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Il comportamento è l’interazione tra l’organismo e il suo ambiente

Aspetti fisiologici, psicologici motivazionali, sociali-relazionali

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Ho preso il detersivo. Ho deciso di imparare a fare da me. È ridicolo che un uomo non sappia fare il bucato. Uffa! Come faccio a mettere la camicia nel flacone? – Linus, in Peanuts di Charles M. Schultz

Da un punto di vista dell’approccio biologico e della Psicologia Fisiologica, per comportamento si intende l’insieme di attività osservabili dall’esterno da un altro organismo e che si conclude con una contrazione muscolare oppure con una attivazione ghiandolare esocrina.

Livelli di accesso allo studio di questo tipo di comportamento sono: gli Istinti e i Riflessi.

Il grado di comprensione si concretizza nell’osservazione della tendenza intrinseca a mettere in atto determinati comportamenti innati e spontanei.

Nell’accezione di “innati” si hanno i comportamenti preformati, automatici esistenti senza apprendimento, esperienza o imitazione e soprattutto senza nessuna intenzionalità; in tal senso sono risposte interne a sollecitazioni esterne (Jean Henri Fabri, entomologo francese, 1823 -1915).

Nell’Uomo il comportamento istintivo è strettamente legato alla sopravvivenza, all’autoconservazione e all’autoaffermazione e in ciò non si distingue dagli altri Animali.

Uno psicologo che si occupa in maniera attenta e scientifica dell’osservazione del comportamento dell’Uomo è Wilhelm Wundt (psicologo tedesco, 1832-1920). Egli fonda il primo laboratorio di psicologia (Lipsia,1879) presso cui effettua esperimenti volti a misurare le sensazioni e i sentimenti provati tra uno stimolo e l’altro.

In tal senso, la sua psicologia è sperimentale.

Il suo metodo d’indagine è l’introspezione, attraverso cui si può dare immediato significato a quanto provato, senza alcuna inferenza se non la soggettiva decodifica.

Per “Introspezione” si intende l’osservazione diretta e immediata di quanto soggettivamente provato in risposta ad uno stimolo sensoriale (luce, colore….)
ed anche:

“L’introspezione è l’auto-osservazione interiore, cioè l’osservazione che l’io fa dei propri stati interni” (Nicola Abbagnano, emerito filosofo italiano, 1901-1990) citato da Saverio Fortunato (docente di criminologia) nel suo articolo “La Psicologia sperimentale e il laboratorio di Wundt”.

La teoria di Wundt è criticata perché non prevede che l’introspezione, proprio per il suo carattere di soggettiva definizione di sentimento o sensazione, non può basarsi su un’attribuzione di significato intellegibile per tutti i soggetti. Non solo, per osservare gli elementi costituenti la coscienza non è più valido il sistema di suddivisione dei suoi elementi, come invece accade nella pratica della sua teoria.

Ciò nulla toglie al suo grande merito di aver dato i natali alla Psicologia come Scienza autonoma ed indipendente.

Potrebbe essere questo il motivo per cui si è dato maggiore spazio alla descrizione della sua teoria, nonostante anche altri studiosi abbiano voce in capitolo.

Tre citazioni solamente, tra le altre, a riguardo degli istinti:

Sigmund Freud, per il quale l’istinto base di sopravvivenza (fame, sete…) corrisponde ad una spinta somatica (trieb) che, una volta soddisfatta, si trasforma da somatica in psichica, ovvero nella pulsione sessuale.

Infatti, nell’accezione psicoanalitica, l’istinto è inteso come pulsione e si trovano, in esso, tutti quei comportamenti cui l’individuo non può sottrarsi, che tendono all’eliminazione dello stato di tensione.

René Spitz (psicoanalista austriaco,1887-1984) devoto e sincero ammiratore di Freud, studioso della relazione madre-bambino: per quanto riguarda la percezione degli stimoli esterni, il neonato alla nascita è fisiologicamente protetto da una “barriera” esterna (= riflesso di difesa) e, dunque, risponde solo agli stimoli introcettivi senza relazione con l’esterno.

Abraham Maslow (Psicologo statunitense, 1908-1970): il termine istinto è una equivoca definizione, perché gli istinti si configurano con i bisogni (primari e secondari) i quali non prevedono un passaggio ad una gerarchia superiore senza che sia soddisfatta quella inferiore. Dunque, bisogni ed anche motivazioni possono essere sovrapponibili.

Invece, se ci si riferisce al comportamento animale, l’etologia offre studi sperimentali molto ricchi e approfonditi per quanto riguarda gli istinti specie-specifici (comportamenti istintivi).

Come ad esempio il comportamento del pesce spinarello (difesa del corteggiamento, riproduzione e difesa delle uova), delle formiche rosse del Brasile (aggressività verso intrusi nella colonia) ed altri, compresi quelli dell’apprendimento per imprinting (Konrad Lorenz, etologo austriaco, 1903-1989).

L’altro livello di comprensione del comportamento è dato dai Riflessi.

I Riflessi sono innati e involontari, sono insiti nella natura animale per evitare pericoli o per riportare lo stato di omeostasi e sono quindi considerati meccanismi di difesa.

Il comportamento dovuto al Riflesso (Azioni Riflesse) è riconducibile, quindi, al repertorio di azioni o risposte che dipendono da stimoli sensoriali, ad esempio la sudorazione per il caldo eccessivo, il pianto come reazione al dolore, la pelle d’oca per il freddo o per la paura…

La reazione al Riflesso è molto importante in quanto la risposta allo stimolo dipende dall’integrità dei centri nervosi stimolo-risposta (SNC).

Nello specifico, il Riflesso provoca una risposta, immediata di breve durata e involontaria ad una stimolazione sensoriale.

Sotto questo aspetto, il comportamento individuale perde il suo significato, che è quello di essere dominato e regolato da un fine da raggiungere, ossia non ne consegue un’azione (per sottrarsi al caldo o al freddo o per alleviare il dolore).

Specificando ulteriormente: il Riflesso è risposta fine a se stessa che non prevede una motivazione e non comporta un’ideazione per la risposta, nel senso che è spontanea.

Da risposta spontanea fisiologica, la psicologia passa oltre:


I riflessi incondizionati: Pavlov e Skinner

In effetti, i Riflessi non sono solo involontari ma vi sono anche quelli “condizionati”, che sono più complessi e che richiedono l’attivazione dei centri nervosi superiori.

Ivan Pavlov (medico fisiologo russo,1849-1936) nel suo studio del 1903: occorre che vi sia un fattore condizionante per produrre la risposta desiderata.

È noto l’esperimento del cane sottoposto alla privazione di cibo e al suo condizionamento attraverso una campanella; il suo suono da solo non produce nessun effetto, mentre se associato al cibo produce associazione, in modo che successivamente al solo vedere la campanella il cane produce la risposta desiderata.
Dunque, il suono della campanella associato al cibo è il fattore condizionante.

L’altro studio importante dei riflessi condizionati è quello di:

Burrhus Skinner (psicologo statunitense, 1904,1990): In breve, a differenza del condizionamento classico in cui si rinforza un riflesso già presente, in questo caso il condizionamento è “operante” nel senso che stimola la creazione di nuovi modelli di comportamento attraverso la tecnica del rinforzo.


Attivazione dello scopo: psicologia del comportamento – la motivazione all’azione

Dunque, il comportamento è un’azione, se volontario.

Alla base dell’azione comportamentale, o come sua causa, sia ha una motivazione a raggiungere uno scopo, motivazione che trova spiegazione negli ambiti di indagine della psicologia.

Quindi, il comportamento è essenzialmente attivazione per il raggiungimento di uno scopo.

Il concetto di motivazione – introdotto in psicologia funzionale da William James (psicologo statunitense, 1842-1910) e successivamente da Abrahm Maslow (psicologo americano, 1908-1970) – è una chiave d’accesso per la comprensione del comportamento.

In particolare, la “piramide di Maslow” è una teoria che rappresenta in forma grafica i bisogni dell’uomo. Bisogni fisiologici, di sicurezza, di appartenenza., di stima di auto-realizzazione, a base decrescente con completamento dei sottostanti.

I comportamenti che rispondono a motivi primari (bisogni) sono connessi al soddisfacimento di quelli di tipo biologico, legati quindi all’alimentazione, alla sessualità e alla sopravvivenza e, dunque, hanno una priorità motivazionale assoluta.

Esiste una concezione del comportamento guidato da scopi che permette di comprendere meglio i motivi delle azioni e se esse siano coerenti con le aspettative.

Essa si rifà al modello TOTE (acronimo derivante da test-operate-test-exit) degli anni 60, utilizzato ancora oggi soprattutto in ambito della psicologia comportamentale e nella P.N.L. (Programmazione neuro linguistica).

Un altro modo per raggiungere lo scopo consiste nell’utilizzo di euristiche, ossia insieme di regole che spiegano come prendere decisioni, cioè come comportarsi di fronte a problemi complessi.

Le euristiche sono “scorciatoie mentali” utilizzate per risolvere, appunto, problemi (euristico dal greco significa trovare, scoprire nel migliore dei modi).


Aspetti sociali e relazionali

Gli aspetti sociali e relazionali nascono essenzialmente dal bisogno che ogni individuo ha degli Altri, di stare con loro e dal bisogno di essere considerati e riconosciuti, com’è dimostrato dalle fasce alte della Piramide di Maslow.

Quale sarà il comportamento sociale e relazionale dipenderà molto dai fattori del percepire gli Altri e dai fattori di influenza degli Altri sui singoli.

E’ quindi la percezione della personalità altrui a determinare azione e comportamento, in base a categorizzazioni.

In altre parole, si “vedono” gli altri per assimilazione a categorie da cui trarre informazioni su come agire.

Per assumere un comportamento nei confronti degli Altri, occorre però capire per quanto possibile non solo la personalità ma anche le intenzioni ed il comportamento stesso degli altri.

Normalmente si usano regole di attribuzione per inferire il comportamento altrui.

Un’attribuzione disposizionale, dovuta a supposte capacità personali, oppure un’attribuzione situazionale, dovuta all’oggettività della situazione determinano in modo considerevole il comportamento verso la persona considerata.

Nell’interazione sociale, attribuire un comportamento alla persona oppure alla situazione può essere utile, ma non facile.
Infatti, è possibile – rispetto alla stessa persona – che non tutti abbiano la medesima opinione o lo stesso punto di vista o, ancora, lo stesso modo di formulare le attribuzioni.

Questo fatto può condizionare anche il proprio comportamento rispetto alla situazione di relazione, perché normalmente si è portati ad attribuire al proprio comportamento fattori situazionali e a quello degli altri fattori disposizionali.

Ma ciò dipende ancora dalla quantità di informazioni possedute.

E’ evidente che si dispone di molte più informazioni sui motivi del proprio comportamento.

Cioè, il comportamento assunto da attore si pensa sia razionalmente conforme alla situazione; quello assunto da osservatore è soggiacente alla presupposizione di caratteristiche personali altrui.

Osservare gli Altri ma non se stessi induce in questo tipo di errore: credere che gli altri in una data situazione si comportino soltanto in base alla loro personalità, mentre occorrerebbe rispondere anche alle necessità della situazione.

In altri termini, l’errore di attribuzione alla persone (disposizionale) e non alla situazione porta ad una percezione non fedele degli Altri e dei loro comportamenti, con relative valutazioni restrittive e limitative, perché espresse da un solo punto di vista, il proprio, e con carenza di informazioni.

E’ ciò avviene, ad ogni modo, senza esserne pienamente consapevoli.

Si ha, quindi, una tendenza al comportamento egocentrico basato sulla consapevolezza dell’importanza del proprio apporto a discapito della rilevanza di quello altrui e basato anche sull’idea che il proprio comportamento debba essere condiviso e assunto da chiunque, se non altro dalle persone alle quali sono attribuite categorizzazioni che le rendono simili.

Questa idea di un consenso limita le risposte a tutti quei comportamenti socialmente “attesi”, mentre si presta molta più attenzione ai comportamenti insoliti e inattesi in relazione sempre al proprio punto di vista.

Il comportamento sociale e di relazione può inoltre essere influenzato anche dal proprio senso di giustizia del mondo, che si riflette nella valutazione delle azioni compiute o subite dagli Altri.

Inoltre, la ricerca di una conferma comportamentale in base all’adempimento delle profezie dettate dalle proprie aspettative sugli Altri comporta una distorsione della considerazione oggettiva del comportamento ogni qual volta le proprie ipotesi sono contrastate dal verificarsi di fatti diversi.

Che le profezie basate sulle proprie aspettative si verifichino nel comportamento degli Altri è fatto frequente, perché l’interazione assumerà come scopo proprio la sorte delle aspettative e sarà basata sulle azioni che porteranno alla dimostrazione dell’esattezza del previsto.

E, ancora, un aspetto importante nelle interazioni è l’atteggiamento assunto verso persone o situazioni che può avere effetti sul comportamento, in quanto è logico presupporre che esso sia influenzato dalle valutazioni di entità dell’atteggiamento stesso.

Per cui, conoscendo l’atteggiamento di una persona, si pensa sia possibile predirne il comportamento.

Se ciò può essere possibile, lo è altrettanto il contrario, essenzialmente per due motivi:

Può darsi che ci sia inibizione da parte delle norme sociali, oppure – l’altro motivo – che gli atteggiamenti altrui non corrispondano alla rappresentazione mentale soggettiva della categoria a cui, soggettivamente, ci si riferisce.

Per contro, anche il comportamento ha effetti sull’atteggiamento.

E a questo proposito è utile riferirsi a due teorie che danno spiegazione del perché di azioni in contrasto con opinioni e atteggiamenti.

La “teoria della dissonanza cognitiva” si riferisce alla possibilità che due cognizioni siano incoerenti o in contrasto tra esse e pertanto la dissonanza genera tensione psicologica che occorre ridurre, fatto facilmente attuabile se una cognizione può essere cambiata, facendo così coincidere comportamento e atteggiamento.

Le cognizioni di “realtà” (episteme, dal greco “conoscenza certa”) sono difficilmente modificabili, mentre quelle basate sulle opinioni (doxa, dal greco “opinione”) hanno meno resistenza.

A differenza della dissonanza cognitiva, basata – appunto – sulla tensione dell’incoerenza comportamento/atteggiamento,

per la “teoria dell’auto-percezione” la differenza tra comportamento e atteggiamento non provoca nessuna tensione, perché la differenza è contenuta ed accettata, al massimo può provocare sorpresa nel ritrovarsi in un comportamento insolito.


Conclusioni

Comportarsi in un modo oppure in un altro non è mai la stessa cosa.

Due posizioni a confronto, entrambe molto discusse da sempre:

Libero arbitrio: tutto è auto-determinato
e
Determinismo: tutto è pre-determinato

L’idea del Libero Arbitrio. assunto di base: l’uomo è libero di scegliere come agire. Oggi corrente screditata dalle neuroscienze che dimostrano che tanto liberi non si è, perché – se è la mente a decidere il comportamento e dunque a poterlo prevedere, il tempo che intercorre tra l’ideazione e l’azione deve far riflettere sulla propria responsabilità (= dal latino responsum, ossia risposta) e quindi comportarsi secondo riflessione morale e non secondo istinto.

Il succco degli studi odierni è che non si è liberi per niente perché il libero arbitrio è un’illusione. Teoria computazionale, algoritmi, intelligenza artificiale impegnano gli studiosi di molte discipline in questo complesso dilemma.

L’idea del Determinismo. dall’altro canto, si crede nella concezione deterministica per la quale tutti gli eventi sono frutto di cause precedenti e, dunque, ogni cosa può essere spiegata; in questa concezione l’uomo non ha nessun potere di scelta e nessuna responsabilità. Questa visione oggi non convince più, perché è superata dall’indeterminismo e dalla fisica quantistica.

Dal canto suo, Freud si associa ben bene al concetto di determinismo affermando che nulla succede casualmente e che ogni accadimento ha legame con ciò che è accaduto prima o addirittura deve accadere (determinismo psichico).

Infine, oggi la società propone mille opportunità e altrettante forzature di scelta.

Onore alle teorie e lunga vita, magari però comportarsi secondo buon senso e buona condotta potrebbe evitare di finire come l’Asino di Buridano.

Lettura consigliata: “Il Mito della Caverna” – Platone , La Repubblica – libro settimo


Dott.ssa Grazia Aloi autrice presso La Mente Pensante Magazine
Dott.ssa Grazia Aloi
Psicoanalista | Psicoterapeuta | Sessuologa
Bio | Articoli | Video Intervista
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