I disturbi alimentari: un’analisi approfondita
Definizione, cause, falsi miti e cura attraverso l’uso della psicoterapia
In Italia, secondo gli ultimi dati, risalenti all’ottobre 2019, dell’Istituto Superiore di Sanità, le patologie psichiatriche più frequenti sono la depressione, la schizofrenia e le sindromi nevrotiche e somatoformi.
Il numero di persone con patologie psichiatriche assistite dai servizi specialistici sono state 851.189 (di cui il 67,6% dei pazienti ha più di 45 anni), mentre le prestazioni erogate dai servizi territoriali sono state 11.474.311.
Quello dei disturbi psichiatrici e in questo caso specifico dei disturbi d’ansia, depressione e disturbi alimentari è un mondo molto complesso, popolato e multiforme, è ormai possibile divulgare tante notizie su ciò che le persone devono sapere per vincere il loro disagio, ma, nonostante ciò, l’accesso alle molte informazioni non permette sempre una diminuzione della sofferenza per la persona, anzi.
Spesso le persone che soffrono di Disturbo del Comportamento Alimentare provano per molto tempo a superare i loro ostacoli utilizzando, però, le informazioni che si trovano sui vari siti web non a loro vantaggio, ma a loro danno (vedi siti pro-Ana).
Secondo un documento scientifico pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel primo anno della pandemia di Covid-19 la prevalenza globale di ansia e depressione è aumentata del 25%.
Preoccupazioni riguardo a un potenziale aumento dei disturbi di salute mentale hanno spinto il 90% dei paesi a includere la salute mentale ed il supporto psicosociale nei loro piani di risposta al Covid-19, ma rimangono grandi lacune e preoccupazioni.
Una delle principali spiegazioni dell’aumento è lo stress senza precedenti causato dall’isolamento sociale derivante dalla pandemia.
Collegati a questo ci sono i limiti alla capacità delle persone di lavorare, cercare sostegno dai propri cari e impegnarsi nelle loro comunità.
Solitudine, paura dell’infezione, sofferenza e paura della morte per i propri cari e per sé stessi, dolore dopo il lutto e preoccupazioni finanziarie sono stati tutti i fattori di stress che hanno portato ad un incremento dell’ansia e della depressione.
Inoltre, tra gli operatori sanitari l’esaurimento è stato uno dei principali fattori scatenanti del pensiero suicida.
La pandemia ha influenzato la salute mentale dei giovani, e sono aumentati comportamenti suicidi e autolesionistici.
Anche le donne sono state colpite più gravemente degli uomini e le persone con problemi di salute preesistenti, come asma, cancro e malattie cardiache, hanno avuto più probabilità di sviluppare sintomi di disturbi mentali.
Questo è un campanello d’allarme per tutti i paesi a prestare maggiore attenzione alla salute mentale e fare un lavoro migliore nel sostenere la salute mentale delle loro popolazioni.
Perché insorge il disturbo dell’alimentazione?
Nonostante questa tipologia di disturbi è sempre più diffusa nella popolazione generale in aumento anche nella popolazione maschile oltre che femminile, continuano ad esserci delle false credenze e falsi miti.
- I disturbi del comportamento alimentare (DCA) non sono una malattia. I DCA non sono scorrette abitudini alimentari, ma disturbi che richiedono un trattamento specifico.
- I disturbi alimentari sono una scelta. Le persone non controllano questi comportamenti deliberatamente e la loro presenza richiede un intervento specifico e mirato.
- I disturbi alimentari colpiscono solo le donne. Negli ultimi anni si è registrato un incremento considerevole anche nella popolazione maschile.
- Gli uomini colpiti dai disturbi alimentari sono omosessuali. Non esiste alcuna correlazione tra orientamento sessuale e probabilità di sviluppare un DCA, e viceversa.
- I DCA sono un tentativo di attirare l’attenzione. Essi si presentano in maniera indipendente dalla volontà del soggetto anche se possono nascere in contesti familiari dove si parla poco.
- Non si può avere più di un DCA. Nella stessa persona possono essere presenti più disturbi alimentari o possono susseguirsi in diversi periodi della vita e virare da uno all’altro (bulimia- anoressia / anoressia- bulimia).
- Ritornare ad un peso normale significa essere guariti. È sicuramente un aspetto positivo, ma deve essere accompagnato dalla scomparsa graduale di tutti i sintomi.
- Possiamo riconoscere una persona con DCA semplicemente dal suo aspetto esteriore. Chi ne soffre non è necessariamente una persona emaciata o molto magra; questo dipende dal tipo di disturbo, dalla fase in cui si trova e dalla gravità dello stesso.
Il peggioramento della preoccupazione rispetto al peso e al corpo, sia l’alimentazione, decisamente modificata in eccesso o in difetto può essere un fattore predisponente.
Anche alcuni fattori psicologici come umore tendenzialmente depresso o bassa autostima, senso di incapacità e inefficacia sono elementi molto ricorrenti e comuni.
Non si può, comunque, affermare che questi fattori siano la causa dei problemi alimentari, poiché spesso sono presenti anche in persone che poi non sviluppano un disturbo dell’alimentazione.
La volontà di dimagrire molto spesso innesca il pericolo di perdere il controllo, si crea un circolo vizioso importante da cui è molto difficile uscire: la restrizione alimentare eccessiva porta ad un aumento della tensione psicologica, che viene smorzata ricorrendo all’abbuffata, per poi passare al senso di colpa e al timore di prendere peso, il che a sua volta conduce ad ulteriori restrizioni rinforzando e perpetuando il disturbo.
Gli aspetti sociali sono un’altra grande area da prendere in considerazione, infatti esistono nel contesto sociale numerose convinzioni riguardo il peso e le forme corporee derivanti da regole culturali e di costume; in una cultura che premia la magrezza e conferisce spesso ad essa il sinonimo di accettabilità e amabilità è ipotizzabile che persone con bassa autostima, difficoltà nelle relazioni ed elevata ansia sociale sviluppino questo tipo di disturbi intraprendendo una dieta per ottenere l’approvazione sociale.
Naturalmente ciò non significa che la nostra cultura sia la responsabile di tutto, ma possiamo affermare che alcune caratteristiche di essa possono rappresentare dei fattori di rischio per le persone più vulnerabili. Per molte persone che soffrono di bulimia, ed esempio, la preoccupazione per il peso e le forme corporee ha enorme significato poiché il loro “valore personale” spesso è in stretta relazione con il loro corpo.
La forma del proprio corpo diventa un metro fondamentale di giudizio su di sé, tanto che acquisire peso può essere vissuto come un evento catastrofico, con effetti devastanti sull’equilibrio psico-fisico. Il dimagrimento e l’autocontrollo possono essere rinforzati da molti fattori sociali, come i complimenti degli amici, i riconoscimenti etc.
Ricevere complimenti porta naturalmente a pensare di essere bravi e capaci, questo innesca un meccanismo di rinforzo automatico poiché la persona inizia un dialogo interno in cui inizia a complimentarsi da sola per aver controllato il cibo ingerito.
Una componente molto importante è la capacità che la persona perde di registrare con precisione il senso della fame e della sazietà continuando, spesso, a mangiare senza avvertire il segnale di “stop” e il senso di sazietà e cadendo nell’abbuffata, oppure saltando pasti sani senza sentire le richieste del proprio corpo.
L’incapacità di inserirsi in un ritmo nutrizionale equilibrato ha conseguenze negative sia a livello fisico che emotivo, determinando uno stato di ansia e angoscia continui, legati alla perdita del controllo e al tentativo di gestire, quindi, sia il cibo e l’alimentazione che tutti gli altri aspetti della propria vita.
Cibo e cultura: riflessione storica
La tradizione, l’identità di un gruppo sociale e la cultura di appartenenza sono spesso espresse attraverso il linguaggio culinario che diventa non solo mezzo di sopravvivenza ma una vera e propria condivisione di regole, tradizioni e di vissuti.
La cucina e il cibo da sempre hanno ispirato cambiamenti, invenzioni e soprattutto contaminazioni di culture diverse, nate da una fusione di varie identità. Anche senza entrare nello specifico dei cambiamenti culinari dei diversi periodi storici, possiamo capire l’importanza del significato simbolico che il cibo ha assunto e soprattutto soffermandoci sull’attributo “grasso” possiamo vedere come si è passati da un’accezione positiva di esso in una società caratterizzata da guerre, carestie e povertà, ad un’accezione negativa nella società moderna dove il “corpo grasso” diventa una zavorra, un ostacolo per l’accettazione sociale, per il lavoro e per il benessere.
Si passa quindi sempre di più da un corpo edonizzato in cui le forme diventano rappresentative di una persona ricca che doveva essere stimata e trattata in modo superiore, a un corpo ragionato e sempre più costruito.
Il convivio, da sempre luogo di scambio e condivisione, diventa luogo di presenza fugace, sempre più ragionato e sede di dialogo razionale.
Proprio partendo da queste premesse forse si può ragionare sull’emergere di una patologia in un determinato periodo storico e sullo stretto rapporto tra organismo e ambiente che porta a considerare il cibo e l’utilizzo di esso come mezzo di evoluzione e sviluppo di caratteristiche idonee all’integrazione sociale.
Abbiamo sottolineato come il cibo abbia importanza cruciale e valenza sociale di scambio, infatti attraverso di esso condividiamo paure, gioie, intenzioni creando sia uno scambio intimo con noi stessi sia coesione con gli altri nei momenti di ritrovo a tavola, sempre più spesso con amici o colleghi di lavoro.
Nell’ambito delle riflessioni sull’importanza del cibo non si deve sottovalutare una componente importante culturale che è l’atto del “nutrire”, che si carica di valori e significati simbolici di relazione, comunicazione e amore.
Il cibo quindi, che è sempre stato un importante mezzo con cui noi costruiamo la nostra rete sociale, ma anche la nostra soggettività, oggi diventa spesso nemico, in una realtà in cui gli elementi dell’individualismo, della profonda solitudine e dell’insicurezza sono forse quelli che più caratterizzano la società moderna.
Il cibo ma soprattutto il momento della tradizione conviviale legata ad esso vengono visti quasi come simbolo del legame di dipendenza dal contesto familiare, diventando nemici del sogno moderno dell’autonomia estrema a tutti i costi.
L’uomo della società moderna è un uomo frenetico, irrequieto e sempre in movimento, che ricerca continuamente il suo centro in obiettivi sempre nuovi; proprio in questo vortice di continuo cambiamento diventa impensabile il riposo, l’essere fermo, anzi diventano pensabili solamente se si trovano in una cornice definita e socialmente accettata, per questo sentiamo l’esigenza di riposarci facendo paradossalmente attività che ci costringono a fermarci, per questo cerchiamo nelle pratiche diffuse di mindfulness di riconquistare lo stare nel presente e godere di ciò che sentiamo.
Nella solitudine psicologica che contraddistingue la nostra società, il disagio e la frustrazione quotidiana, non possono essere tollerati, così si ricorre subito a gratificazioni che tolgono la fonte del nostro stress.
La Psicoterapia nei Disturbi Alimentari
Spesso la grande paura con la quale ci si deve confrontare è quella di non sapere a cosa si va incontro quando si comincia un percorso di terapia per un disturbo alimentare, nulla è predeterminato e nulla è sempre uguale.
La paura e l’incertezza diventano, quindi, nemici importanti che ostacolano il passo coraggioso del chiedere aiuto.
Possiamo riassumere alcune aree importanti da affrontare con nutrizionista o dietologo e psicoterapeuta in un percorso integrato e idoneo in caso Disturbi Alimentari:
La regolazione del peso con il calcolo BMI, le variazioni fisiologiche del peso e il raggiungimento e mantenimento dell’obiettivo.
Le conseguenze delle abbuffate e di tutte le condotte compensatorie come anomalie di fluidi ed elettroliti, erosione dello smalto dentale, ciclo mestruale irregolare e poco controllo del senso di fame e sazietà etc.
L’inefficacia delle condotte utilizzate cercando di ridefinire delle false credenze che ci sono alla base come, ad esempio, la più comune credenza che l’utilizzo del vomito permetta di eliminare totalmente ciò che abbiamo mangiato, oppure che l’eccessivo esercizio fisico possa far bruciare più massa grassa etc.
I campanelli di allarme che fanno scattare certe condotte: molto importante risulta l’analisi delle aree del pensiero legate a specifici comportamenti, facendo attenzione a collegare le particolari emozioni che possono spaventare la persona ed indurla a mettere in atto determinati comportamenti lesivi.
La storia personale, da ripercorrere per cercare di ricostruire “il puzzle degli eventi”, le emozioni o i pensieri che ad un certo punto sono diventati disfunzionali nello sviluppo della persona.
Il comportamento è uno dei primi aspetti da affrontare nella terapia, infatti restrizioni alimentari, condotte compensatorie, abbuffate non sono solo sintomi utili per riconoscere la presenza del disturbo ma sono elementi da contrastare, poiché non affrontandoli in modo prioritario si rischia di compromettere il percorso terapeutico; affrontare in maniera adeguata quest’area significa poter aiutare la persona a gestire meglio la situazione, fornendo tecniche e strategie utili per risolvere e bloccare i comportamenti perpetuati.
La qualità delle relazioni sociali è un altro fattore molto importante per il buon esito della terapia, cambiamenti importanti in alcuni settori della vita hanno spesso un ruolo molto importante nel mantenimento o meno del disturbo dell’alimentazione; spesso attraverso l’abbuffata o la restrizione si manifestano delle emozioni ritenute “pericolose” come la rabbia o la paura dell’abbandono, oppure richieste di aiuto legate a situazioni sociali che creano ansia. Lavorare sull’assertività e sulle abilità sociali spesso porta anche ad un miglioramento nei problemi dell’alimentazione.
Incoraggiare la persona a lavorare con strategie di problem solving in modo da programmare il comportamento da tenere in situazioni ritenute rischiose, soprattutto quando sono quotidiane, aiutarla a creare strategie alternative in modo da instaurare comportamenti difficilmente compatibili con l’assunzione disinibita di cibo risultano essere i passaggi più importanti.
È necessario che la persona all’inizio del percorso adotti un comportamento alimentare pianificato, che esalti la capacità personale di mangiare senza la paura di perdere il controllo e inoltre senza farsi condizionare dagli stimoli interni come i propri pensieri o le proprie emozioni, o dagli stimoli esterni come le situazioni sociali che possono condurlo a comportamenti non salutari.
Attraverso l’acquisizione di un maggior controllo la persona sarà aiutata a confrontarsi con pasti equilibrati e quantità normali, riuscendo a cogliere i segnali biologici di fame e sazietà e potendo riscoprire i propri gusti, migliorando così il proprio assetto cognitivo, emozionale e comportamentale.
Aspetti cognitivi e bassa autostima i tasselli fondamentali nei DCA
Di solito l’autostima viene comunque modificata attraverso la terapia lavorando su pensieri e emozioni; tuttavia pazienti che presentano un’autostima molto bassa possono sforzarsi eccessivamente nel controllo della propria alimentazione, della forma corporea e del peso per raggiungere un “valore personale”: tali elementi rendono particolarmente difficile l’approccio al cambiamento per la poca disponibilità a modificare la dieta o l’esercizio fisico; la natura pervasiva della visione negativa su di sé di queste persone le porta a non vedere la prospettiva della guarigione.
Il lavoro sulla bassa autostima comincia con un’educazione personalizzata sui processi che la mantengono, aiutando la persona a riconoscere e correggere in tempo reale i processi cognitivi che mantengono il modo in cui si valutano, permettendo loro di identificare nuovi aspetti della vita come aree dove impegnarsi.
Le distorsioni negative, quelle cioè che ci fanno vedere la realtà in termini sostanzialmente catastrofici possono produrre a lungo termine un abbassamento della stima di sé e conseguentemente ansia o abbassamento del tono dell’umore.
Ciascuno di noi può imparare a migliorare il suo modo di valutare e interpretare la realtà.
Con un po’ di pratica sul riconoscere e sostituire i pensieri potremmo costruire nuovi modi di pensare e parlare di noi stessi, condizione questa fondamentale per coltivare il nostro benessere psicologico.
Noi interpretiamo gli eventi che ci accadono dando ad essi una connotazione negativa o positiva.
In sostanza il nostro benessere o malessere dipende anche molto da come ci poniamo nei confronti di ciò che ci accade.
Esistono diversi approcci di tipo psicologico al trattamento di disturbi del comportamento alimentare: cognitivo-comportamentale, interpersonale, psicodinamico, fenomenologico.
Gli studi più recenti indicano una percentuale di successo del 30-35% per la sola psicoterapia.
In senso generale le psicoterapie agiscono nel modificare alcune convinzioni o pensieri o attitudini (comportamenti) errati o a sostenere e aiutare in modo continuativo l’individuo.
Il supporto psicoterapico è utile, infine, anche a migliorare le relazioni interpersonali e ad accrescere la propria autostima.
La psicoterapia non va comunque considerata un’alternativa alla farmacoterapia, e qualunque sia l’approccio della psicoterapia (cognitiva, comportamentale, interpersonale), sarebbe meglio se consigliata da uno specialista esperto.
Dott.ssa Fabiola Raffone
Psicologa Clinica | Criminologa | Grafologa | Esperta in Psicodiagnostica |
Terapista della riabilitazione psichiatrica | Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale i.f.
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