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Sliding Doors: eventi imprevedibili e inaspettati

Quante volte ci chiediamo “e se invece avessi…”?


Sono le 19:30. Il caldo sta scemando e finalmente mi posso preparare per una bella corsetta.

Mio figlio mi chiama: “Ehi ma, mi puoi portare in auto dai miei amici ora?“. Sbuffo, pensando: “Ma proprio adesso?“.

So che rischio di dover rinunciare alla mezz’ora di cercato e voluto sudore… ma rispondo: “Va bene, dammi cinque minuti“.

Mi preparo, lo accompagno, torno e decido di andare comunque a correre. E succede qualcosa di totalmente inaspettato.

Abitando in campagna so di poter incontrare dei leprotti e di avvistare qualche poiana, ma lo spettacolo che si presenta ai miei occhi mi lascia attonita: mamma volpe sta liberamente scorrazzando tra due campi di granturco in compagnia del suo cucciolo.

Appena mi avvista lei si nasconde tra le fronde del mais, ma lui no: le orecchie grandi, sproporzionate rispetto al corpo, sono rivolte verso di me, gli occhi vispi mi scrutano curiosi e inclina la testa come per dire: “E tu che cosa diamine sei?“.

Dopo pochi secondi, forse per un flebile richiamo della madre, si rifugia anche lui nell’alto campo coltivato, senza paura né fretta.

E se invece non avessi avuto quell’imprevisto? Se mio figlio non mi avesse posto quella domanda proprio in quel momento?

Probabilmente avrei perso quella scena meravigliosa.

Cosa significa “sliding doors”? La traduzione letterale è “porte scorrevoli“: e quindi? Perché scrivere un testo su un argomento di questo genere?

Perché in realtà c’è un significato nascosto, più profondo, relativo ad un evento inaspettato che può cambiare il corso della vita di una persona.


“Sliding doors”: il film

Nel film omonimo del 1998 diretto da Peter Howitt e con protagonisti Gwyneth Paltrow e John Hannah si narra la storia di Helen che, per una serie di coincidenze, perde la metropolitana che l’avrebbe portata al lavoro e torna a casa, dove scova il marito a letto con l’amante.

Il film esprime chiaramente il significato di “porte scorrevoli“, intendendo non solo quelle della metropolitana che si chiudono, ma anche quelle della vita di Helen, mostrando sia cosa realmente accade sia cosa sarebbe successo se le porte si fossero chiuse pochi istanti più tardi.

Scelgo di non entrare nello specifico per non “spoilerare” eccessivamente la trama a chi fosse incuriosito dal film e lo volesse guardare, ma sicuramente si tratta di un argomento strettamente legato al concetto di destino: quanto siamo responsabili del nostro destino?


Esiste un destino?

Abbiamo una strada già precostruita oppure tutto è lasciato al nostro libero arbitrio?

A volte credo che il nascondersi dietro affermazioni quali: “Eh…era destino che finisse così” non sia altro che un modo per deresponsabilizzarsi.

Ci si convince talmente che una determinata strada sia sbagliata per noi che, se anche ciò non fosse vero, facciamo in modo che lo diventi.

Forse abbiamo tutti un destino, ma il “pre-costruito” è uno scheletro o poco più, sta ad ognuno di noi equipaggiarlo di muscoli, tendini, carne, pelle dandogli infine vita, rendendo il più possibile “nostro“.

Insomma, come sosteneva l’autore romano Appio Claudio Cieco: “Homo faber fortunae suae” (l’uomo è artefice del proprio destino), concetto poi ripreso ed ampliato molti anni dopo da Pico della Mirandola che…

esaltò le peculiarità dell’uomo, unico nella scala degli esseri a potersi forgiare da solo, avendo libertà di scelta di evolversi verso l’alto o abbrutirsi verso il basso” – (cit. “Atlante Illustrato di Filosofia” di Ubaldo Nicola, Editore Giunti 1999)

Forse se non avessi dovuto accompagnare mio figlio dagli amici non avrei visto le due splendide volpi…magari però avrei incontrato un capriolo, o forse le avrei viste il giorno successivo.


Se avessi, se non avessi

Questo mio esempio si riferisce ad una scelta che probabilmente non avrebbe avuto grandi conseguenze se avessi preso una decisione diversa, ma spesso nella vita ci capita invece di arrovellarci con domande senza risposta…”Se avessi preso quella strada anziché questa non avrei avuto quel brutto incidente” oppure “Se fossi stata più accorta avrei capito che quell’uomo era sbagliato per me” o ancora “Se avessi accettato quel lavoro adesso chissà dove sarei…“.

Mi chiedo e vi chiedo: a che pro? Perché farci del male con quesiti così poco proficui?

Ormai il dado è tratto, tendo a pensare che nel momento in cui siamo posti di fronte ad una scelta non possiamo mai (o quasi) essere certi di intraprendere l’azione più giusta o vantaggiosa, ma sicuramente in quel momento ci era sembrata la più adeguata.

Detto ciò piangerci addosso non aiuta, rimbocchiamoci le maniche e, anziché guardare indietro, indirizziamo il nostro sguardo in avanti, verso il futuro.

In caso contrario il rischio è quello di farci scappare una fantastica opportunità che ci sta passando sotto agli occhi: sì, perché può capitare in qualsiasi momento, anche in quello più buio ed inaspettato.


Il ruolo dell’istinto

Nella mia vita professionale ho subìto dei cambi di direzione piuttosto repentini e spesso imprevedibili o inaspettati: ho usato di proposito il participio subìto” come contrapposto ad “agito“.

Ho subìto alcuni di quei cambi perché purtroppo non li ho scelti io: il fallimento di un’azienda in cui ho lavorato oltre dieci anni, la fine di un contratto a termine non sfociato in una prosecuzione.

Alcuni però li ho davvero agiti. In che senso? Ora ve lo racconto.


Subìre o agire?

In un momento di “stop forzato” mi si presenta un’occasione insperata: una valida azienda mi vorrebbe assumere come formatrice.

Il lavoro che avevo fatto per oltre dieci anni, e che amavo, mi bussava nuovamente alla porta.

Già dal primo colloquio capisco che sono davvero molto desiderosi di avermi in squadra, al punto da propormi da subito un contratto molto vantaggioso, ma io sono perplessa.

Entrando in quegli uffici avverto una strana sensazione, non vedo l’ora di uscire da lì.

Sono tutti molto gentili e quando io manifesto la mia titubanza fanno i salti mortali per trovare una soluzione che mi aggradi.

Si verifica quindi la situazione contraria a quella che più frequentemente avviene in un colloquio di selezione (anche se negli ultimi anni si registra un notevole cambio di tendenza): sono io a lasciarli dicendo: “Ci devo riflettere con attenzione, vi farò sapere appena possibile”.

E decido per il “no”.

La mia parte razionale diceva: “È un ottimo contratto, è il lavoro che ti piace, sei folle a non accettare!“, ma il mio istinto lanciava segnali di allarme continui: “È davvero molto lontano, la sensazione quasi claustrofobica che hai provato testimonia che qualcosa non ti convince“.

A distanza di quasi dieci anni da quella scelta sono contenta di aver detto quel “no“* in quanto mi ha aperto la strada ad un sacco di altre esperienze, alcune positive altre meno, ma è la vita, si impara sempre qualcosa.

*Nota: se siete interessati ad approfondire il concetto del “dire no” vi invito a leggere l’articolo “Trovare il coraggio di Dire NO“, pubblicato qualche tempo fa qui su La Mente Pensante Magazine.

Ogni giorno compiamo innumerevoli scelte, alcune di cui nemmeno ci rendiamo conto, ma che magari hanno avuto o avranno il potere di cambiare la direzione della nostra vita.

Scegliamo consapevolmente e con responsabilità, ma soprattutto con uno sguardo determinato verso il futuro e concentrandoci su due semplici parole: “Sono pronta!“.


Simona Battistella Autrice presso La Mente Pensante Magazine
Simona Battistella
HR Manager | Trainer
Bio | Articoli | AIIP Dicembre 2023
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