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La famiglia, impossibile fare senza

Legami che incateno, ali che si aprono

Image by cottonbro studio on Pexels.com


Ohana vuol dire famiglia, famiglia vuol dire che nessuno viene abbandonato o dimenticato.

Tutto inizia nella famiglia, che ci dona un corpo fatto, non solo di carne ossa e muscoli, consegnandoci un contenitore affettivo e psicologico dove fare esperienza di noi stessi, offrendoci i significati di giusto e sbagliato rispetto al nostro se e al muoverci nel mondo, di come vivere, interpretare le emozioni, quali possiamo permetterci e quali celare.

La famiglia rappresenta quel vestito visibile in alcune parti, ed invisibile in molte altre, che cominciamo a cucirci addosso sin da quando siamo nel grembo materno.

Mi ci sono voluti molti anni per far pace con la mia famiglia di origine, con mia madre soprattutto, lei che è rimasta sempre a dispetto di un padre che c’era sempre poco e che è morto quando avevo 15 anni. Ho sempre amato molto mio padre, rifiutandomi per anni di riconoscere la sua presenza assenza, e quando è morto ho dirottato tutta la mia rabbia su quella figura ingombrante, arrabbiata, dolorante che mia madre rappresentava. Insieme a lei, la sua numerosa famiglia, fratelli, sorella, un padre militare ed una madre rimasta da sempre un’adolescente, che predicando noi ci siamo sempre, in realtà replicavano il modello appreso: amare nella conflittualità e a distanza.

Nella famiglia di mia madre l’amore passava attraverso l’obbligo di realizzarsi, studiare, e attraverso il mangiare, altro era solo perdita di tempo. La parola d’ordine era non c’è tempo da sprecare.

Ho provato con tutto me stesso a fuggire da tutto quello che queste persone rappresentavano, per ritrovarmi a dover spesso fare i conti con ciò che mi avevano donato in eredità.

Con loro ho imparato ad ascoltare e diventare parte dei racconti familiari, le faide, i giudizi, intravedendo le loro fragilità, paure, le loro rabbie, tante, ho compreso il dolore della perdita della loro terra, nomadi, stranieri, migranti per necessità, eppure così ancorati alle loro radici, sardi nel cuore, negli atteggiamenti, nei loro rituali così poco continentali.

Le radici che abbiamo, non possiamo eluderle, dobbiamo imparare ad incontrarle con consapevolezza se vogliamo scoprire chi siamo.

Francesco si sente spesso inadeguato, escluso nella vita relazionale, anche dai colleghi di lavoro si sente non visto, isolato, non lo invitano mai alle loro serate lo sa sempre dopo. Ultimo di tre fratelli, con un padre e una madre che non c’erano mai, impegnati a far campare la famiglia, uscivano presto la mattina e tornavano la sera. Venivano dalla Calabria, a prendersi cura di loro c’era solo un fratello del padre, che aveva seguito le orme del fratello più grande, spesso ritrovandosi ad essere il quarto figlio in una famiglia già al completo. Francesco ricorda solo grandi liti in famiglia, a causa di questo zio, che non faceva altro che portare problemi.

La pecora nera, così lo chiamavano, irriconoscente, sempre pronto a fare rissa, spendeva tutti i suoi soldi al bar. Eppure quello zio era l’unico segno di affetto fisico e presenza che Francesco ricordava, l’unica persona con cui parlava che lo ascoltava. Quando se ne andò, Francesco aveva 10 anni, rimase veramente da solo, senza più parole da scambiare.

La parola che definisce come l’amore scorre nella storia di Francesco è rimanere nell’ombra.


Il vero nutrimento è l’amore

Non possiamo non amare, è impossibile non essere stati amati. Il punto è come questo sia accaduto.
Quando riusciamo a prendere consapevolezza dell’intelligenza che ci scorre dentro, scopriamo con quale abilità siamo riusciti da bambini a sopravvivere trovando il nostro posto dentro alla storia della nostra famiglia. Perché ogni famiglia ha una storia, verità che si tramandano, tabù che si rispettano, segreti che si tengono celati.

Tutto questo costruisce significati non visibili che vengono offerti in eredità attraverso parole che si ripetono, luoghi comuni, atteggiamenti che vengono elogiati, enfatizzati, rispetto ad altri che sono categoricamente giudicati, e che impariamo a far diventare il nostro io. L’amore in ogni famiglia passa attraverso specifici canali, l’essere parte, il genere, il denaro, il rispetto, l’autonomia, la fedeltà. Si compensano le parti mancanti, con l’enfatizzare ciò di cui siamo certi.

Attraverso questi e molti altri “oggetti” d’amore, si costruiscono i dialoghi significativi, come stare vicini fisicamente ed emotivamente, da cosa rimanere distanti, di chi ci si può fidare, si costruiscono guerre, ma soprattutto si trasferiscono le esperienze importanti distintive del vissuto di ogni famiglia.
Il clan, o ci sei nato oppure ne rimani straniero.

Questo era lo slogan dentro alla mia famiglia, e le nuore, mogli dei fratelli di mia madre lo hanno compreso subito. Come lo ha compreso subito il marito di mia zia, sorella di mia madre, guadagnandosi il posto del “poverino”, è stato così accettato ma mai stimato.

Lina, arriva in studio dopo tre appuntamenti presi e mai rispettati, ogni volta accadeva qualcosa che le impediva di esserci. Quando la vedo per la prima volta le chiedo se le capita di voler qualcosa e poi doverci rinunciare. Mi guarda come se fossi un mago, e mi chiede come potessi saperlo visto che non la conoscevo. Tutta la vita è arrivata sempre dopo, seconda figlia di una famiglia del nord Italia, aveva sempre avuto la sorella davanti, di cui indossava gli abiti, di cui doveva seguire le orme, ritrovandosi a vivere scelte mai sue. Incapace di dire di no, affannandosi sempre non è mai riuscita a trovare qualcosa che potesse dire questo è mio.

Aprire la storia di Lina, ha implicato incontrare molte porte, spesso chiuse, una fra tutte la storia di sua madre. Seconda di una famiglia numerosa ha rinunciato a tutto per stare dietro ad un padre che le ha chiesto di sostituire quella moglie persa di parto, quando Lina aveva solo undici anni. La parola che contraddistingue la sua storia è sacrificio.


Legami che incatenano ali che si aprono

Ognuno di noi fa del suo meglio affinché la barca rimanga in Equilibrio nel mare della vita, imparando a remare o navigare attraverso le istruzioni che ci sono state tramandate dalle generazioni passate. Gli eventi che hanno determinato la storia, tragedie, fughe, trasformazioni dolorose e sofferte, morti improvvise, accidentali, violente, malattie, emigrazione, guerre, hanno costruito dentro ad ogni famiglia un modo di stare nella vita, tramandato in eredità attraverso racconti verbali e non verbali.

Sembra impossibile poter cambiare, trasformare una storia che portiamo sulle spalle da una vita, eppure per esperienza c’è sempre un momento che ci permette di intravedere altre possibilità.

Io quel momento lo definisco con la parola crisi.

Andrea è un uomo impegnato politicamente, valori precisi, rigidi, lo accompagnano, sembra un uomo delll’inzio del 900 più che del 2000. Ha 40 anni ne dimostra 60, e viene da me dicendomi che non riesce più a sopportare tutta la pressione che porta sulle spalle. Non se capacità, lui che è considerato la roccia della famiglia, non riesce a dormire da mesi, appena si addormenta sogni che si trasformano in incubi lo svegliano nel cuore della notte e da quel momento non è più capace di dormire. Lo invito a dialogare con quella parte di lui che sta comunicando attraverso i sogni e lo invito al tempo stesso a fare domande a suo padre sulla storia di suo nonno. Il dialogo con parti di sè, e il recuperare il senso di una storia al maschile, saranno le chiavi per trasformare la vita di Andrea, portandolo ad incontrare un dolore ed una sofferenza nascosti da molti anni.

La parola che contraddistingue la storia di Andrea è fedeltà.

Negli anni ho compreso che crescere vuol dire comprendere che non c’è giusto o sbagliato, ognuno di noi ricama, come un sarto, la sua storia con gli strumenti che possiede, finché arriva un momento dove il cambiamento è possibile.

Lavorare su noi stessi ci fa tornare curiosi di chi siamo, imparando ad allenare ad incontrare le emozioni che ci attraversano in modo altro, scopriamo come sentirci sempre più a nostro agio dentro di noi. Guardare con gratitudine e compassione quello che abbiamo ricevuto dalla nostra famiglia, ci permette di scegliere quello che vogliamo tenere per noi di questa storia, e camminare sempre più sulla strada della vita riconoscendo i sentieri che ci corrispondono di più.

Ho imparato a non cercare di essere il migliore rispetto agli altri, bensì a essere un essere umano migliore. (Alexandre Jollien)


Stefano Cotugno Autore presso La Mente Pensante Magazine
Dott. Stefano Cotugno
Psicoterapeuta Sistemico Relazionale
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