La teoria del cervello trino: la grande trappola
Non hai nessun rettile nel cervello!
Ancora oggi sentiamo parlare di cervello rettiliano, rettile o antico, qualunque cosa ciò possa significare.
In particolare, in questi casi si sta facendo riferimento alla teoria del cervello trino.
È un’ipotesi molto popolare, non a caso la continuiamo a trovare in libri, video, discorsi, corsi di leadership, nel marketing e persino all’interno di libri di testo di psicologia. Eppure, ormai sappiamo che questa teoria propone un modello che mal si adatta alle evidenze della ricerca scientifica.
La teoria del cervello trino in pillole
A partire dagli anni Cinquanta, il medico e neuroscienziato statunitense Paul Donald MacLean propose l’idea che il cervello umano fosse costituito da tre “strati“.
Il primo è il complesso R, ovvero lo strato inferiore che avremmo ereditato dai rettili.
In breve, esso sarebbe la parte più antica del nostro cervello e che serve per svolgere attività primarie come mangiare, corteggiare e così via.
Più in alto c’è il secondo layer: il cervello paleo-mammifero. Questo l’avremmo ereditato dai mammiferi inferiori.
Semplificando, potremmo dire che questa parte del cervello – e il sistema limbico in particolare – sarebbe responsabile di alcune emozioni (e.g., rabbia e disgusto), gioco, assistenza materna e comunicazione vocale tra madre e neonato.
Infine, il terzo e più evoluto strato è il cervello neo-mammifero. È il layer più recente che troveremmo solo nei primati.
Non a caso, esso sarebbe alla base di comportamenti che altre specie non conoscono come, ad esempio, l’altruismo e la capacità di usare il fuoco.
Non preoccuparti: non hai rettili nel cervello!
Purtroppo, questa teoria presenta diversi punti critici.
Innanzitutto, la teoria del cervello trino implica che l’evoluzione sia un processo lineare: dalle lucertole ai topi, poi vengono le scimmie e infine gli umani, sia per quanto riguarda il corredo genetico che il cervello.
In tal senso, la teoria del cervello trino presenta delle affinità con la teoria della ricapitolazione.
Essa fu sviluppata tra il Settecento e l’Ottocento.
Poi si capì che i dati scientifici suggeriscono altro e, quindi, oggi questa teoria ha solo interesse storico.
In breve, l’ipotesi è che quando nasciamo, il nostro sviluppo (ontogenesi) ricalca l’evoluzione a partire dai nostri antenati più remoti (filogenesi).
Il cervello potrebbe svilupparsi ricapitolando le fasi della nostra filogenesi, così come accade all’embrione, in fondo.
Ma l’evoluzione non funziona così!
Sin dall’inizio, Charles Darwin si guardò bene dal proporre una visione lineare (o a scala).
Egli descrisse l’evoluzione come un albero (o un corallo) della vita perché aveva in mente un processo dove le variazioni genetiche che hanno successo portano man mano alla diversificazione delle specie.
Non è un progresso dove ogni specie rappresenta un gradino di una ipotetica scala verso la perfezione.
Abbiamo antenati comuni, ma mammiferi e rettili hanno preso strade filogenetiche diverse. Così, ogni specie ha sviluppato capacità cognitive e sistemi nervosi propri.
Un’altra nozione non corretta è che la corteccia cerebrale sia esclusiva dei mammiferi.
Invece, anche alcune specie di rettili, pesci e uccelli ne hanno una. Tant’è che diverse specie mostrano comportamenti e capacità che il modello di MacLean esclude.
Gli uccelli e alcuni rettili esibiscono comportamenti genitoriali, pesci e rane giocano, forse addirittura i polli hanno capacità empatiche.
Ormai sappiamo che il cervello non si è evoluto aggiungendo strati più sofisticati costruiti su quelli più semplici.
L’evoluzione non è un accumulo di strutture più elaborate man mano che le generazioni avanzano.
Emozioni e cervello trino
Non che la teoria del cervello trino non abbia i suoi meriti.
Essa ha evidenziato l’importanza di cercare le radici evolutive delle facoltà cognitive, ad esempio.
Inoltre, la teoria ha una sua popolarità che stimola l’interesse verso psicologia, biologia e neuroscienze.
Però, il modello di MacLean diventa spesso la base per spiegare il comportamento (e.g., gesti ed espressioni facciali), modelli di comunicazione persuasiva e così via. È qui che nascono i problemi.
Le nostre interpretazioni sono superficiali quando facciamo appello al cervello trino per spiegare emozioni, comportamenti e interazioni sociali.
Le azioni che compiamo senza pensare non sono necessariamente istinti, ad esempio.
Allo stesso modo, le nostre emozioni sono il frutto di tanti elementi diversi: le risposte fisiologiche, i nostri ricordi, le nostre aspettative, la situazione specifica e così via.
Di conseguenza, dovremmo essere scettici sulle spiegazioni della comunicazione non verbale e sulle teorie delle emozioni che hanno come premessa l’eredità cerebrale dei rettili.
Conclusione
La popolarità della teoria del cervello trino forse deriva in parte dal fatto che soddisfa il nostro ego.
Ci piace pensare che ci sia una parte di noi ancestrale che mira solo a soddisfare i nostri bisogni più basilari.
Poi noi, grazie alle nostre capacità superiori, riusciamo ad elevarci ed a compiere anche azioni più nobili.
Però, la consapevolezza che le cose non stanno proprio così può restituirci quel controllo sulle nostre azioni che spesso demandiamo al cervello antico.
Per approfondire…
Gould, S. J. (2013). Ontogenesi e Filogenesi. MIMESIS EDIZIONI, Milano – Udine, 2013.
MacLean, P. D. (1955). Thee Limbic System (“Visceral Brain”) in Relation to Central Gray and Reticulum of the Brain Stem. Evidence of Interdependence in Emotional Processes. Psychosomatic Medicine, 17(5), 355-366. DOI: 10.1097/00006842-195509000-00003.
Manning, A., Dawkins, M.S. (1998). Il comportamento animale. Bollati Boringhieri editore, Torino, 2015.
Reiner, A. (1990). An Explanation of Behavior: The Triune Brain in Evolution. Role in Paleocerebral Functions. Paul D. MacLean. Plenum, New York, 1990. xxiv, 672 pp. Science, 250(4978), 303-305.
Stingo, V. (Ed., 2016). Anatomia Comparata. Milano: Edi.Ermes srl.
Maurizio Oggiano
Trainer | Researcher | Project Manager
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