La neurobiologia della dipendenza affettiva
La neurochimica quale nuova chiave di lettura
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Vero e proprio riflesso di un’esperienza intrapsichica ed interpersonale, la dipendenza affettiva riflette appieno una delle condizioni più diffuse del nostro tempo, che non sempre si riesce a inquadrare precocemente e dalla quale a volte sembra impossibile prendere le distanze.
Connotata da numerosi substrati sia cognitivi che biologici essa assume la fisionomia di un vero e proprio regolatore interno in grado di rispecchiare una modalità relazionale patologica capace di compromettere in modo significativo e disfunzionale la qualità della vita di chi la vive.
Questa cornice psicopatologica evidenzia una dinamica relazionale/affettiva rispetto alla quale la propria vita e i propri bisogni vengono messi al servizio di un Altro all’infuori di noi. Inoltre per quanto concerne la sfera sentimentale, nonché la vita di coppia, la propria identità acquista sempre più valore esclusivamente in funzione di un riconoscimento esterno, in questo caso da parte di un partner nei confronti del quale si rivela difficile prendere le distanze.
Tanto per il ruolo quanto per le conseguenze che troppo spesso determina, negli ultimi anni la Dipendenza affettiva è stata sempre più oggetto di numerose approfondimenti scientifici, grazie ai quali molti autori, non solo hanno riscontrato somiglianze con il Disturbo da uso di sostanze bensì permesso di inquadrare diversi profili, non ultimo quello neurobiologico.
Posta dunque al vaglio di una maggiore attenzione, l’obiettivo ad oggi condiviso è quello di considerarla quale vero e proprio disturbo autonomo, di fronte al quale promuovere una maggiore sensibilizzazione al fine di prevenire gli esiti che troppo spesso e a propria insaputa questa forma di legame determina a lungo termine.
L’amore quale cablaggio di più sistemi
Se infatti nel campo delle dipendenze la sostanza rappresenta di per sé un “regolatore interno”, viceversa in quello relazionale e sentimentale la propria bussola interna viene direzionata dalla persona accanto alla quale si sceglie di affidare il proprio valore, ergendo la sua figura ad un’ideale di fronte al quale la nostra autostima inizia a vacillare e a venir meno. Per poi gradualmente dissolversi in funzione di chi temiamo così tanto di perdere per sempre.
Pertanto, quanto si viene a instillare è un insieme di convinzioni che se a livello cognitivo e psicopatologico sembrano conferire ai nostri pensieri e percezioni una strada prettamente unilaterali, sotto il profilo neurobiologico viceversa determinano la nascita di uno stato della mente, attraverso il quale diverse funzioni sembrano gradualmente atrofizzarsi.
Innescando così un insieme di automatismi cognitivi e comportamentali che rischiano di ripercuotersi sia a livello emotivo sia a livello somatico. Portando la persona che ne è invischiata a vivere un ruolo al di fuori del quale sembra impossibile conoscere qualcosa di diverso.
Dipendenza affettiva: la neurochimica e l’imprinting cerebrale
Sotto il profilo neuro scientifico diversi studi di neuroimaging cerebrale, attraverso l’impiego della risonanza magnetica funzionale (fMRI), hanno permesso di evidenziare non solo le diverse e affascinanti attività cerebrali bensì di valorizzare sempre più come l’unità mente corpo sia capace di confermare quanto le nostre emozioni siano promotrici di numerosi cambiamenti a livello neurobiologico. Nello specifico infatti si è rivelato possibile evidenziare come i sentimenti di “intenso amore romantico” coinvolgano regioni del sistema di ricompensa cerebrale, nello specifico i percorsi dopaminergici correlati all’ energia, all’attenzione, all’apprendimento, alla motivazione ad ottenere ricompense, all’ estasi e non ultimo al craving. Evidenziando peraltro il ruolo giocato dalle regioni primarie circoscritte alla dipendenza da sostanze; quali l’area tegmentale ventrale (VTA), il nucleo caudato e in nucleo accumbens che nel loro insieme risultano correlati anche alla droga e ad altre dipendenze comportamentali. (Breiter et al., 1997; Bartels & Zeki, 2000; Fisher et al., 2003; Fisher, Aron, & Brown, 2005; Fisher, 2006).
Un ulteriore sistema maggiormente approfondito ed indagato in campo neurobiologico è l’ormone dello stress o CRF (conosciuto quale fattore di rilascio della corticotropina), il quale non solo influisce circa le proprie risposte e le percezioni ad esse connesse, ma permette al contempo di promuovere un’autoregolazione adattiva (o meno) proprio in funzione dell’omeostasi sia intrapsichica sia interpersonale che ci si trova a sperimentare. Andando più nello specifico, se nel campo delle dipendenze da sostanze il CRF risulta principalmente coinvolto nell’astinenza da droghe d’abuso (Koob & Kreek, 2007; Koob, 2008) viceversa in quello dell’accoppiamento, un’interessante contributo proviene da Bosh e collaboratori (Bosch, O. J., Nair, H. P., Ahern, T. H., Neumann, I. D., & Young, L. J. 2009), i quali hanno evidenziato come quattro giorni di separazione da una figura con la quale si era coinvolti sentimentalmente determinino un aumento di strategie di coping correlati a comportamenti di passività e di immobilità. Inoltre grazie alla compartecipazione di tre variabili neurochimiche (dopamina, oppioidi e CRF) indagate da Burkett e Young (Burkett, J, P., Young, L, J., 2012) è stato possibile evidenziare una significativa sovrapposizione tra il processo di dipendenza da sostanze e quello dell’attaccamento sociale (attaccamento tra genitori e figli e al partner).
Gli autori hanno infatti ipotizzato come specifici neuropeptidi (tra cui ossitocina e vasopressina) vadano a integrare l’informazione sociale presente nei processi di attaccamento (ma non nella dipendenza da droghe) all’interno dei circuiti che mediano sia attaccamento che dipendenza.
Attraverso questa condizione si assiste ad uno sbilanciamento vero e proprio rispetto al quale uno dei due attori della relazione erge l’altra persona ad una posizione che automaticamente innesca una distanza che ci si impone di raggiungere e dinanzi alla quale il proprio valore cede il posto alla disistima. La relazione patologica che si instaura principalmente con noi stessi, comporta la graduale elaborazione di una percezione distorta del proprio valore e della persona all’infuori di noi in grado di regolare e confermare la valenza dei nostri stati emotivi. Questi ultimi nondimeno, risentono di un investimento energetico rivolto non tanto alla propria persona, quanto piuttosto verso il partner percepito quale regolatore esterno; l’unico in grado di dare una direzione alla nostra vita, ormai connotata da una serie di ingredienti che altro non fanno se non renderci più schiavi di quello che ritenevamo essere un amore sano.
In sintesi l’amore romantico sano pone le sue radici biologiche nei meccanismi di neurotrasmissione. In particolare, all’inizio di una relazione, si riscontrano livelli elevati di dopamina mesolimbica e di norepinefrina (associati a euforia, energia, motivazione), di oppioidi endogeni (associati al piacere), diminuzione dei livelli di serotonina (associati al pensiero ossessivo) e livelli aumentati di neuropeptidi come l’ossitocina (associati all’attaccamento e al piacere) (Diamond, L, M., 2004; Marazziti, D., 1999).
La neuro dinamica offre pertanto un’architettura ben precisa dei diversi neurotrasmettitori, che come suggerito da Sussman (Sussman, S., 2010), sembra gettare le basi per un’impalcatura favorevole ad inquadrare uno specifico cablaggio inziale di diversi fattori che si vorrebbe mantengano a lungo andare gli stessi livelli. Secondo l’autore infatti, nella Dipendenza affettiva si ipotizza una fissazione alla neurobiologia della fase iniziale della relazione. Cosicché quello che viene esperito agli inizi vorremmo durasse per sempre.
Bibliografia
Bartels, A., & Zeki, S. (2000). The neural basis of romantic love. Neuroreport, 11(17), 3829-3834.
Bosch, O. J., Nair, H. P., Ahern, T. H., Neumann, I. D., & Young, L. J. (2009). The CRF system mediates increased passive stress-coping behavior following the loss of a bonded partner in a monogamous rodent. Neuropsychopharmacology, 34(6), 1406-1415.
Breiter, H. C., Gollub, R. L., Weisskoff, R. M., Kennedy, D. N., Makris, N., Berke, J. D., Goodman, J. M., Kantor, H. L., Gastfriend, D. R., Riorden, J. P., Mathew, R. T., Rosen B. R. & Hyman, S. E. (1997). Acute effects of cocaine on human brain activity and emotion. Neuron, 19(3), 591-611.
Burkett, J. P., & Young, L. J. (2012). The behavioral, anatomical and pharmacological parallels between social attachment, love and addiction. Psychopharmacology, 224(1), 1-26.
Diamond, L. M. (2004). Emerging perspectives on distinctions between romantic love and sexual desire. Current Directions in Psychological Science, 13(3), 116-119.
Fisher, H., Aron, A., Mashek, D., Strong, G., Li, H., & Brown, L. L. (2003, November). Early stage intense romantic love activates cortical-basal-ganglia reward/motivation, emotion and attention systems: an fMRI study of a dynamic network that varies with relationship length, passion intensity and gender. Poster presented at the Annual Meeting of the Society for Neuroscience, New Orleans.
Fisher, H. (2006). Broken hearts: The nature and risks of romantic rejections. In A. C. Crouter & A. Booth (Eds.), Romance and sex in adolescence and emerging adulthood: risks and opportunities (pp. 3-28). Mahwah, NJ: Lawrence Erlbaum Associates.
Koob, G., & Kreek, M. J. (2007). Stress, dysregulation of drug reward pathways, and the transition to drug dependence. American Journal of Psychiatry, 164(8), 1149-1159.
Koob, G. F., & Le Moal, M. (2008a). Addiction and the brain antireward system. Annual Review of Psychology, 59, 29-53.
Marazziti, D., Akiskal, H. S., Rossi, A., & Cassano, G. B. (1999). Alteration of the platelet serotonin transporter in romantic love. Psychological Medicine, 29(3), 741-745.
Sussman, S. (2010). Love addiction: Definition, etiology, treatment. Sexual Addiction & Compulsivity, 17(1), 31-45.
Dott. Cristi Marcì
Psicologo Psicoterapeuta a indirizzo Psicosomatico e Operatore Perinatale
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