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Di poco o troppo cibo

Abbiamo tanto eppure siamo infelici

Image by Annie Spratt on Unsplash.com


Nubi nere all’orizzonte, i venti parlano di una tempesta in arrivo, giovani gabbiani  cercano ancora di immergersi nelle acque del mare sbeffeggiando gli anziani che si affannano nella ricerca di  un luogo sicuro dove proteggersi. 

Siamo in una società estremante complessa, dove l’individuo è sempre sotto continue pressioni di miglioramento delle proprie performance, capacità, abilità. La corsa a diventare qualcuno che si distingue, che è unico, ha raggiunto un’intensità che porta ad amplificare gli sforzi, moltiplicare le energie messe in campo, a non potersi permettere di rischiare l’errore o il fallimento. Qualcuno tempo fa ha detto più una società raggiunge vette inimmaginate nella corsa al progresso più la caduta diventa rovinosa.

Ho estrema compassione per queste giovani generazioni, che insieme ad un presente incerto, alla storia che li accompagna dalle generazioni precedenti, si dovranno confrontare anche con un altro competitor, l’intelligenza artificiale. Dentro questa folle corsa, al corpo, con i suoi limiti, con i suoi tempi inascoltati e’ richiesto uno sforzo grande, un dover essere non solo sano, perfetto, per stare dietro a questa mente obbligata a  districarsi velocemente tra infiniti stimoli.

L’immagine del seno che allatta, specchio di un gesto funzionale al nutrimento del bambino, porta con sé una serie di significati affettivi, di cura, che determinano, il tempo, il ritmo, insieme ad altri gesti, della relazione tra la madre , il bambino e la vita.

Questa è la cornice primaria dove impariamo a scoprire l’esistenza, ed è formata da una infinità di elementi, lo stato d’animo della madre nel suo essere o ridiventare madre, come accoglie il nascituro, se ha imparato a ridefinire i confini con le generazioni precedenti, come sta nella relazione con il partner (se presente), quali eventi attraversano in quel momento la vita della famiglia e come sono vissuti dagli adulti.

Anna e Marco vengono nel mio studio, Francesca, la figlia secondogenita, è stata dimessa da poco dall’ospedale, ha rischiato di non farcela, 14 anni, il suo peso era insufficiente alla vita, un sondino le ha regalato altro tempo. Sono stanchi, impauriti, impotenti. È da qui che partiamo, insieme, in un viaggio che aprirà le porte ad una storia dove il sacrificio soprattutto di Anna è sempre stato dato per scontato. Lei che non voleva figli, lei che li ha avuto tardi, tardi poi per che cosa o per chi, lei che è scappata di casa a 14 anni per trovare la sua libertà, la stessa età di Francesca quando è stata ricoverata. Anna si è ritrovata a doversi occupare prima di sua madre, malata per anni e poi di Francesca. Il sacrificio silenzioso, la sua rabbia, la sua tristezza, il non volere una famiglia pur costruendola, si uniscono alla voce di un uomo, Marco, che è sempre rimasta muta, prima nella sua famiglia di origine, ed adesso in questa.


Volevo volare, aprire le ali, ho dovuto ancorarmi  a terra

Cibo che da sempre  è portatore di  significati ampi, la sua abbondanza o la sua scarsità definiva lo status sociale delle famiglie. Fonte di nutrimento, gioia, piacere, appagamento, estasi, intrattenimento, mezzo per aumentare il proprio prestigio, potere, trattato con rispetto religioso, lo spezzare del pane e versare del vino, la preghiera che nelle famiglie si invocava e ancora talvolta si dice prima di mangiare. Il cibo che narra la storia della famiglia, tavolate grandi, fonte di umorismo, politica, dialogo che unisce, mette insieme, raccoglie intorno allo stesso piatto, oppure divide con silenzi freddi, pesanti conflitti, proteste, minacce tra un pasto mangiato o lasciato. Cibo che racconta la storia delle donne che lo cucinavano, tristi, appagate, gioiose, innamorate, deluse, creative, innovative, felici, depresse.

Ricordo la storia di mia nonna, la mamma di mio babbo, che in tempo di guerra, non avendo niente se non polenta, riusciva ogni giorno a quelle due bocche affamate dei suoi figli, portare un piatto diverso, non nella sostanza ma nella forma. Così mentre quei due riuscivano a sopravvivere, lei era arrivata a 39 kg e se non fosse arrivato l’aiuto di altre famiglie sarebbe sicuramente morta. Famiglie contadine toscane dignitose, essenziali, orgogliose. Intorno al cibo  hanno  sempre girato, nella mia famiglia, gli appuntamenti importanti, sia quelli gioiosi, caldi, sia quelli che hanno sancito separazioni mai più ricucite.

Aldo, arriva nel mio studio perché si è appena lasciato con la sua compagna di una vita, l’unica con cui era riuscito a creare qualcosa di importante. È triste, si da la colpa, lei era stata paziente, amorevole, lo aveva spronato, aveva in ogni modo cercato di aiutarlo, ma lui a tutti quei tentativi aveva risposto chiudendosi sempre di più e mangiando sempre di più. Aldo quando è venuto nel mio studio pesava più di 150 kg. Da quando aveva memoria era stato grassottello, i suoi coetanei lo deridevano per la sua stazza, ma a lui non importava, era troppo bello stare a tavola e mangiare quello che sua mamma gli cucinava. Gli procurava un piacere immenso vederla felice quando non rifiutava l’ennesimo piatto messo lì davanti. Lui era l’unico, con quel gesto, che riusciva per un istante a farle dimenticare la durezza, la tristezza della vita che conduceva. L’amore di Aldo per sua madre era più importante di lui, non l’avrebbe mai lasciata sola.

Non posso né rimanere, né andare via, allora mangio, ma non trattengo.

Emozioni, il sale della vita, impariamo quali e come esprimerle o reprimerle per sentirci parte della nostra famiglia, così da trovare il nostro posto rispetto alla storia che questi due genitori ci offrono. Rabbia, tristezza, gioia, delusione, e poi senso di colpa e vergogna diventano allora il linguaggio esposto o nascosto con cui costruiamo le pareti della nostra casa interiore, dove ti odio e ti amo ne sono la semplificazione. Dal modo di essere nella vita di questi due genitori, se sono felici, delusi, tristi, appagati, insoddisfatti, capaci o inadeguati, creativi o abitudinari, dal loro modo di affrontare e superare le criticità, i drammi, i lutti, dal loro modo di esprimere le emozioni, noi  traiamo il nostro nutrimento affettivo con cui costruiremo una parte fondamentale del nostro io. Scopriremo con chi allearci per convivere con il dolore e il freddo della distanza quando uno dei due genitori sarà irraggiungibile,intuiremo come dare forma alle nostre emozioni,imparando  come proteggerci chiudendoci, impermalosendoci, diventando a nostra volta irraggiungibili per sopravvivere.

Daniela, arriva in studio, è un’avvocato di successo, è una donna che sa cosa vuole e come ottenerlo, vive da anni da sola, ha relazioni, anzi flirt come li chiama lei, ma mai niente di importante, non se lo può permettere. Daniela da quando ha 15 anni, oggi ne ha 40, spesso quando è sotto pressione, mangia talmente tanto che deve poi correre in bagno, e liberarsi. Ecco l’atto di liberarsi offre un momento di sollievo a quello stress, per poi farla ricadere nel senso di colpa, nella  vergogna, nel senso di repulsione. Nessuna persona potrebbe starle accanto, lei non potrebbe mai farsi vedere così. Daniela, figlia unica, ha avuto un una mamma con un grave handicap fisico, che ha sempre cercato di nascondere, non se ne poteva parlare per quanto fosse visibile. La mamma di Daniela era una donna cupa e triste, che intorno a quella parte, che nascondeva, mentre cucinava  aveva costruito la relazione con la figlia. Daniela ha impiegato un tempo per dare voce alla sua rabbia, vergogna per quella madre, permettendosi il senso di colpa rispetto alla disabilità del genitore, c’è voluto tutto il suo coraggio per far uscire quel dolore chiuso dentro di lei e imparare ad amarsi in modo altro.

Consapevolezza, apro le mie ali, so che il volo è solo mio, mi spaventa e mi incuriosisce al tempo stesso.


Stefano Cotugno Autore presso La Mente Pensante Magazine
Dott. Stefano Cotugno
Psicoterapeuta Sistemico Relazionale
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