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Due settimane da nomade digitale: una social media manager ai tropici

Intervista a Giorgia Oppizzi

Image by Peggy Anke on Unsplash.com


In questo articolo ho deciso di proseguire sull’onda del format “intervista”. In particolare, ho deciso di intervistare Giorgia Oppizzi, social media strategist nonché mia ex collega universitaria e grande amica.

Ciò che mi ha spinto a intervistare Giorgia è il fatto che mi abbia recentemente raggiunto nel Sud-est Asiatico, più precisamente in Thailandia, per testare questa tanto da me decantata vita da nomade digitale. In qualità di libera professionista, anche lei ha la possibilità di lavorare da remoto, anche se non fino a poco fa non aveva ancora condensato viaggio e lavoro. Lo scopo dell’intervista è quello di convincere sempre più di voi a provare il nomadismo digitale, nonostante i potenziali limiti e timori. Nei miei articoli ho parlato spesso di questo stile di vita, ma credo che portare varie declinazioni, testimonianze e spunti non possa fare altro che offrire una visione più chiara in merito a un modo di vivere che, se non lo si prova, può apparire evanescente e difficilmente attuabile. Spero che anche grazie alla testimonianza di Giorgia riuscirò a convincere più persone a dare una chance al nomadismo digitale. Buona lettura!


Ciao Giorgia, ti chiederei fare una breve presentazione di te anche in ottica di quello che è il tema di oggi.

Sono una freelancer e lavoro da 4 o 5 anni come social media strategist. Non so in realtà come ci sono arrivata a essere sincera. O forse sì, deve essere partito tutto quando ero ragazzina che volevo uscire dagli schemi. Con schemi intendo quegli schemi imposti dalla società che dettano quello che devi fare e come devi farlo, o le amicizie di quando si è piccoli. Tutte queste cose sono sempre state una realtà a me troppo stretta e ho sempre avuto il desiderio di uscire in qualche modo da questi limiti. Inizialmente questo mi ha portato a studiare lingue sia al liceo che poi all’università proprio per questo desiderio di uscire un po’ fuori sia da quello che è il mio carattere, quindi migliorarmi a livello caratteriale, sia come sfida personale, e per il fatto di fare esperienze al di fuori di quella che era la realtà che vivevo che, come ho detto, mi stava molto molto stretta. Da lì poi, dalle lingue, sono arrivata a un certo punto in cui ho avuto la famosa crisi nera in cui non sai che diamine fare della tua vita. Hai passato la vita a studiare lingue pensando fosse quello il tuo lavoro della vita, e poi alla fine ti ritrovi a dire “Ok, forse non è questo il lavoro della vita, non è una cosa che mi appartiene.”. Non mi sono mai appartenute così tanto le lingue a essere sincera, però sono sempre state un po’ quella cosa che mi aiutava a uscire dagli schemi e da quella realtà che mi stava stretta. Dalle lingue sono quindi passata ai social media, ma non so esattamente il perché. Forse perché da una parte era un sogno che avevo da piccolina; avendo sempre avuto la passione per il cibo, mi era sempre piaciuta l’idea di avere un blog mio ed è sempre stata una cosa che gli amici mi criticavano perché ai loro occhi era una cosa da cretini e sfigati. [Risata] Da lì, credo più per sensazioni che per altro, mi sono buttata nel mondo dei social media sempre col pensiero di fare qualcosa che in qualche modo mi sentissi mio e che mi appartenesse, qualcosa che mi desse la possibilità di realizzarmi e creare qualcosa di mio in futuro. Poi chiaramente anche il fatto di riuscire ad avere un lavoro che mi permettesse di non avere schemi preimpostati e che fosse sempre dinamico, senza limiti, e che mi desse la possibilità di viaggiare. Cosa che ho fatto soprattutto ultimamente, ma comunque in generale sapevo di avere la possibilità di poterlo fare.


Recentemente siamo stati in Thailandia. Abbiamo trascorso la prima metà del viaggio io e te a Bangkok, e nella seconda metà abbiamo raggiunto altri nomadi digitali in una villa condivisa a Phuket. Ti va di condividere il tuo pensiero riguardo a questa esperienza? Prima di partire, avevi pensieri limitanti a riguardo? Se sì, sono mutati in seguito al viaggio?

Di base non credo di partire mai con pensieri limitanti nei confronti di qualsiasi tipo di esperienza. Anche quando avevo fatto esperienze lavorative nelle stagioni estive, sono sempre stata dell’idea che ogni cosa tu faccia, a maggior ragione se si esce dalla zona di comfort, in generale qualsiasi esperienza, anche se non la senti come esperienza tua che ti possa servire per qualsiasi scopo, a scopo lavorativo per esempio, sono tutte cose che in qualche modo ti formano, ti portano a migliorarti, a sentirti meglio con te stesso, a conoscerti, a riconoscerti in quello che è il tuo corpo, la tua persona, la tua identità. Quindi non sono mai partita con pensieri limitanti.

Ovviamente un conto è con te che ci conosciamo e quindi sapevo che sarebbe andata bene. Ma quando c’è stata l’idea di andare in quella casa con quelle persone non avevo aspettative, ma uno dei pensieri che ho avuto è stato: “E se poi non mi trovo bene con gli altri o non è una cosa che fa per me vivere con altri?”; ma subito dopo questo pensiero mi sono detta che a prescindere da quale fosse l’esito di questa esperienza, positivo o negativo, in qualche modo mi avrebbe apportato un’ulteriore esperienza nella mia vita, magari cambiando anche il mio modo di pensare.

Sia a Bangkok che a Phuket è stato bellissimo. Una cosa che assolutamente non pensavo era il fatto di riuscire a lavorare in maniera molto più produttiva mentre sono in giro. Prima di partire pensavo completamente l’opposto. Questo forse per certi versi era un po’ un pensiero limitante, perché già prima di partire l’avevo vista un po’ come se fosse una vacanza. Quindi mi ero detta: “Ok, prima di partire cerco di fare il più possibile così quando sono là riesco a visitare e girare senza avere impegni lavorativi.”. Poi da una parte per fortuna non sono riuscita a fare la maggior parte del lavoro per tempo, anche perché poi mi si è aggiunto ulteriore lavoro, e questo mi ha portato a lavorare molto anche da là. Ma al tempo stesso il fatto di dover lavorare mi ha fatto capire che in realtà era solo un limite mio mentale, ma che effettivamente ero molto più produttiva a lavorare dalla Thailandia. O perlomeno lavoravo con una leggerezza d’animo completamente maggiore risposto a quando lavoro da qui. E anche con una consapevolezza differente, perché ti porta proprio a vivere la giornata in una maniera diversa rispetto a come vivresti normalmente. Ogni giorno hai modo di arricchirti e conoscere nuove persone. A parte l’esperienza nella casa che abbiamo fatto a Phuket, anche quando eravamo io e te a Bangkok. E questo ti dà in qualche modo più vita, insomma modo di sentirti più pieno di te, di conoscerti, di individuare la persona che sei, di riconoscerti. Sia a livello personale che anche a livello professionale. È stato bello lavorare con a fianco altre persone, sia te che quando eravamo a Phuket, proprio per una questione di supporto reciproco. Lavorare da soli a casa al computer è piuttosto deprimente; invece, circondati da altre persone si ha più energia, più energia anche per lavorare, e conseguentemente si è più produttivi. È tutta una conseguenza di cose, sicuramente! Quindi sotto questo punto di vista il mio pensiero sul viaggio è mutato decisamente e alla fine del viaggio mi sono sentita molto molto molto triste all’idea di tornare a casa. Ho pensato che avrei voluto trascorrerci più tempo per sentire proprio quelle sensazioni di vita – mi viene da dire – dentro di me e per il fatto che questo viaggio mi ha portato a riconoscermi e individuarmi. Questo è stato veramente illuminante e bellissimo, come dicevo prima, sia dal punto di vista personale che professionale.


Che consiglio daresti a qualcuno che vorrebbe provare a intraprendere la vita da nomade digitale, seppur magari iniziando con una esperienza limitata come hai fatto tu?

Mah, il consiglio più scontato e banale che mi viene da dare è assolutamente di buttarsi, di non farsi prendere da pensieri limitanti, di non autosabotarsi, ma di buttarsi a capofitto in queste esperienze, perché in un modo o nell’altro ti aiutano, ti formano, ti migliorano, ti cambiano in realtà completamente la vita. Quindi penso che il consiglio più in linea che mi viene da dare sia proprio questo. Non farsi limitare da pensieri dettati dalla società in cui viviamo. Spesso questi pensieri sono culturalmente intrinsechi, che sia dall’educazione per esempio. Però la sensazione di libertà che esperienze del genere ti fanno vivere, cioè che la vita da nomade digitale ti fa vivere, è indescrivibile. Che poi uno può pensare che sia una cosa che uno si deve sentire, ma io direi non per forza, perché non è che devi fare per tutta la vita il nomade digitale. Però fare un’esperienza o più esperienze del genere, o magari un periodo della tua vita da qualche parte, è qualcosa che ti cambia la vita in meglio.


Andrea Ferri Autore presso La Mente Pensante Magazine
Andrea Ferri
Interprete | Traduttore | Nomade Digitale
Bio | Articoli | Video Intervista AIPP Febbraio 2024
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