Crisi come opportunità di cambiamento
Nella stanza del terapeuta
La terapia è un atto etico, religioso, nel senso proprio del termine, rilega, riallaccia, recupera parti diverse di noi, dandoci la possibilità di vivere significati, integrando mondi diversi che contribuiscono a definire sé stessi.
Non finiremo mai di imparare, Gregory Beatson descriveva così il “deutero apprendimento“, un apprendimento che permette l‘esplorazione di nuovi territori diventando cambiamento che si trasforma in un nuovo modo di essere o percepirsi.
Essere terapeuta vuol dire immergersi nel mondo dell’altro, allenando qualità molteplici che possono aiutare ad esplorare, con domande, con metalinguaggio, con rituali, con attimi di espressione corporea, quegli spazi interiori, intimi che l’altro abita da sempre, e nel mettersi a fianco dell‘altro, affrontiamo un viaggio condiviso, sapendo che è il paziente a guidare la macchina ed il terapeuta funge da copilota utilizzando mappe e percorsi interiori.
Vi sono alcune parole chiavi nell’arte terapeutica, due di queste hanno per me un valore particolare, fiducia e umiltà.
Fiducia, proviene dal latino “fides“, ed è etimologicamente legata al greco “peth“.
Il significato si estende dal riconoscere le capacità dell’altro, a fede a legame.
L’immagine che dentro di me la parola fiducia rievoca è la capacità di affidarsi.
Quando un paziente arriva da me, è perché o sta attraversando un processo di crisi in uno specifico spazio della sua vita, oppure generalizzato, trovandosi ad abitare dentro di sé un luogo che non riconosce più familiare, non sapendo cosa vuole, quale strada intraprendere e percorrere, avendo perso la sensazione di potersi fidare di se.
Attraverso il percorso come terapeuta intrecciandosi con quello personale, lo spazio di crisi può diventare l’occasione per un cambiamento, una crescita, che spingeranno a penetrare territori nuovi, misteriosi, quindi sconosciuti, invitandoci a modificare qualcosa che ci aspettavamo che avrebbe funzionato per sempre nelle modalità che conoscevamo.
La stanza del terapeuta
Io ripeto spesso che in qualche modo siamo riusciti da bambini a sopravvivere, imparando, nelle relazioni con le figure principali di riferimento, confrontandoci con i loro specifici processi psicologici, emotivi, a ritagliarci un posto in questa vita.
Rimango ancora stupito per come le persone ignorino la propria storia familiare, le radici da cui provengono, conoscano poco i territori relazionali, emotivi che li hanno preceduti, e come spesso, quando chiedo loro il genogramma (costruire il proprio albero genealogico), rimangano stupiti delle assonanze, somiglianze presenti nelle loro vite rispetto a chi li ha proceduti.
Vi racconto una storia…
Un paziente, grande musicista, viene da me per un problema, la paura e l’ansia, così forti da sentirsi paralizzato anche lì dove il suo estro si esprime, il palco.
Nel raccontarmi la sua storia mi racconta il primo evento in cui non è riuscito a prendere un aereo per andare a suonare all’estero, aveva 17 anni.
Da quel momento è iniziato il suo calvario.
Gli ho chiesto chi lo aspettava a casa. E lui con un sorriso risponde: “la mamma“.
Nella storia di questa donna c’è la perdita di un fratello in età molto giovane, lei bambina.
Di quel lutto che ha sconvolto la vita di quella famiglia non si parla, ma è assai presente malgrado siano passati molti anni.
Questa ragnatela in cui siamo immersi, che B. Hellinger, e anche altri autori, hanno chiamato campo morfogenetico, ci influenza, arrivando a noi attraverso i nostri genitori
I segreti di famiglia, il modo in cui i nostri genitori hanno elaborato il loro passato, il clima della loro relazione, a quale dei due genitori decidiamo di appartenere, hanno cucito intorno a noi un vestito emotivo con cui abbiamo imparato a guardare il mondo e a muoverci verso l’esterno.
Da tutto questo ne è emerso un io, una consapevolezza, che attraverso specifici schemi percepisce un senso di sicurezza, protezione, appartenenza, sacrificando altre possibilità, che nella nostra famiglia non avevano un posto.
Ma tutto questo cosa c’entra con la crisi del presente? E con la crisi o le crisi che attraversiamo?
Nel presente quegli schemi che creano sicurezza diventano i rigidi muri comportamentali che ci impediscono di danzare liberamente nella relazione con l’altro.
Un paziente mi ha riportato questa storia, conosce solo donne che lo accolgono con entusiasmo e poi lo rifiutano.
All’inizio si sente forte, tanto quasi da respingere le proposte dell’altra persona a costruire insieme, ma appena l’altra lo respinge lui fa di tutto per conquistarla.
Ed è lì che lui si sente vivo, è in quell’istante in cui sentendosi respinto che esprime il meglio di sé, la sua ostinazione, determinazione, volontà.
Così fa entrare il dramma nella sua esistenza, permettendogli di uscire dal grigiore in cui normalmente si sente immerso nella sua quotidianità.
Umiltà etimologicamente dal latino humus, terra, in sanscrito deriva dalla radice “bhu“, da cui “hu“, da cui uomo.
Terra humus, umiltà, ha a che vedere con la parola ordinario, in una realtà sociale dove sembra che dobbiamo essere speciali, sempre informati, sempre di corsa a conoscere e comprare il nuovo prodotto, la nuova tecnologia, la nuova possibilità, l’umiltà riporta a terra, riconoscendo e amando i limiti che inevitabilmente abbiamo, scoprendo così l’unicità di ognuno, che per imparare sbaglia, scoprendo la bellezza, il mistero di un essere umano semplicemente nel suo essere vivo.
L’incontro in terapia mi affascina proprio perché apre le porte ad una relazione contraddittoria, ricca di paradossi, fragile e al tempo stesso intensa, curiosa, ricca di possibilità, risorse, un sentiero dove cambiare, crescere, imparando a dare significati diversi a processi come felicità, condivisione, amore, consapevolezza.
La crisi può diventare quell’opportunità, per conoscere un sé altro, uscendo dalle zone di comfort, imparando a essere nella vita proprio come un capitano, che puntando la prua della barca verso l’orizzonte del mare aperto, fidandosi delle sue capacità, riconosce che il mare è qualcosa di molto vasto, che lo metterà alla prova, come puledro selvaggio proverà a disarcionarlo, e che quando la barca arriverà nel nuovo porto non avrà il rimpianto di non averci provato.
Dott. Stefano Cotugno
Psicoterapeuta Sistemico Relazionale
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