L’illusione del controllo
Verso una resa del sé
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In questo lavoro riprendiamo la tematica sulla tematica del controllo sulla nostra vita e si tenterà di rispondere alle questioni aperte nella prima parte di questo articolo sempre pubblicata su La Mente Pensante Magazine: “Il controllo illusorio“.
I numeri fra parentesi che trovate durante il testo fanno riferimento alle note inserite in fondo all’articolo.
La doppia via
Abbiamo già visto come il controllo sul flusso dei nostri pensieri sia piuttosto limitato, se non nullo, ed una situazione in cui si evidenzia questa totale mancanza di gestione è quando si risponde in maniera automatica ed immediata a determinati stimoli. A questo proposito il neuroscienziato e ricercatore LeDoux ha scoperto che la ricezione di uno stimolo sensoriale si dirama secondo una “doppia via“: una è costituita da un fascio sottile di fibre nervose che va direttamente all’amigdala (1) senza passare prima dalla neocorteccia (2); l’altra invece, prima di arrivare all’amigdala, passa appunto per la neocorteccia (Mauri 2018). Per questo motivo l’amigdala comincia a rispondere prima della neocorteccia e ciò può costituire un problema, perché l’analisi del contesto che opera l’amigdala è notevolmente meno raffinata e coerente di quella effettuata dalla neocorteccia e ne consegue che durante un’emergenza emozionale, l’amigdala, pur basandosi su dati parziali, pare “sequestrare” ed imporre alla neocorteccia i propri “comandi” (LeDoux in Goleman 1996).
Il ricercatore statunitense arriva anche ad ipotizzare che per via di questa indipendenza dell’amigdala alcuni ricordi possono formarsi senza una partecipazione cognitiva cosciente elevandola così ad un ruolo fondamentale di archivio di impressioni e ricordi emozionali (Ibidem). La risposta che si ottiene dall’analisi della sola amigdala è data da un confronto con ciò che sta accadendo nel presente con quanto è già accaduto nel passato, e molto spesso questa risposta non è congruente con la situazione attuale perché se la situazione presente ha degli elementi solo vagamente analoghi a quella passata, questi basteranno a mettere in allarme l’amigdala (Ibidem). Così, identificando erroneamente lo stimolo con qualcosa di vissuto nel passato, viene “comandato” di reagire istantaneamente con modalità emotive/cognitive fissate in quel passato contesto. Ma la situazione presente, anche se ha degli attivatori simili, non è la stessa cosa a cui si è associato il ricordo dell’amigdala, per cui la risposta che viene fornita nel qui e ora è incongruente o eccessiva rispetto allo stimolo attuale su diversi piani. Questa modalità di risposta venne definita da Ron Hubbard “mente reattiva“, ma in questo lavoro continueremo a descriverla secondo l’ottica di LeDoux.
La mente reattiva
LeDoux ritiene che la maggior parte di queste reazioni non funzionali siano state archiviate durante l’infanzia come programmi della vita emotiva ancora grossolani e molto spesso privi di parole. Infatti i primissimi ricordi emozionali si fissano nella memoria in un periodo in cui i bambini non hanno ancora un linguaggio per descrivere le proprie esperienze. Del resto, come già è stato descritto, questo circuito neurosensoriale trasmette all’amigdala solo una piccola porzione dei messaggi recepiti, mentre la maggior parte di essi procede direttamente verso la neocorteccia. Pertanto, ciò che viene registrato dall’amigdala attraverso questa via preferenziale, si configura come una grossolana approssimazione della realtà. È per questo motivo che
LeDoux chiama “emozione precognitiva” una reazione fondata su frammenti di informazione sensoriale non completamente classificati e integrati in un oggetto riconoscibile. […] Se l’amigdala percepisce la comparsa di uno schema sensoriale importante salta, per così dire, immediatamente alle conclusioni, scatenando le sue reazioni prima di aver avuto prove convincenti (Ibidem, pag. 44).
Questo scarto temporale fra la risposta dell’amigdala e quella della neocorteccia è il motivo per cui molto spesso si manifestano risposte irrazionali, ovvero senza l’ausilio della corteccia cerebrale. Queste reattività sono determinate da esperienze emotive non integrate e danno vita a reazioni parossistiche predeterminate lungo un continuum attacco-fuga: Al primo estremo si hanno risposte violente e nel secondo estremo si hanno situazioni di freezing cioè l’inamovibilità assoluta determinata dalla paura. Nel mezzo ci sono tutte le varie sfumature comportamentali ed emotive.
Le ricerche di LeDoux offrono una spiegazione molto affidabile del substrato fisiologico che sottende l’attivazione di una “mente reattiva”, anche se bisogna considerare che le tali ricerche sono state condotte sui ratti e non sull’essere umano.
Via senza uscita
Nel precedente articolo si era evidenziato che se ci lasciamo andare all’emotività e non effettuiamo alcun controllo sui nostri istinti e sulla mente reattiva possiamo causare effetti molto negativi per noi stessi e per gli altri; d’altra parte se tentiamo di “controllare” tutto, oltre alla fatica ed allo stress che questa operazione comporta, creeremmo una forte compressione emozionale che si riverserebbe negativamente anche sul nostro corpo. La questione, messa in questo modo, sembra non dare spazio ad alcuna via d’uscita ma fortunatamente di vie di uscita ce ne sono tante ed ognuna conforme alla psicologia dei diversi individui, alcune più risolutive ed altre meno. Per esempio chi pratica sport, arti marziali o danza o altri lavori sul corpo, attraverso il movimento riesce in maniera inconsapevole, durante la fase di attività e per un certo periodo dopo la sua fine, ad attenuare il lavorio mentale e scaricare parte delle energie represse e immagazzinate nel corpo. Lo stesso si può dire di tutte le arti in generale percé sospendono la parte razionale. Lo stesso vale per alcuni approcci psicoterapici che lavorano sul corpo come per esempio la bioenergetica, oppure come la Mindfulness (3) che si pone invece come obiettivo la pacificazione ed osservazione della mente. A queste tecniche poi si devono aggiungere, a maggior ragione, tutte le pratiche di meditazione che costituiscono la via maestra per la risoluzione di tale questione (4).
La terza via
La mente può essere raffigurata come un intruso che ha l’illusione di controllare tutto, che non molla mai, che vuole sempre sapere cosa stia succedendo sia fuori che dentro di sé; fa attenzione al minimo cambiamento cognitivo ed emotivo, ma è solo apparenza di controllo, perché gli stati accadono al di fuori della nostra volontà ed è soltanto abbandonando l’idea del controllo che si potrà toccare la nostra Verità (Leone 2019). Non è un caso che si sia usato il termine “idea”, perché poter controllare tutto è solo una supposizione che non ha alcuna attinenza con ciò che si manifesta nella quotidianità. Anche quando si comprende che non c’è più nulla da controllare, la mente non si arrende perché l’inerzia e la semplicità non rientrano nei suoi repertori. Così la mente si sforzerà di “trovare” e “fare” qualcosa ed è con questi inganni che ci porta continuamente a spasso (Ibidem).
Non si sta qui proponendo di cancellare quei processi mentali fondamentali per l’esistenza, ma piuttosto di alterare il determinismo a cui tali processi conducono (Levy 2021). Infatti, come sostiene il Maestro Daniel Levy,
la necessità del metodo appare quando l’imperfetto desidera la perfezione, ed è proprio qui che il metodo fallisce. Niente che non sia già perfetto può divenire tale. Per questo motivo il metodo è percorso come un labirinto dall’anima ansiosa, finché, perduta l’ansia in un vicolo cieco, abbandona con essa tutti i metodi, sistemi e scienze minori per realizzare l’Arte (Ibidem, pag. 19).
Quest’ultima citazione ci conduce alla filosofia Advaita, la non-dualità che si configura come un insieme di diverse scuole di pensiero, ma che hanno tutte in comune un concetto fondamentale: ” Le cose accadono” e ciò pare indicare un atteggiamento di resa di fronte agli accadimenti della vita. Superficialmente questa concezione sembra richiamare il concetto di “Volontà di Dio” ed una sorta di passività di fronte agli accadimenti, ma in realtà c’è una grossa differenza, perché in quest’ultimo caso invece non sussiste un essere superiore che “decide” il bello ed il cattivo tempo: nel concetto di “resa” qui espresso, ci si arrende fondamentalmente a se stessi e non a qualcosa di esterno (Nisargadatta 1973). Forse in questo modo si può uscire dalla dicotomie concettuali controllore-controllato, osservatore-osservato, soggetto-oggetto.
Controllo: l’esperienza diretta
Dopo aver approfondito ed evidenziato l’incapacità dell’essere umano di poter controllare tutto il suo ambiente interno/esterno sembra proprio che il primo passo da effettuare verso la Conoscenza sia quello di comprendere se si è coscienti di “chi” sta pensando, “chi” sta decidendo di fare cosa. Il passo successivo poi è quello di scoprire chi sta testimoniando tutto ciò? Come fare?
Siamo arrivati al punto centrale: al concetto di “resa” che è in grado di confutare alcune mie affermazioni precedenti, perché paradossalmente è proprio tramite l’arrendersi che si aprono dei portali per la manifestazione delle nostre intenzioni e teoricamente per la realizzazione di qualsiasi cosa si desideri… Se non esiste alcun mondo al di fuori di noi, se la “realtà” è una proiezione cognitiva, se nella sostanza non esiste nulla, il mattone primordiale è solo un costrutto, allora noi forse siamo Tutto?
Ecco, l’arrendersi a questa “Intelligenza” sottile ed impalpabile ci può far sperimentare qualcosa di nuovo e mai provato prima. E’ possibile raggiungere questa dimensione? Sì, ma solo ad una condizione: quella di uscire fuori dalla logica della dualità non da un punto di vista intellettuale, ma mediante un’esperienza diretta.
Buon cammino a chi lo intraprenderà.
Note
- L’amigdala è un nucleo di sostanza grigia alla base del cervello, appartenente al sistema limbico. Ha una forma ovoidale e la grandezza di una mandorla, da qui il suo nome (mandorla in greco si dice “Amigdalo“). Ogni emisfero possiede un’amigdala e la sua funzione è correlata sia alla memoria emozionale sia all’impulso sessuale.
- La Neocorteccia l’ultima struttura formatasi nel corso dello sviluppo filogenetico. Occupa la maggior parte della superficie del cervello e si compone di sei strati di neuroni. Gioca un ruolo essenziale nei meccanismi mentali complessi come la memoria, la concentrazione, il pensiero, il linguaggio, la coscienza.
- Tecnica di psicoterapia ideata da Kabat Zinn ed estrapolata dalla meditazione buddista Vipassana.
- A tal proposito si può citare il Sat Nam Rasayan ideato da Guru Dev, il buddismo, lo Yoga secondo la sistematizzazione di Patanjali che ha, tra i vari propositi, quello di correggere le “modificazioni della mente per arrivare alla sua pace assoluta“(Patanjali) ed infine tutta la tradizione Advaita, ovvero la via della non-dualità.
Articoli Correlati
Bibliografia
Goleman D. (1996), Intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano 2009.
Harihar Gunter-Leone, La consapevolezza del sé, Anima Edizioni, Milano 2019.
LeDoux J., in Goleman (1995).
Levy D., Eufonia. Il suono della vita, Aegis Collection, Accademia Internazionale di Eufonia, Locarno 2021.
Mauri M. (2018); La “doppia via” di LeDoux: i due diversi modi di reagire agli stimoli del cervello.
Nisargadatta M. (1973), Io sono quello, Ubaldini Editore, Roma 2001.
Papadopoulos I., La teoria generale dei pregiudizi di base, Armando Editore, Roma 2014.
Patanjali, Yoga Sutra (od aforismi dello Yoga) di Patanjali, a cura del Centro di studi Teosofici e di ricerca spi-rituale.
Dott. Ivo Papadopoulos
Psicologo Clinico | Sociologo
Bio | Articoli | Intervista Scrittori Pensanti | AIIP Novembre 2023
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