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Che cos’è la psicanalisi?

Breve nota sulla definizione di psicanalisi


Una spessa coltre di sospetto e mistero avvolge la parola “psicanalisi”.

A volte essa è associata alla medicina psichiatrica, altre alla filosofia insegnata nei licei, altre ancora alla taumaturgia.

Niente di tutto questo corrisponde a realtà.

Con questo breve scritto ho perciò intenzione di dare una risposta alla domanda: cos’è la psicanalisi?


Che cosa non è la psicanalisi

Nell’intento di rispondere a tale quesito credo sia importante, prima di tutto, specificare quel che non è la psicanalisi.

Ecco due punti fondamentali: 

1. Non si tratta di un rimedio universale contro i disturbi nevrotici, contro i mali dell’anima.

2. Non si tratta di un Elisir alla Donizzetti per mezzo del quale poter diventare l’individuo perfetto che si vorrebbe essere.

Ebbene, niente idealismi, niente perfezione.

La psicanalisi è prima di ogni altra cosa un metodo d’indagine di processi psichici a cui altrimenti sarebbe particolarmente difficile accedere.

Il cuore del lavoro analitico è infatti incentrato sul portare a coscienza del paziente il materiale inconscio che sta alla base di un certo numero di conflitti della sua vita mentale.

Tali conflitti sono evidentemente implicati in spiacevoli vicende, come ad esempio: disagio, inibizione, fino alle più evidenti manifestazioni sintomatiche come fobie, problematiche di natura sessuale, ansia, attacchi di angoscia e sintomi psico-somatici.

Nonostante la presa di coscienza delle motivazioni profonde da cui sorgono le suddette manifestazioni psicologiche sia un strumento proficuo mediante cui osteggiare il turbamento ad esse collegato, questo – lo ribadisco – non costituisce un rimedio dal facile utilizzo contro i disturbi nevrotici.

La psicanalisi è lo strumento per mezzo del quale un individuo può cercare di comprendere il modo in cui la sua mente funziona e, specialmente, comprendere quelle dinamiche di resistenza che parassitano la radice dei suoi conflitti nervosi.

Tali resistenze, croce e delizia del trattamento analitico, rappresentano da una parte la porta d’ingresso alla comprensione e dell’altra il più cospicuo ostacolo ad essa. Insomma, la psicanalisi non è una Tachipirina da prendersi alla bisogna.


La pratica

Orientandoci più verso il lato fattuale, pratico, della questione possiamo dire che la psicanalisi si svolge in maniera alquanto semplice: il paziente si lascia andare alla regola fondamentale, la regola delle libere associazioni.

Comunica dunque all’analista tutto ciò che gli passa per la testa senza alcuna preoccupazione o giudizio nei riguardi del materiale espresso.

Di contro l’analista, partendo da tale materiale grezzo, genera alcune ipotesi – conosciute con il nome di interpretazioni o costruzioni – circa le dinamiche di resistenza presenti al momento dell’eloquio del paziente.

Si tratta di resistenze che rappresentano la trasposizione degli antichi conflitti alla base della struttura nevrotica nella situazione attuale, dunque nel rapporto con l’analista.

Tuttavia, il lavoro analitico non si esaurisce nell’avvicendarsi di materiale associativo e costruzioni ipotetiche.

Difatti, una volta che il paziente prende atto delle sue singolarità psicologiche, quindi dal momento in cui getta le basi per un potenziale maggior grado di libertà, costui è posto al cospetto di un’altra importante sfida: decidere come sfruttare le energie che fino a quel momento erano state impiegate in una coazione nevrotica ovvero nei sintomi.

Si creano così le possibilità, i presupposti, per poter impiegare tali energie in direzione di un arricchimento della sua persona e non in direzione di una tribolazione ripetitiva. Purtroppo anche questa incombenza non è esente da resistenze.

Come già accennato le resistenze tendono sovente a vanificare il lavoro di portare alla coscienza i moti inconsci.

Pertanto, credo sia del tutto lecito domandarsi fino a che punto lo psicanalista possa e debba incalzare il paziente nel cercare di mantenerlo saldo all’obiettivo di conoscenza oggettiva che si erano prefissati.

La psicanalisi e la libertà di scelta

La risposta è una ed una soltanto: l’analista, in funzione dello strumento ch’egli impiega, non può spingersi oltre i confini della libertà del soggetto.

È infatti una delle questioni di maggiore importanza per la psicanalisi tale irriducibile libertà.

Il paziente è sempre libero di scegliere: anche di non star meglio se questo è quello che desidera.

Da questo punto di vista la psicanalisi marca chiaramente il suo territorio rispetto ai trattamenti suggestivi e persuasivi poiché non intende sopprimere d’autorità alcun fenomeno psichico del paziente, ma si limita metter costui nella posizione di poter accrescere la propria etica personale per mezzo delle nuove conoscenze conseguite durante il trattamento.

Ci tengo a sottolineare che quando dico “accrescere la propria etica personale” non intendo necessariamente diventare moralmente più evoluto o – figuriamoci! – perseguire una qualche forma di conoscenza che permetta di sapere esattamente cosa è bene e cosa è male.

Molto più semplicemente, intendo la possibilità di raggiungere un grado di comprensione di sé che permetta, per quanto possibile, di armonizzare l’aspetto ideativo con quello pratico.

In sintesi: valutare il peso dei processi psichici inconsci nel rapporto tra volontà ed azione.


Conclusioni

Nell’intento di mostrare che le prospettive a cui ho accennato non sono una mia particolare interpretazione, un mio punto di vista fra i tanti, ma una chiara e motivata presa di posizione, voglio impiegare le parole di Sigmund Freud, il padre della psicanalisi, che nel 1922 la definisce così: 

1. Un procedimento per l’indagine di processi psichici cui altrimenti sarebbe pressoché possibile accedere.
2. Un metodo terapeutico (basato su tale indagine) per il trattamento dei disturbi nervosi.
3. Una serie di conoscenze psicologiche acquisite per questa via che gradualmente si assommano e convergono in una nuova disciplina scientifica.

In altri scritti Freud ribadisce che “il compito terapeutico consiste nel portare il nevrotico a conoscenza degli impulsi inconsci e rimossi che esistono in lui, e nel rendere palesi a tale fine le resistenze che si oppongono a questa estensione della sua conoscenza in merito alla propria persona” e si spinge fino ad affermare che “l’eliminazione dei sintomi morbosi non viene perseguita come meta particolare, ma si produce con l’esercizio regolare dell’analisi quasi come un risultato accessorio”.

Insomma, è evidente che il fulcro della psicanalisi sia l’indagine dei processi psichici inconsci, la questione terapeutica risulta affatto secondaria.

In conclusione, penso sia piuttosto chiaro quanto l’analisi possa essere un percorso impervio, lungo e faticoso, ciononostante essa rappresenta uno dei pochi strumenti di cui disponiamo per poter raggiungere una maggiore comprensione di quell’elemento che, benché sia difficile da stanare, ha un peso affatto dominante nel nostro mondo psichico: l’inconscio


Dott.Edoardo Meroni Autore presso La Mente Pensante Magazine
Dott. Edoardo Meroni
Psicanalista
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