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La storia di Nivine Fakih

L’importanza di onorare lo studio e la voglia di imparare


Rebecca Nivine Fakih La Mente Pensante MagazineLa persona più giovane laureata d’Italia ha diciannove anni e si chiama Nivine Fakih.

È un record molto recente, come riportano i media.

La notizia aveva inizialmente catturato la mia attenzione perché Nivine si è laureata nell’università dove ho studiato anche io.

Inoltre, il titolo della sua tesi è “Danza, semiotica e comunicazione non verbale”, tutti argomenti che mi interessano.

La danza perché seguo progetti artistici che riguardano la danza, seppur come semplice project manager.

Poi, il legame con la semiotica e la comunicazione non verbale mi affascinano.

Nelle mie pubblicazioni scientifiche c’è sempre un po’ di studio del comportamento, in fondo.

Infine, la semiotica ha molto a che fare con la comunicazione, nonostante ciò sia spesso trascurato da chi si occupa, a vario titolo, di comunicazione non verbale.

Per tutti questi motivi, la storia di Nivine Fakih mi è subito sembrata una di quelle che merita di essere raccontata.

Sin qui, nulla di strano: penso che valga la pena ascoltare i racconti di vita di ogni persona. Possiamo tutti imparare dalle esperienze altrui, in fondo.

Alcune persone sono modelli positivi, altri negativi. Ma non si tratta solo di confrontare i percorsi di vita degli altri con il nostro. C’è molto di più.

Nel caso di Nivine, c’era qualcosa che mi incuriosiva particolarmente.

Mi è sembrata una di quelle persone che ha una vita piena di esperienze, che ama imparare e che sa gettare il cuore oltre l’ostacolo, come si suol dire.

Ho quindi pensato potesse essere utile approfondire. Non mi sono sbagliato.


Quattro chiacchiere con Nivine Fakih

Ciao Nivine, grazie della tua disponibilità. Come hai fatto a laurearti a soli 19 anni?

Grazie a te e a La Mente Pensante Magazine.

Appena finito il liceo, ho compiuto 17 anni e mi sono iscritta all’università. Nello stesso periodo, lavoravo come ballerina a teatro e ho preso parte ad un lungometraggio, ad esempio (Girl, nel 2018, diretto da Lukas Dhont, ndr). Lavoravo full time, tornavo a casa e studiavo.

Poi, è arrivata la pandemia.

Sono tornata a casa, dalla mia famiglia, in Italia. Devo ammettere che non mi è dispiaciuto così tanto: è stata l’occasione per passare un po’ di tempo con la mia famiglia, in fondo.

Un’altra cosa positiva è stata che ho potuto dedicare più tempo a imparare. La mattina la dedicavo allo studio e il pomeriggio mi allenavo.

Fino ad allora avevo approfondito alcuni stili come la danza classica e il flamenco, ad esempio. A casa, da auto-didatta, mi sono dedicata ad altri stili, come il jazz.

Aspetta un attimo. I conti non tornano. Hai finito il liceo a 16 anni?

Sì, perché a tredici anni mi sono trasferita a Montecarlo, dove studiavo danza tutto il giorno.

Nel frattempo, ho completato le scuole medie studiando a distanza.

In quel periodo, i docenti della Scuola Media Dante Alighieri di Piacenzia mi hanno aiutato molto. Finito l’anno scolastico, sono tornata in Italia dove ho sostenuto gli esami delle medie.

Poi, a 14 anni, mi sono trasferita in Belgio, dove ho frequentato il liceo. La mattina andavo a lezione, il pomeriggio avevo l’accademia di danza.

Studiavo, praticavo danza e ho dovuto imparare in fretta la lingua. Non solo: mi hanno proposto di fare due anni in uno. Io, forse inconsciamente, ho accettato.

Quindi, si è alzato un po’ il livello di sfida, rispetto alla mia età. Questo processo mi ha portato a finire il liceo a soli sedici anni.

Quando è cominciata la tua passione per la danza?

Ho iniziato danza quando avevo tre anni. È stata una cosa naturale.

Non avevo modelli in famiglia e non avevo ancora visto nessun video o spettacolo. Ero una bambina di tre anni, in fondo. Semplicemente, era un’attività che trovavo difficile, mi piaceva, mi dava energia.

A otto anni ho cominciato a fare concorsi.

A quell’età, non è che mi fossi messa in testa di fare la ballerina di professione. Mi piaceva fare concorsi e vincere premi. A nove anni partecipai ad un concorso mondiale, molto competitivo, ad esempio.

Arrivai fino alla finale, a New York. Diciamo che è stato un percorso di scoperta.

Mi sono detta “Ti fa bene, ti rende felice. Non smettere, vediamo dove riusciamo ad arrivare.

Senza contare che è un’attività che mi ha fatto viaggiare, mi ha fatto conoscere tante persone diverse. Ho imparato tanto. Però, non volevo solo ballare.

Ho cercato allora un posto dove fosse importante lo studio tanto quanto l’accademia di danza. È a quel punto che mi sono trasferita in Belgio.

Ritorniamo al periodo del liceo. Deve essere stata una sfida notevole. O sbaglio?

Non sbagli. Ci sono stati periodi difficili, certo.

Già a tredici anni vivevo lontano dalla mia famiglia.

Soprattutto all’inizio, ho rinunciato ad avere una vita sociale per avere più tempo da dedicare allo studio. Ho fatto dei sacrifici, insomma. Ma ero motivata ad imparare.

Quindi, arrivavo alla sera stanca, ma ero soddisfatta.

Tutto quello che facevo aveva uno scopo e ne ero felice. Dopo il primo anno, la strada si è fatta in discesa. In particolare, ho trovato gli anni successivi più semplici, quantomeno rispetto al primo.

Posso dire una cosa, però: non ce l’avrei fatta senza mia madre! Lei mi è stata sempre vicino.

Poi, la laurea. La tua tesi ha il titolo “Danza e semiotica, comunicazione non verbale”: puoi raccontarci di cosa tratta?

La danza è, in un certo senso, comunicazione non verbale. In pratica, si tratta di esprimere emozioni e sentimenti attraverso il corpo.

Potrei parlarne per ore. Inoltre, la tesi ha costituito l’occasione per rendere omaggio a quest’arte. Mi ha dato tanto a livello personale e professionale.

È così che ho imparato a parlare sei lingue (i.e., italiano, inglese, francese, spagnolo, olandese e arabo, ndr). La laurea mi ha fornito l’occasione per ringraziarla.

È stata il mio tributo alla danza, insomma.

C’è stato però un momento in cui ho capito che non volevo fare questo di lavoro.

In particolare, la pandemia e il lockdown mi hanno anche dato il tempo per riflettere.

Ho capito che, per quanto fosse un mondo fantastico, la vita che avevo prima non era ciò che desideravo per il mio futuro. Non faceva per me. La danza farà sempre parte della mia vita, certo, ma non necessariamente a livello professionale.

Ci sono esperienze che ti hanno fatto riflettere?

Sì, dopo la pandemia, ho iniziato a lavorare – sempre come ballerina – nel settore turistico (e.g., resort e navi da crociera, ndr).

Ciò soddisfaceva anche il mio desiderio di viaggiare e stare in mezzo alla gente. Senza contare che questo tipo di lavoro (i.e., stagionale, ndr) mi lasciava comunque un po’ di tempo per studiare.

Poi mi sono poi arrivate offerte per lavorare su navi da crociera e mega yacht. È stata un’esperienza bellissima! Innanzitutto, ho viaggiato tanto.

Ho visitato tanti luoghi tra cui Portogallo, Spagna, Francia, Malta, Grecia, Turchia, Egitto, Seychelles, Emirati Arabi, Qatar e Oman.

È qui che ho realizzato che era questa la vita che volevo per me. In effetti, la ballerina lavora per qualche ore al giorno, a bordo. Per molte persone questa è una situazione ideale. Si ha tanto tempo libero, in fondo. Per me non lo è.

Adoro alzarmi presto la mattina e andare a letto la sera stanca perché ho avuto tante cose da fare.

E, in effetti, in questo lavoro, avevo tanti compiti da svolgere. Oltre al lavoro da ballerina, avevo lo studio da portare avanti e altri compiti organizzativi.

Ho contribuito alle escursioni, ad esempio. Inoltre, ero responsabile dell’organizzazione degli eventi e delle attività dell’equipaggio.

Tutte attività che mi hanno dato la possibilità di visitare posti nuovi e conoscere tante persone, a iniziare dai passeggeri. Questi compiti mi sono piaciuti molto perché rappresentavano una nuova sfida e c’era sempre da imparare.

Nel frattempo, mi sono laureata e ho capito che volevo utilizzare di più le mie abilità cognitive.

Quindi, questa estate farò ancora una stagione come coreografa. Dopodiché, continuerò a lavorare ancora in ambito turistico, ma non come ballerina.


Ciò che ci insegna questa storia: l’importanza di onorare lo studio e la voglia di imparare

Avevo contattato Nivine chiedendomi cosa spingesse una persona a accelerare lo studio e laurearsi in tempi record.

Su internet avevo già trovato qualche informazione che mi aveva incuriosito. Però, ascoltando la sua storia ho apprezzato lo stile di vita di chi ama le sfide, imparare e non perde tempo a lamentarsi.

C’è da studiare per affrontare due anni in uno? Ci rimbocchiamo le maniche e lo facciamo, anche se ciò significa rinunciare alla vita sociale per un po’ di tempo.

C’è da restare in casa a causa del lockdown? Posso stare con la mia famiglia, studiare e allenarmi.

Sono sicuro che tanti lettori e lettrici di questo articolo si ritrovano in questo mindset propositivo.

E lo stesso vale per me.

Ecco, sono questi i giovani di cui mi piace pensare sarà il futuro, sono queste le persone da cui desidero prendere ispirazione.

PS: grazie di cuore a Nivine Fakih per la sua gentile partecipazione!


Maurizio Oggiano Autore presso La Mente Pensante Magazine
Maurizio Oggiano
Trainer | Researcher | Project Manager
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