Perché la filosofia è importante?
Riflessione informale sul perché non si possa prescindere dalla filosofia
Giorno imprecisato del 2016.
“Comunque, se mai andassi all’Università, credo di voler studiare filosofia”.
“La filosofia è ciò che c’è di più inutile nella vita” mi risponde il ragazzo seduto di fianco a me.
“Perché?”.
“Spiegami a che cosa serve studiare un gruppo di gente che discute e si fa mille paranoie su temi che alla fine non servono a niente nella vita di tutti i giorni. Come quello che ha detto “l’essere è e non può non essere” bella scoperta, ora sicuramente vivrò meglio. Davvero, magari una volta, quando fare filosofia voleva dire fare scienza, serviva a qualcosa, ma ora non ha più senso”.
Balbettai un tentativo di risposta, poi tacqui.
Quelle parole mi risuonano continuamente nelle orecchie e ancora oggi, a distanza di cinque anni, cerco una risposta. Una risposta che si modifica di anno in anno, di pagina in pagina dei libri che leggo. Attraverso lo studio dei pensatori e del modo in cui intesero di guardare alla realtà mi rendo conto che probabilmente non esiste una soluzione univoca, non esiste un’unica definizione di “filosofia” perché essa è cangiante e misteriosa come il suo oggetto.
L’origine della filosofia
Banalmente la nostra riflessione, che in questo momento si addentra in una “selva oscura” in cui sentieri diversi si diramano e il cui termine non è detto sia la meta che ricerchiamo, può iniziare dal nome: φιλοσοφία, philosophía, è composta da φιλεῖν (phileîn), “amare“, e σοφία (sophía), “sapienza”, ossia “amore per la sapienza”.
L’origine della parola è controversa: alcuni ritengono che il primo ad averla introdotta sia stato Eraclito altri ancora Pitagora (entrambi vissuti tra il VI e V sec a.C). Quello che è certo è che, ormai, quando Socrate dialogava nell’Agorà con le giovani speranze ateniesi, interrogandoli su concetti di cui si considerava ignorante, la denominazione “filosofo” era nata. E anzi, nel IV secolo veniva utilizzata per distinguere polemicamente i sofisti da coloro che si consideravano veramente amanti della sapienza. Sofisti contro filosofi, come possiamo leggere nelle opere di Platone.
E adesso che abbiamo il nome ed almeno un denominatore comune, l’amore per il sapere, chi inseriamo dentro questo insieme? Chi sono i primi ad aver iniziato questo tipo di ricerca?
Tradizionalmente la nascita di questa disciplina (senza badare alla disputa tra occidentalisti e orientalisti, che vogliono l’India come madre del pensiero filosofico) viene individuata nel VI sec a.C a Mileto, una città della Ionia, l’attuale Turchia. Si trovava dunque in una posizione di passaggio: da una parte la Grecia, dall’altra l’Impero persiano. Ottima tappa per gli scambi commerciali e l’incontro di comunità diverse tra loro. Il che si può tradurre dunque in un clima effervescente e denso di stimoli intellettuali. Non risulta dunque strano vedere emergere proprio qui la figura del primo filosofo, Talete, seguito dai conterranei Anassimandro e Anassimene.
Qual è la particolarità che rende questi tre pensatori idonei ad essere inseriti nel nostro gruppo?
La risposta non è una sola: innanzitutto passano, dallo spiegare la realtà attraverso il mito, al condurre un’indagine razionale. In secondo luogo, aderiscono alla nozione di filosofo elaborata da Aristotele (che fu difatti il primo a chiamarli come tali) secondo la quale l’amante del sapere, è colui che indaga i principi primi e i fondamenti della realtà, che non è confinato come gli altri studiosi a un ambito particolare e la cui ricerca non ha un fine concreto.
Il senso di meraviglia
Abbiamo ora una prima generica definizione di filosofia, ma questa non credo contribuisca a renderla più chiara. “Principi primi”, “fondamenti della realtà”, sembrano parole altisonanti, lontane come potrebbe esserlo una nebulosa celeste e misteriose come un buco nero.
E allora qui mi verrebbe da rinunciare e dare ragione a quel ragazzo, ma poi mi ricordo di un sabato mattina in compagnia del mio amico di due anni e della conversazione avuta tra il lancio di una macchinina e quello di un trattore.
“Tata, perché respiri?”.
“Respiro perché ci sono i polmoni, G.”.
Pausa di riflessione.
“Perché ci sono i polmoni?”.
“Ci sono i polmoni perché così siamo vivi”.
“Perché siamo vivi?”.
Ovviamente a quel punto stava ponendo le domande per gioco, per vedere fino a che punto la tata lo avrebbe assecondato. Ma direi che è significativo che, sebbene in parte, G. si stesse chiedendo il “perché?” delle cose e stesse mettendo in discussione ogni mia risposta. È partito tutto dalla meraviglia, dalla realizzazione di avere le mani, e dalla ricerca di una spiegazione. La capacità di meravigliarsi è il primo passo che porta alla ricerca filosofica, ma anche a tutte le altre scienze.
“L’essere pieno di meraviglia è proprio del filosofo. Sì, il principio della Filosofia non è altro che questo, e chi ha detto che Iride è figlia di Taumante [“thaumazein” = meravigliarsi] non mi pare abbia sbagliato genealogia.” – Platone, Teeteto, 155d
E si tratta di un sentire proprio dell’uomo, basti guardare la fase compresa tra i 2/3 fino ai 5 anni, quindi possiamo in un certo senso dire che la propensione al filosofare è propria di ogni essere umano. Non si tratta di una disciplina a cui possono accedere pochi eletti, è insita nella nostra natura.
I pesci sono dotati di branchie e pinne e dunque nuotano ed è la loro realizzazione perfetta, gli uccelli con ali, una struttura cava e piume sono portati per natura a volare, i ragni per tessere la tela. Ciò che distingue la specie umana dalle altre è la capacità di pensare in maniera astratta e che cos’è la filosofia se non astrazione assoluta? Da qui possiamo dedurre che il filosofare sia l’attività che permette all’uomo di realizzare la sua natura nel migliore dei modi.
La filosofia come scienza del tutto
Dunque adesso che abbiamo caratterizzato la filosofia come una sorta di fatalità che attende di avvolgere, prima o poi, la mente di ognuno di noi (un giorno, magari dopo aver alzato un po’ il gomito, ci capiterà di guardare sconsolati la bottiglia di birra e chiedere all’amico di turno il senso della nostra esistenza), ci tocca porci la domanda su che cosa di fatto essa sia.
In questo caso potrebbe essere utile guardare innanzitutto al suo oggetto, il suo fine, ciò che la rende diversa da tutte le altre scienze. La differenza fondamentale probabilmente potrebbe essere la seguente: mentre la matematica, la fisica, la biologia, la chimica, ad esempio, sanno con certezza cos’è ciò che vanno a conoscere e credono fermamente che esista una soluzione ai problemi che si pongono, anche se magari non sarà mai trovata e aleggerà nell’iperuranio aspettando che arrivi qualcuno in grado di coglierla, la filosofia non sa.
Fare filosofia vuol dire inoltrarsi in un labirinto di specchi, in una foresta di ombre, vuol dire riconoscere la possibilità che non esista una via d’uscita. Nonostante ciò, non si può fare a meno di continuare, di cercare qualcosa la cui esistenza non è assicurata.
Ma cosa si cerca? La risposta a questa domanda varia nel corso dei secoli insieme con l’uomo e con le priorità che ogni generazione si dà, ma potremmo individuare alcuni temi ricorrenti: che cosa sia l’essere, Dio, l’etica, o la conoscenza ad esempio.
Si potrebbe, a ragione, dire che la filosofia ha come oggetto d’indagine ogni cosa che esiste, e di cui capita che metta anche in dubbio l’esistenza.
Scriveva Platone nel Simposio:
“Proprio perché figlio di Poros e di Penìa, Eros si trova nella condizione che dicevo: innanzitutto è sempre povero e non è affatto delicato e bello come si dice di solito, ma al contrario è rude, va a piedi nudi, è senza casa, dorme sempre sulla nuda terra, sotto le stelle, per strada davanti alle porte, perché ha la natura della madre e il bisogno l’accompagna sempre. D’altra parte, come suo padre, cerca sempre ciò che è bello e buono, è virile, risoluto, ardente, è un cacciatore di primo ordine, sempre pronto a tramare inganni; desidera il sapere e sa trovare le strade per arrivare dove vuole, e così cerca la sapienza per tutto il tempo della sua vita, è un meraviglioso indovino e ne sa di magie e di sofismi.”
Con questo mito che Platone mette in bocca alla sacerdotessa Diotima, riferite poi da Socrate ai commensali del banchetto che fa da scenario al Simposio, abbiamo una perfetta descrizione del filosofo: come Eros, demone a metà tra umano e divino, egli è mosso da un desiderio costante provocato da una mancanza e “cerca la sapienza per tutto il tempo della sua vita”.
La filosofia è utile o no?
Avendo, forse, chiarito in parte chi è la protagonista della nostra breve indagine senza pretese, possiamo tornare alla domanda da cui tutto ha avuto origine.
La filosofia è inutile? Se con la parola “inutile” ci riferiamo all’incapacità di portare un apporto positivo alla vita pratica, allora sì: la filosofia senza dubbio lo è. Ma se ci limitiamo a concepire l’esistenza a livello unicamente materiale e pratico, che cosa sarebbe ciò che ci rende umani?
Josè Ortega y Gasset nel 1929 tiene in un teatro, a causa delle manifestazioni studentesche che impedivano l’accesso all’Università, un corso intitolato “Che cos’è la Filosofia” dove sviluppa un’interessante concezione secondo la quale essa è necessaria per ricercare il tutto originario di cui noi ravvisiamo solo alcune parti. Il riconoscimento della parzialità di ciò che ci circonda provoca in noi un malcontento che definisce “un amore senza l’amato, un dolore che avvertiamo in membra che non possediamo”.
Dice ancora:
“Il mondo che troviamo non basta a se stesso, non sostenta il proprio essere, grida ciò che gli manca, proclama il suo non essere e ci obbliga a filosofare; perché è questo filosofare, dare al mondo la sua integrità”.
La filosofia è ciò che nutre quella fame latente in ognuno di noi, che placa la sete continua. Fa evolvere con continue domande costringendo colui che ha deciso di immergersi in lei a costruire e decostruire i pensieri in un ciclo continuo.
Ci fa comprendere cosa sia l’umiltà dal momento che il suo è un non sapere strutturale. Infatti come possiamo noi predicare di possedere una conoscenza certa se essa è fondata su una scienza che con il suo costante cambiare non offre stabilità?
Permette di cogliere ciò che ci circonda ad un livello profondo attraverso la messa in discussione di valori, pensieri, idee e opinioni. E il pensiero critico, parte integrante della filosofia, è ciò che ci rende liberi.
“Nella stessa giornata sboccia rigoglioso alla vita e muore, poi ritorna alla vita grazie alle mille risorse che deve a suo padre, ma presto tutte le risorse fuggono via: e così non è mai povero e non è mai ricco”- Platone, Simposio
Chiara Restagno – Diplomata in Arti Performative | Email