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Cos’è l’empatia?

Un approfondimento sul costrutto dell’empatia


L’empatia è un vocabolo che è entrato a far parte del nostro dizionario quotidiano, la caratteristica per eccellenza per definire una persona sensibile, o meno, ai problemi che affliggono l’altro.

Il senso comune definisce l’empatia come la capacità di capire e sentire quello che sente la persona, o le persone, con cui interloquiamo.

Tuttavia, essere empatici, come specifica Simon Baron-Cohen nel suo libro “La scienza del male“, non significa solo saper capire cosa sta provando l’altro, ma saper anche rispondere in modo adeguato e corrispondente allo stato emotivo altrui.

Per cui quando parliamo di empatia parliamo di due fasi: una di riconoscimento e una di risposta all’emotività dell’altro.

Ma è davvero solo questo?

Se andiamo a ricercare ancora più indietro, tra la fine dell’800 e l’inizi del ‘900, troviamo Theodor Lipps, uno dei precursori delle teorie sull’empatia.

Secondo questo filosofo l’empatia non è solo un modo di relazionarci all’altro, ma anche, e soprattutto, un modo per apprendere il mondo.

L’empatia è, dunque, uno dei principali modi che l’uomo attua per conoscere il mondo che lo circonda, fin dalla prima infanzia.

Infatti, il bambino oltre che con l’apparato sensitivo, studia e conosce il mondo tramite l’interazione con l’altro, la quale mette le fondamenta sulla comprensione dell’altro e dei segnali che invia – come il bambino che comprende e conosce il mondo inizialmente grazie alla madre, la quale gli dà feedback su ciò che fa bene e su ciò che fa male – in questo senso l’uomo apprende tramite empatia.

Questo ci serve a capire che dobbiamo uscire dal concetto comune che si ha, per capire la complessità che invece c’è dietro questa capacità.

Ma possiamo empatizzare tutti con tutti?

Secondo Anna Donise, autrice del libro “Critica della ragione empatica” e docente di filosofia all’Università Federico II di Napoli, alla base dell’empatia vi è la simpatia, la quale riesce a farci sintonizzare con l’altro, permettendoci di prendercene cura e di essere, quindi, disponibili a farlo.

Pensate, in effetti, a tutte quelle volte che avete visto accadere qualcosa di poco piacevole a qualcuno che non vi è particolarmente simpatico, e notate come non avete empatizzato con lui, diversamente magari per come accadrebbe per una persona amica, o che vi ispira più simpatia.


L’empatia come strumento per apprendere il mondo

Lipps, dunque, vede l’empatia come una delle tre fonti grazie alle quali l’individuo conosce il mondo e il suo contesto.

La prima fonte è la percezione sensibile, mediante la quale “so delle cose” che riguardano la realtà circostante; la seconda è la percezione interna che mi consente di sapere di me stesso; infine, vi è l’empatia che mi fa conoscere “gli altri io“, poiché, secondo l’autore, l’empatia permette di cogliere “l’oggettivazione di me stesso in un oggetto diverso da me“.

In questo senso, l’empatia è un secondo modo in cui ci relazioniamo agli oggetti: l’Io sente, pensa, giudica e prova piacere “nella cosa” e non “di fronte” a essa.

Per rendere più chiaro questo concetto, andiamo a vedere un caso esemplificativo riportato dalla dottoressa Donise, all’interno del suo libro, in cui racconta la storia di Matteo, un bambino di quattro anni che adora il mare e non vuole mai uscire dall’acqua.

Chiamato dalla madre più volte, Matteo cede ed esce dal suo amato mare.

Un giorno vedendo una boa in mezzo al mare, domanda cosa fosse e qualcuno gli spiega che è una boa, che è sempre immersa nell’acqua e che serve per attraccare le barche. Il bambino, sorpreso e affascinato, risponde: “e la sua mamma non gli dice niente?“.

In questo senso ritroviamo l’oggettivazione di cui Lipps parla, ovvero la personificazione degli oggetti, grazie alla quale l’uomo si identifica nell’oggetto e riesce a trarne pensieri, giudizi ed emozioni.

Nel momento in cui si “appercepisce” un oggetto, si fa esperienza di una determinata modalità del proprio comportamento interiore, come gioia o tristezza, ma si esperisce come appartenente all’oggetto appercepito (Lipps, 1909).

L’empatia è, dunque per Lipps, un modo d’essere della soggettività, grazie alla quale si conosce il mondo emotivamente connotato, sia esso animato o inanimato.


Gli strati dell’empatia

Nella “Critica della ragione empatica“, Anna Donise teorizza una teoria dell’empatia a strati come una torta – come lei stessa scrive – di sei livelli qualitativamente diversi tra loro, in cui lo strato più alto si fonda su quelli più in basso e seguono lo sviluppo del bambino, il quale esperisce il mondo tramite le proprie relazioni.

Partendo dalle prime esperienze di vita, Donise spiega e approfondisce i vari stadi dello sviluppo dell’empatia nell’infante, fino all’adulto:

  • Livello 0: si parla di unipatia, un concetto iniziato da Lipps nel 1907, con il quale si fa riferimento ad un’esperienza fusionale, riferendosi in particolar modo al periodo in cui l’infante non ha ancora sviluppato un Io diviso dalla madre.
  • Livello 1: si parla di un contagio emotivo o empatia fusionale. Lipps parla di un primo strato di empatia che comporta in maniera immediata, irrazionale e inconscia, un’immersione involontaria nel corpo e nei movimenti degli altri. Il bambino troppo piccolo, però, non riesce ancora a differenziare sé stesso dall’altro.
  • Livello 2: si parla di empatia emotiva. In questa fase invece, il soggetto riesce a differenziare sé stesso dall’altro, per cui quando prova ad esempio tristezza per un’altra persona, riconosce che non è la propria, ma dell’oggetto di fronte: per cui il soggetto soffre, ma è l’altro a stare male.

E si possono sperimentare vari tipi di empatia come:

  1. a) l’empatia emotiva vera e propria, ossia la capacità di essere tristi per la tristezza di un altro;
  2. b) la simpatia (o partecipazione empatica), ossia la capacità di interessarsi a partecipare allo stato emotivo di un altro;
  3. c) il contagio emotivo, ossia la capacità di sentire un’emozione in prima persona a causa dell’emozione di un altro, senza che vi sia la consapevolezza della causa scatenante del vissuto dell’altro;
  4. d) il disagio personale (personal distress), ossia la capacità di sentire un disagio o un’angoscia in prima persona a partire, però, dal vissuto dell’altro.
    Come quando proviamo dell’imbarazzo per qualcun altro che compie un’azione o un’affermazione imbarazzante, quello che noi oggi chiamiamo “cringe“. Alla base di questa esperienza – per Adam Smith (1759/2009) – vi è il mettersi nei panni dell’altro e chiedersi: “reagirei anche io così?“. Donise, però, non la considera una pura empatia emotiva, poiché l’altro non prova né esprime alcun imbarazzo. Inizia qui la descrizione del prossimo strato: l’empatia immedesimativa.
  • Livello 3: si parla di empatia immedesimativa, ovvero provare empatia per l’altro tramite il racconto di una sua esperienza carica emotivamente. In questo livello si sviluppa la teoria della mente, grazie alla quale l’individuo riesce a mettersi dal punto di vista di un’altra persona e conservare contemporaneamente la consapevolezza della differenza tra l’altro e me.
  • Livello 4: si parla di empatia comprendente e narrativa, ossia la comprensione del punto di vista soggettivo dell’altro, attraverso la narrazione articolata delle vicende di quest’ultimo. Questo livello presuppone la capacità immaginativa che consente di entrare nella “visione del mondo” altrui, anche se distante dalla propria. Come, ad esempio, accade con i personaggi di un romanzo, in cui ci immergiamo; o come accade per uno storico che cerca di capire le scelte di un personaggio del passato.
  • Livello 5: arriviamo a parlare della simpatia, ossia la capacità di condividere, partecipare e accogliere il vissuto dell’altro, un istintivo interesse e un’immediata condivisione del suo vissuto. Per spiegare meglio questa capacità, Donise riporta un proprio vissuto personale raccontando un episodio accaduto con la figlia, la quale un giorno all’uscita di scuola la trova in lacrime, e spiega come in quel momento l’autrice non abbia sentito il bisogno di sapere cosa fosse successo, perché la sua capacità simpatetica si è attivata immediatamente per consolarla.

In questo strato l’autrice fa un’ulteriore differenziazione tra compassione ed empatia o simpatia, secondo la quale: la compassione è rivolta esclusivamente ai vissuti negativi, per cui l’altro è in una situazione di difficoltà o sofferenza; mentre l’empatia o simpatia si prova anche per stati d’animo di gioia e allegria.

La simpatia è quindi un vissuto ibrido, poiché oltre che a sentire l’altro, ci permette di mettere in gioco attivamente delle parti di noi, per prenderci cura dell’altro e di essere, soprattutto, disposti a farlo.

In conclusione, l’empatia è, sì, la capacità di comprendere l’emotività dell’altro, ma soprattutto è la capacità grazie alla quale conosciamo ed esploriamo il mondo.

L’interazione con gli oggetti e il riconoscimento dell’alterità dell’altro, ci consentono di apprendere le norme morali e sociali, le quali ci permettono di convivere all’interno di una società.

Non solo, l’empatia ci permette di imparare a riconoscere le emozioni altrui e di conseguenza di riconoscere le proprie, come quando, ad esempio, da piccoli facciamo le smorfie allo specchio.

Dopo lo sviluppo del sistema motorio e, quindi, della capacità di afferrare gli oggetti, maneggiarli e scoprirli sotto il punto di vista sensitivo, entra in gioco la relazione con l’oggetto, grazie alla quale si ha un’esperienza diretta non solo a livello sensibile, ma anche emotivo e più un evento sarà carico emotivamente, più l’associazione a quell’oggetto o situazione sarà intrisa di importanza, piacevole o spiacevole che sia. Nel caso in cui l’empatia non si sviluppasse adeguatamente, è possibile che il bambino cresca diventando una persona incapace di riconoscere le proprie emozioni e quelle altrui.

Non provare empatia non è danneggiante solo per gli altri, ma è logorante inconsapevolmente anche per chi non la prova.

Immaginatevi non riuscire a riconoscere un’espressione facciale, un tono di voce, non poter reggere situazioni emotivamente troppo cariche, per paura che possano distruggervi, perché quando non conosci le emozioni, entrarci in contatto spaventa, sempre.


Bibliografia

Baron-Cohen S. (2011). La scienza del male. Raffaello Cortina Editore (2012).
Donise A. (2019). Critica della ragione empatica. Fenomenologia dell’altruismo e della crudeltà. Il Mulino.


Dott.ssa Lucia Marzano Autrice presso La Mente Pensante Magazine
Dott.ssa Lucia Marzano
Psicologa Clinica
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