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L’isolamento sociale e il cervello: si vive insieme e si muore soli?

L’uomo: un animale sociale che ha bisogno di socializzare


“L’uomo è un animale sociale” racchiude la profonda essenza umana.

Lo dice Aristotele, grande pensatore dell’antica Grecia: siamo animali e desideriamo essere sociali.

Oltre il mero desiderio di sopravvivenza darwiniano che ci tiene insieme “in branco”, l’uomo tende a volersi legittimare, e per farlo ha bisogno degli altri.

Il filosofo greco è chiaro: siamo animali politici (da polis, città) e dallo stare insieme deriva il concetto di città, popolo, identità.


Socialità come pane quotidiano: dall’uomo al modello animale

Scrive Madre Teresa di Calcutta:

“ancora più che il pane, l’uomo desidera la compagnia”.

Ma quando questo “nutrimento” viene a mancare, cosa accade a livello cerebrale?

I ricercatori, che utilizzano modelli di topo per lo studio delle malattie, sanno bene che questi ultimi preferiscono vivere in gruppo ed è sconsigliato stabularli da soli, se non per specifici motivi definiti da un protocollo sperimentale.

Numerosi studi su modelli murini avevano già dimostrato che l’isolamento durante la fase dello sviluppo portava a fenomeni di ansia, depressione e scarsa interazione sociale nella successiva fase adulta.

Questa evidenza aveva portato poi ad utilizzare topi “socialmente isolati” come potenziale modello per lo studio di diversi disturbi psichiatrici come depressione e autismo.

E’ stato dimostrato, però, che questo stato patologico dei topi in isolamento poteva essere migliorato attraverso il trattamento con diversi farmaci che interagivano con diverse sostanze prodotte dal cervello, come ad esempio la serotonina.


La Serotonina: l’ormone del buonumore e la socialità

E’ definita “ormone”, principalmente perché prodotta dalle cellule enterocromaffini del tratto gastrointestinale (che sono cellule secernenti l’ormone), e in minor parte “neurotrasmettitore”, perché sintetizzata da neuroni specializzati del cervello.

Ma perché la serotonina ci fa stare così bene?

Dormire, avere un buon tono dell’umore e mangiare con appetito un piatto di pasta alla carbonara sono solo alcune delle funzioni sulle quali agisce questo neurotrasmettitore.

I neuroni deputati al suo rilascio a livello della sinapsi (dal greco “sinapsis”, collegamento, ovvero contatto tra due neuroni), sono detti “serotoninergici” e sono coinvolti, tra le altre funzioni, anche a ricaptare la serotonina prodotta.

E’ per questo che la ricerca si è posta domande sulle basi biochimiche della depressione dipendente da serotonina, ma non solo, arrivando alla scoperta di numerosi farmaci antidepressivi.

Tra questi, gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), impediscono al neurotrasmettitore di essere inglobato dal neurone e gli permettono di agire più a lungo, migliorando il nostro benessere psico-fisico e di conseguenza le nostre interazioni sociali.


Isolamento sociale e pandemia emozionale

Pandemia emozionale”: così è stato definito il lato oscuro della pandemia di Covid-19, quello che non si manifesta con sintomi chiari e riconducibili ad una infezione virale.

L’uso di psicofarmaci, come gli SSRI, stava subendo un preoccupante aumento a livello europeo già negli ultimi anni pre-pandemia, puntando i riflettori su fenomeni socio-ambientali purtroppo troppo comuni nella società occidentale come emarginazione sociale, povertà e isolamento.

utti fattori che erodono la salute mentale e favoriscono lo sviluppo di altre patologie, soprattutto quelle cardiovascolari.

Lo stare chiusi in casa, lavorare soli, o peggio, avere perso il lavoro, ha portato le persone ad un abbrutimento sociale lenito in parte dallo smodato uso di antidepressivi.

Secondo uno studio pubblicato su “The Lancet Psychiatry” del 2021 (1), condotto su over 50 inglesi e durato dodici anni, almeno 1 caso di depressione su 5 sarebbe direttamente causato dall’isolamento sociale.

Ma quindi, cosa accade al cervello umano durante una condizione forzata come la quarantena?

I meccanismi neurobiologici che sottostanno alla risposta da isolamento sociale coinvolgono meccanismi complessi e attualmente di difficile spiegazione. Proviamo a fare maggiore chiarezza.


Il cervello sociale: come la mente si adatta agli altri

Immaginiamo un ponte che colleghi da un lato la corteccia prefrontale, area che regola le funzioni superiori come il linguaggio, e dall’altro capo il sistema limbico (principalmente formato da ippocampo e amigdala), che a sua volta è coinvolto nella formazione della memoria e delle emozioni, rispettivamente.

Questo ponte rappresenta l’asse corteccia prefrontale-ippocampo-amigdala, coinvolta prevalentemente nella regolazione del comportamento sociale, insieme ad altre strutture cerebrali minori.

In uno studio del 2013 pubblicato su “Biological Psychiatry” (2), si mostravano immagini di risonanza magnetica su cervello di 18 pazienti con disturbo depressivo, identificando alterazioni strutturali nel fascicolo uncinato, che è una struttura di connessione tra corteccia prefrontale e sistema limbico, rispetto a controlli sani.

Parallelamente, i ricercatori avevano notato un incremento delle interazioni funzionali tra i circuiti delle aree associate ai sintomi della depressione.

Questo portava ad ipotizzare che le anomalie nella struttura del cervello sociale conducessero ad un “rimodellamento” nella connettività tra aree cerebrali nei disturbi depressivi.

Il comportamento umano che porta allo stare insieme agli altri, come l’esplorazione sociale e la memoria sociale, è dunque regolato da più aree cerebrali e da microcircuiti neuronali formati da connessioni tra neuroni eccitatori e inibitori del cervello.

Un ruolo importantissimo nella struttura del “cervello sociale” viene attribuito alla componente della trasmissione inibitoria sinaptica, che rappresenta principalmente la componente di neuroni che “compensa” l’eccessiva attività eccitatoria.

Un interessante lavoro su Nature Communication (3) del 2020, mostrava come dei topi isolati in età giovanile avessero dei deficit dell’attività dei neuroni inibitori della corteccia prefrontale dorso-mediale, e questo portava ad uno sviluppo anomalo del comportamento sociale in età adulta.

Il “cervello sociale” è dunque un intricato groviglio di equilibri, modificabili da condizioni socio-culturali che dall’esterno minano i delicati rapporti che tengono unite le fila della nostra mente.


Isolamento Sociale e ritorno alla normalità: ne usciremo migliori?

L’Italia, uno dei paesi al mondo con norme anti-covid più rigide, si prepara all’uscita dallo stato di emergenza.

Evolutivamente parlando, abbiamo compiuto un salto in avanti; pensiamo al virus stesso, dal quale ora siamo per la maggior parte dei casi immuni; oppure al nostro stile di vita: quanti hanno dato una brusca frenata alla loro frenetica giornata, arrivando a capire che, forse, prima di questa quarantena, si stava correndo troppo affannosamente.

Neuroplasiticità

L’organo più “plastico” del nostro corpo ha subito profondi riarrangiamenti sinaptici, adeguandosi a “nuove” condizioni imposte.

Molti ricercatori si interrogano su come questi anni abbiano influito sullo sviluppo cognitivo a partire dal bambino, e finora le ipotesi sono ancora molto controverse.

Non sappiamo se ne usciremo migliori o peggiori.

La nostra mente rielabora ogni fatto accaduto e lo conserva nella memoria. Si vive insieme. Ma si muore soli?

Forse, ma non fino a quando stabiliamo delle “connessioni” umane.

Sta al tempo valutare realmente quali sono stati i reali effetti neuropsicologici della pandemia.

E alla scienza provare a dipanare la nebbia che circonda i profondi ed elaborati meccanismi della nostra mente in presenza di fattori “stressanti”.

Per i più snodati, nel frattempo, c’è lo yoga.


Bibliografia
1. Lee SL et al. The association between loneliness and depressive symptoms among adults aged 50 years and older: a 12-year population-based cohort study. 2021; The Lancet Psychiatry, Volume 8, Issue 1, 48 – 57.
2. de Kwaasteniet B. et al. Relation between structural and functional connectivity in major depressive disorder. 2013; Biol Psychiatry; Jul 1;74(1):40-7.
3- Bicks LK et al. Prefrontal parvalbumin interneurons require juvenile social experience to establish adult social behavior. 2020; Nat Commun; 11(1):1003.
Medendorp WE, Petersen ED, Pal A, et al. Altered Behavior in Mice Socially Isolated During Adolescence Corresponds With Immature Dendritic Spine Morphology and Impaired Plasticity in the Prefrontal Cortex. Front BehavNeurosci. 2018;12:87. Published 2018 May 9. doi:10.3389/fnbeh.2018.00087


Giorgia Giansante Autrice presso La Mente Pensante Magazine
Giorgia Giansante
Ricercatore post-dottorato
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