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E l’ultimo spenga la luce: i 44 anni dalla Legge Basaglia ad oggi

Quando i manicomi furono chiusi per sempre


Assolutamente vietato somministrare cibi e bevande agli ammalati.

Potrebbe ricordare la segnaletica di uno zoo, o dei tempi delle leggi razziali, ma è un cartello che veniva esposto nel manicomio di Vercelli per i visitatori dei degenti.

Chiudere i manicomi è stato un atto umano, rivoluzionario, il cui merito spetta in primis a Franco Basaglia e a un gruppo di medici che ci hanno creduto e si sono battuti per quell’utopia.

Ma una rivoluzione è una rottura radicale e gli effetti conseguenti non sono sempre solo positivi.

La “180” non fu una legge perfetta.

Non si deve credere di aver trovato la panacea a tutti i problemi della malattia mentale con il suo inserimento negli ospedali tradizionali. La nuova legge cerca di omologare la psichiatria alla medicina, cioè il comportamento alla medicina, cioè i comportamenti umano al corpo. Franco Basaglia

La parola fine ai manicomi non venne scritta pochi giorni dopo l’approvazione della legge, bensì molti anni dopo.

Nel luglio del 1997, secondo la relazione conclusiva dell’indagine sulla chiusura degli ospedali psichiatrici, risultavano ancora 20.000 pazienti psichiatrici, “ospiti” nelle 62 strutture pubbliche e nelle 14 private e questo nonostante la legge 724/94 avesse previsto la definitiva chiusura dei manicomi entro il 31 dicembre 1996.


La Legge Basaglia 180/78: i punti cruciali

Nel giro di pochi mesi la Legge Basaglia venne inserita all’interno della legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale (la legge 833 del dicembre 1978); i suoi punti chiave:

  • Eliminazione del concetto di pericolosità per sé e gli altri: trattamento sanitario in psichiatria basato sul diritto della persona alla cura e alla salute;
  • Rispetto dei diritti umani (ad esempio, diritto di comunicare e diritto di voto);
  • Disposizione di chiusura degli OP su tutto il territorio nazionale;
  • Costruzione di strutture alternative al manicomio;
  • Servizi psichiatrici territoriali come fulcro dell’assistenza psichiatrica;
  • Istituzione dei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (Spdc) all’interno degli ospedali generali per il trattamento delle acuzie;
  • Trattamento sanitario di norma volontario: prevenzione, cura e riabilitazione;
  • Interventi terapeutici urgenti in caso di rifiuto di cure e mancanza di idonee condizioni per il trattamento extra-ospedaliero: Trattamento sanitario obbligatorio (TSO);
  • Introduzione del concetto di “correlazione funzionale” tra Spdc o strutture di ricovero e servizi territoriali, sulla scia del principio di continuità terapeutica.

Purtroppo, a più di quarant’anni da quella rivoluzionaria legge, il malato di mente fa ancora PAURA, è un soggetto da tenere lontano. Non più nei manicomi ma non certo in mezzo a noi, nella cosiddetta società “civile”.

Ma… Dove sono finiti gli ex internati? Come sono assistite oggi le persone con un disagio psichico?

Non ci sono più fili spinati e reti a separare le “città dei matti” dal resto della società, eppure resistono altre forme di esclusione ed emarginazione e lo stigma è ancora molto frequente: la maggior parte dei reparti psichiatrici in Italia sono a porte chiuse, ancora frequente la contenzione.

Troppo spesso la “cura” si riduce a dosi massicce di psicofarmaci. Si parla molto di riabilitazione psichiatrica ma diviene un puro intrattenimento da circo. Tutto viene ancora troppo relegato allo psichiatra e nonostante si parli molti di equipe, non funziona.

Cosa fanno in questo processo di cura lo psicologo, psicoterapeuta, riabilitatore psichiatrico, educatore?

La legge 180 ha ridefinito l’idea della pericolosità sociale e ha riconosciuto nel paziente psichiatrico una persona che non può essere privata del suo diritto di cittadinanza in un momento di sofferenza e di fragilità. Ma non basta una legge per liberarsi della paura dell’altro.

La mancanza di servizi sul territorio e di risorse economiche ha fatto sì che in molti casi, si sia risposto al cambiamento della Legge Basaglia riproponendo le stesse logiche di separazione dei manicomi.

Oggi, gli ospedali psichiatrici non esistono più: non ci sono fossati, né reti o fili spinati a separare i ‘normali’ dai ‘malati mentali’. Ma questo non elimina il rischio di nuove forme di esclusione, meno evidenti e più nascoste, ma con identici meccanismi di privazione dei diritti della persona.

A più di 40 anni dalla legge 180, quella iniziata da Basaglia è ancora una rivoluzione a metà.

Chi sono allora i “matti”?

Mettere la malattia tra parentesi, come diceva lo psichiatra triestino, non significa negare l’esistenza della malattia mentale, ma riconoscere l’altro come una persona che soffre, prima ancora che come paziente psichiatrico.

La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d’essere. Aprire l’Istituzione non è aprire una porta, ma la nostra testa di fronte a ‘questo’ malato. Franco Basaglia


Dott.ssa Fabiola Raffone Autrice presso La Mente Pensante Magazine
Dott.ssa Fabiola Raffone
Psicologa Clinica | Criminologa | Grafologa | Esperta in Psicodiagnostica |
Terapista della riabilitazione psichiatrica | Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale i.f.

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