Imparare ad accettare i cambiamenti
Come accogliere e non ostacolare il flusso degli eventi
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Il cambiamento alla base della crescita. Per crescere dobbiamo cambiare.
È un dato di fatto.
Nel primo anno di età non siamo in grado di spostarci autonomamente. Ci affidiamo al 100% ai nostri genitori, che ci tengono in braccio, ci trasportano in un comodo marsupio, in un’avvolgente fascia, in un passeggino. Chiaramente in quei mesi l’assenza di deambulazione autonoma, se escludiamo il gattonare, non è sicuramente imputabile ad una carenza di volontà, bensì ad una questione meramente fisica: le nostre gambe non sono ancora in grado di sostenerci senza un aiuto esterno.
Non possiamo sicuramente ricordarci cosa abbiamo provato in occasione dei nostri primi passi, ma a volte abbiamo una foto o un filmato, custoditi con cura e orgoglio dalla nostra famiglia, da cui emerge chiaramente l’immensa gioia.
“Ci sono riuscita! Cammino da sola!” sembra dire quella foto che stringiamo gelosamente tra le mani. Non ricordo cosa provai in prima persona, ma ho memoria dei primi passi di mia figlia, ricordo persino la maglietta che indossava in quell’occasione…
Perché?
Perché ha segnato uno dei cambiamenti più importanti della sua vita, il primo passo – sia reale che figurato – verso l’indipendenza motoria.
Eppure… ora non ci pensa più, esattamente come non lo fa nessuno di noi. Non ci emozioniamo in questo modo ad ogni nuovo passo, ma solo la prima volta che lo compiamo: dopo la prima esperienza diventa una competenza acquisita e tendiamo a darla per scontato.
Le sbucciature sulle ginocchia
Se sottovalutiamo il saper camminare possiamo inciampare…e sbucciarci le ginocchia.
A volte piangiamo, se l’abrasione è particolarmente vasta o profonda, altre magari ci limitiamo a trasformare il nostro viso in una smorfia di dolore…in entrambi i casi impariamo una bella lezione.
Può essere “se corro guardando di lato inciampo nel primo oggetto che incontro” oppure ” se non sto attenta quando sfreccio con la mia biciletta in cortile, posso cadere e farmi male”.
Da bambini abbiamo credo un po’ tutti, chi più chi meno, sbucciato le nostre ginocchia (in alcuni casi abbiamo fatto di peggio e abbiamo cicatrici evidenti pronte a ricordarcelo), sbucciato in senso stretto.
Crescendo continuiamo, ma in senso figurato.
Non superiamo un esame universitario: “quel professore è un tirchio!!” potrebbe essere il nostro primo pensiero… e magari è anche vero, ma il saperlo in che modo ci può aiutare? Alla sessione successiva ci prepareremo in modo più approfondito, magari ascolteremo (se ci è concesso) esami di altri compagni per avere un’idea meno nebulosa di cosa potrebbe chiederci il “tirchio”.
Anche in questo caso, nonostante tendiamo a non rifletterci, ha avuto luogo un bel cambiamento. È variato il nostro punto di vista, si sono modificate le condizioni…e chi ha agito tutto ciò? Beh…noi ovviamente! Perché come afferma il motivatore americano Denis Waitley
Abbiamo sempre due scelte nella vita: accettarla così com’è o accettare la responsabilità del cambiamento.
Proprio così, tutti i cambiamenti partono da un piccolo passo, ma solo noi possiamo decidere di agire, è una nostra scelta, non possiamo demandarla ad altri…Sicuramente avere il sostegno delle persone che ci circondano può aiutare, sia nello spronarci ad agire sia nel mantenere attiva quella scelta … ma il primo passo è nostro.
Piccoli cambiamenti di tutti i giorni
Ogni giorno affrontiamo una quantità insospettabile di cambiamenti senza nemmeno accorgercene, è nella nostra natura trovare la via che ci consenta maggior risparmio di energia. Per anni percorriamo magari ogni giorno due rampe di scale ogni mattina per prendere un brick di latte stipato in cantina: per noi è un automatismo, ma un giorno nostro figlio ci dice “scusa, ma perché non lasciamo 3-4 brick in cucina di modo che si possa evitare la sfacchinata??”. Lo guardiamo come se avesse appena inventato la formula dell’eterna giovinezza…perché non ci abbiamo pensato prima? Perché spesso uscire dalla routine della “zona di comfort” è difficile, ci sentiamo a nostro agio al suo interno, anche perché, come sostiene Brenè Brown – autrice americana – la zona di comfort non è altro che
uno stato psicologico nel quale le incertezze, le carenze e le vulnerabilità sono ridotte al minimo e l’individuo sente di avere il massimo controllo su ciò che lo circonda.
Cambiamenti: catapultata fuori dalla comfort zone
Nella mia vita professionale ho cambiato lavoro in più occasioni.
In alcuni casi si è trattato di una scelta obbligata: un’azienda che ha dichiarato bancarotta, un’altra in cui dopo una sostituzione maternità ho dovuto reinventarmi…
Non è stato facile.
Se scelgo io di cambiare qualcosa nella mia vita ho il tempo di ragionarci, di progettare, di affrontare il cambiamento con maggior consapevolezza, ma quando la scelta è inaspettata e improvvisa…il discorso cambia.
È come essere catapultati fuori dalla “comfort zone” trovandosi in un territorio sconosciuto e inesplorato…almeno la prima volta che accade…poi si impara.
Già, avete letto bene, si impara!
Ho capito sulla mia pelle che dopo 12 anni in una bella realtà leggere da un giorno all’altro la parola “fine” è davvero doloroso, ma al contempo istruttivo.
Ho capito che occorre essere sempre pronti al cambiamento, non perdere mai del tutto di vista l’evoluzione del mercato del lavoro.
Ho capito che una tegola in testa può arrivare, non è possibile prevederla in molti casi, ma mentre non posso ovviamente girare per strada con un casco in testa nell’attesa che la tegola cada, posso invece cercare rassicurazioni sulla stabilità del tetto e, quando capisco che versa in condizioni critiche che peggiorano continuamente, iniziare a pianificare il trasferimento in una nuova casa…
Resistenza al cambiamento
Penso che “abbiamo sempre fatto così” sia una delle frasi che trasmette in modo più cristallino il comportamento di chi soffre i cambiamenti.
La routine dà sicurezza, il cambiamento può essere a volte causa, altre effetto di instabilità.
Quante volte abbiamo ascoltato o letto storie di persone molto insoddisfatte della propria vita, sia essa personale o professionale, fare affermazioni come ” è così, non ci posso fare nulla…” oppure “non mi piace, non mi fa stare bene…ma se lo lascio (si tratti di un lavoro…o di una persona) poi cosa faccio?”.
La paura dell’ignoto e dei cambiamenti ci frena, comprensibile soprattutto quando magari non viviamo più con i nostri genitori e dobbiamo autosostentarci. Si crea però un circolo vizioso che rischia di rendere tossico tutto ciò che ci circonda…la vita privata se il problema è sul lavoro e viceversa.
L’epidemia da Covid 29 ci ha obbligati a fermarci.
Questo stop improvviso e violento ha fatto sì che un numero altissimo di persone che prima avrebbero avuto timore, che non avrebbero nemmeno osato pensare di cambiare, abbiano deciso di dare una svolta drastica alla propria vita.
Troviamo alcuni esempi in questo interessante articolo de “Il Corriere della Sera” del 22/03/2021 da titolo “Cambio vita, il Covid e le scelte che non avremmo mai pensato di fare“.
Ho la grande fortuna di avere un lavoro soddisfacente, dove ho imparato negli anni ad “allargare” la mia zona di comfort, giorno dopo giorno, contribuendo attivamente a favorire un ambiente sereno e a prevenire, per quanto possibile, o a risolvere quando non era possibile.
A chi non ha la mia fortuna dico: non aspettiamo che si verifichino altre calamità prima di fare il punto della situazione, iscriviamoci magari ad un percorso di outplacement oppure rivolgiamoci ad un coach professionista in ambito lavorativo, sarà un buon investimento (ci sono passata e mi è stato davvero utile per capire quale fosse la strada giusta per me).
Concludo con una citazione da una bellissima canzone del grande Duca Bianco, David Bowie, tratta dalla sua “Changes”
Turn and face the strange (trad. Voltati e affronta ciò che non conosci).
Simona Battistella
HR Manager | Trainer
Bio | Articoli | AIIP Dicembre 2023
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