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Encanto: la meraviglia dell’imperfezione

Una favola sul perfezionismo e sulla magia della “normalità”


Cosa vuol dire essere perfetti? E a cosa serve esattamente la perfezione, anzi, per meglio dire, il perfezionismo, ovvero la tendenza a considerare inaccettabile qualsiasi deviazione da rigidi standard precostituiti?

Encanto, film diretto da Byron Howard, Jared Bush e Charise Castro Smith, vincitore del premio Oscar e del Golden Globe 2022 come miglior film d’animazione, ci mostra come quella del perfezionismo sia una strada molto difficile da percorrere, un sentiero in salita che allontana da sé stessi, dando sempre più potere a un giudice interiore particolarmente severo, che impedisce di vivere serenamente e di godere appieno dei propri talenti.

Encanto è la storia di una mamma che fugge dalla guerra con i suoi tre bambini e che, grazie alla magia, riesce a sopravvivere a un destino crudele e a garantire un futuro alla sua famiglia.

Il tempo passa e, man mano che le generazioni si susseguono, ciascun membro dei Madrigal riceve un dono magico, un talento in grado di portare a tutti ricchezza e gioia.

L’unica a non ricevere nulla è Mirabel, una ragazza allegra e sensibile, sempre pronta a regalare buon umore e fiducia a chi le sta intorno.

Nonostante le sue qualità, la nonna non riesce ad apprezzarla: la sua ossessione per la perfezione le mostra una famiglia in cui tutti brillano grazie ai loro talenti, mentre Mirabel, con la sua “normalità”, getta ombra sulla luminosità di Casita, la dimora animata che partecipa attivamente alla vita dei suoi abitanti, con quel realismo magico tanto caro alla cultura sudamericana.

Le continue critiche della nonna feriscono profondamente Mirabel, facendole percepire l’amarezza per aver deluso le aspettative delle persone a lei più care. Cosicché, a un certo punto, decide che, pur essendo priva di talenti, troverà un modo per essere utile alla sua famiglia, rischiando addirittura la vita.


Cosa nasconde il perfezionismo?

Nonostante Mirabel senta il peso della sua “diversità”, sono forse le sorelle a soffrire di più: Luisa e Isabela sono imprigionate in un ruolo che non hanno scelto, che le costringe a vivere una vita non loro pur di rispondere adeguatamente alle aspettative altrui, mettendo in secondo piano i loro desideri più profondi.

Luisa, in un canto disperato, descrive sé stessa in questo modo: “io non chiedo se sia dura, faccio tutto con disinvoltura, rompo i diamanti, una furia vivente, maestosa, fortissima, immensa, incombente. Ma dietro il mio aspetto il mio intelletto fa il funambolo, il filo è stretto (…) Chi diverrò se cadrò?

Chi si diventa se si cade?

È forse questo l’interrogativo che turba di più chi tende costantemente alla perfezione: mostrare le proprie fragilità significa assumersi il rischio di non piacere e, quindi, di non essere amati.

Ma in realtà l’appagamento che si prova a essere autentici è in grado di compensare la possibile disapprovazione altrui.

Quando Isabella si distacca dal ruolo di “perfettina” e finalmente esprime la sua rabbia, invece dei soliti fiori profumati, produce un piccolo cactus, inedita creazione da lei accolta con un certo entusiasmo: “Che cambiamento questa pianta, e può pungermi un po’. Non è simmetrica, è un po’ buffa. Ma che importa in fondo: è la mia”.

Isabela, dopo tanto tempo, esprime la sua vera natura, e la sensazione che ne deriva è talmente piacevole che il peso del giudizio altrui diventa in un attimo più leggero dell’aria.

Finalmente si è tolta di dosso quell’armatura che la rendeva antipatica, e questo le ha permesso di esprimere non solo una rabbia soffocata da anni, ma anche altre emozioni − tra cui la gioia e un affetto sincero nei confronti della sorella − che fino a quel momento non erano vissute armoniosamente.


La bellezza autentica della “normalità”

Mirabel, un essere umano senza super poteri, ma con un mondo colorato fatto di coraggio, allegria, ma anche di rabbia e tristezza, riesce a entrare in contatto con la parte più genuina di personaggi apparentemente stereotipati, scardina l’armatura che la custodisce e la tira fuori di prepotenza.

Il suo pregio sta quindi nella completezza che la caratterizza, nella sua identità umanamente sfaccettata: a volte è triste, altre arrabbiata, altre ancora ride e fa ridere fino alle lacrime.

Ma è sempre autentica.

L’armoniosa espressione di questo ventaglio di emozioni è dovuta alla sua grande fiducia in sé stessa, al fatto che, nonostante i momenti di sconforto, Mirabel è sempre conscia del proprio valore.

Avendo una buona autostima, non tende al perfezionismo, perché tutto quello che devia da un ideale di perfezione non è visto come una sbavatura, ma è la manifestazione dell’inesauribile ricchezza della sua anima.

La completa accettazione di sé le permette quindi di accogliere senza conflitti anche le sue parti più fragili, consentendole di non provare invidia per i talenti altrui e riuscendo sempre a occupare un proprio posto nel mondo.

Encanto ci racconta quindi come il perfezionismo rappresenti a volte una sponda sicura a cui aggrapparsi quando si ha paura di cadere.

Si tratta di una strategia messa in atto perché, in qualche modo, è utile alla sopravvivenza: i personaggi che nel film la adottano hanno il terrore di essere identificati con l’errore, ed è per questo che non vogliono dargli spazio e si ancorano a un ideale irraggiungibile.

Non si accorgono che nel puzzle della propria persona ci sono tantissimi pezzettini diversi che ne determinano il valore, per cui la tanto ambita perfezione è in realtà un limite all’espressione della magia insita in tutti gli esseri umani, magia che ha bisogno di qualche crepa per poter emergere.


Giulia Adamo Autrice presso La Mente Pensante
Giulia Adamo
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