
FoMO: La paura di essere tagliati fuori e la Nomofobia: NO Mobile Phone Fobia
Le nuove fobie tecno-correlate
L’utilizzo dello smartphone, di altri dispositivi che consentono la connessione online e delle piattaforme social è una realtà onnipresente nella vita di tutti i giorni.
Statistiche recenti indicano che la quantità giornaliera di tempo trascorso sulle piattaforme di social media è cresciuta da 96 minuti nel 2012 a circa 142 minuti nel 2021 (Statista, 2021).
In questo modo, l’offerta sempre più ampia proposta da Internet e dai social media ha determinato la diffusione di una nuova abitudine, ossia essere sempre connessi e reperibili.
La nascita di una nuova fobia
Nell’ampia possibilità di nuovi fenomeni negativi che si sono sviluppati a partire da questa massiccia digitalizzazione e diffusione di social media, ha attirato l’attenzione di molti studiosi l’emergere di una nuova forma di fobia ad esso collegata, la “Fear of Missing Out“ (FoMO), letteralmente la paura di essere tagliati fuori.
La prima comparsa del termine FoMO si fa risalire a Patrick J. McGinnis, il quale lo utilizza per la prima volta in un suo articolo dal titolo “Social Theory at HBS: McGinnis’ Two FOs“, pubblicato sulla rivista The Harbus nel 2004.
La definizione del fenomeno
Con la sigla FoMO si fa riferimento ad un’ansia legata ad un senso di esclusione che può riguardare la vita online degli altri, attraverso condivisioni sui social e su tutti i canali di scambio e di relazione presenti in Internet (Tandon et al., 2020).
Si osserva un crescente bisogno di sentirsi parte di un gruppo, anche quando questo è virtuale, poiché la dimensione digitale è perfettamente intrecciata con quella “reale” e fisica, tanto che non è più possibile tracciarne un confine che li separi.
Il desiderio di soddisfare bisogni innati, come l’attaccamento, l’appartenenza e la popolarità guida l’elevato coinvolgimento degli utenti nelle piattaforme di social media, in quanto possono essere intrinsecamente motivati a rimanere continuamente in contatto con gli altri e con il mondo esterno.
Successivamente, qualsiasi discontinuità percepita (o effettiva) della comunicazione può evocare un senso di esclusione sociale o estraniamento in un individuo, che può anche fungere da precursore della FoMO.
Pertanto, la FoMO è concettualizzata come uno stato di deficit di bisogni innati che può spingere un individuo a mettere in atto comportamenti specifici (Przybylski et al., 2013).
Descrizione
La FOMO è stata identificata come un’ansia coinvolgente due componenti primarie specifiche:
- l’apprensione che gli altri stiano vivendo esperienze gratificanti da cui uno è assente;
- il desiderio persistente di rimanere in contatto con le persone nella propria rete sociale.
La prima componente delinea l’aspetto cognitivo dell’ansia, in termini di preoccupazione e rimuginazione.
Quest’ultima componente implica una strategia comportamentale volta ad alleviare tale ansia, analogamente a come le compulsioni, seppure in modo disadattivo, mirano ad alleviare l’ansia nel disturbo ossessivo-compulsivo.
In questo caso si osserva un controllo frequente di social media e di app di messaggistica per mantenere le connessioni sociali ed evitare di perdere esperienze gratificanti.
Il persistente comportamento di verifica online non è solo attivo, ossia quando le persone hanno il tempo di navigare in modo proattivo sui propri dispositivi, ma è anche frequentemente reattivo (o forse passivo) attraverso le numerose notifiche relative ai social che compaiono durante il corso di tutta la giornata, a cui c’è una coazione a rispondere.
Da un lato, le notifiche sono percepite come utili per la propria vita sociale e sono valutate favorevolmente perché soddisfano e alleviano la FoMO.
Tuttavia, tali notifiche possono determinare un’esperienza quotidiana distratta e meno focalizzata, compromettendo l’attenzione a lavoro, a scuola e durante altre attività della vita quotidiana, a causa dei “costi di passaggio“, che rendono difficile il ritorno e il completamento del compito che si stava svolgendo.
Pertanto, la FoMO può determinare un controllo e una risposta eccessivi alle notifiche dei social media, rendendo difficile rimanere produttivi nella vita quotidiana (Rozgonjuk et al., 2019).
La No.Mo.Fobia
La FoMo è collegata ad un’altra etichetta diagnostica specifica per l’uso dello smartphone, la No.Mo.Fobia o Nomophobia, acronimo dall’inglese “no mobile fobia” (Daily Mail online, 31 Marzo 2008).
Il termine si riferisce alla paura di qualsiasi impedimento all’uso del cellulare, quindi, oltre alla mancanza di connessione, si può manifestare nel caso di zone prive di copertura, nel caso di batteria scarica o a seguito di smarrimento o furto.
In uno studio condotto negli UK è emerso che il 58% degli uomini e il 48% delle donne soffrono di questa fobia, e che il 9% della popolazione si trova comunque in una condizione di stress quando il cellulare è fuori uso perché ci si sente isolati dal mondo e dai social. Il 55% del campione “fobico” associa il proprio stato di alterazione all’impossibilità di soddisfare il bisogno di tenersi in contatto con amici e familiari.
La nomofobia può essere considerata una vera e propria dipendenza da smartphone, che genera stati d’ansia.
Solitamente i nomofobici tentano di evitare l’ansia adottando alcuni comportamenti protettivi, come controllare frequentemente il credito del cellulare o portare sempre con sé un caricabatterie portatile.
Due fenomeni frequentemente associati alla nomofobia sono:
- La sindrome da vibrazione fantasma, in inglese “ringxiety“, dall’unione si “ring” e “anxiety“, fa riferimento a quelle persone che credono di avvertire, con grande frequenza, notifiche inesistenti provenienti dal proprio cellulare, le quali generano stati d’ansia;
- Il phubbing, dalla fusione di “phone” e “snubbing“, in italiano si traduce con snobbare, ignorare, indica quell’atteggiamento scortese e maleducato di controllare continuamente il cellulare, isolandosi e trascurando gli altri, in un qualsiasi contesto sociale. Gli studi indicano che il phubbing è associato, in chi lo subisce, ad un minore coinvolgimento relazionale e ad una percezione di solitudine nei rapporti amicali, di coppia e tra genitori e figli.
La paura di essere invisibili
A guidare queste fobie e questi timori è dunque il bisogno di sentirsi visti e in contatto con gli altri, alimentate dalla paura di essere invisibili.
Le evidenze sostengono l’emergere di queste condizioni sia legata alla possibilità di tollerare la distanza solo in cambio della garanzia di essere costantemente nella mente di qualcun altro e di poter accedere, in caso di necessità, alle relazioni significative in qualsiasi momento lo si desideri grazie alle nuove tecnologie e al mondo virtuale.
Dott.ssa Fiordalisa Melodia
Psicologa Clinica | Videogame Therapist
Bio | Articoli | AIIP Febbraio 2023
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