno scorso, Davide si era appassionato di codici. La sera scriveva fino a tardi su un quadernino, con un’espressione talmente assorta e concentrata che ad un certo punto destò l’attenzione mia e di nostra sorella.
Dopo un po’ di settimane gli chiesi finalmente che cosa stesse scrivendo. Me lo mostrò: pagine e pagine con scritti uno sotto all’altro in fila quelli che secondo lui erano codici. Da T01 a T15670.
Strano…secondo chi?
Strano?
Certamente lo è secondo i canoni stabiliti ogni giorno dalla società.
Ma in cosa è più strano da chiunque di noi? In cosa è più strano da una persona che passa la vita desiderando più soldi di quelli che le servono per vivere un’esistenza agiata? In cosa è più strano rispetto a uno che colleziona francobolli, o passa tutto il giorno ad aggiornare le storie di Instagram?
Siamo noi che scegliamo ciò che è fuori dal normale. E questo non è per giudicare modi di fare e comportamenti, ma per evidenziare che, sotto questo punto di vista, tutti potremmo essere Davide.
Chiara Restagno – Diplomata in Arti Performative | Email