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Sogno o son desto?

Il sogno come opportunità di evoluzione

Image by bruce christianson on Unsplash.com


Nell’antichità il sogno veniva considerato un messaggio divino, derivante da forze soprannaturali ed esterne all’uomo. È con Freud e la psicanalisi che, a partire dagli inizi del ‘900, comincia ad essere considerato come determinato dal nostro mondo interno (Ligabue, 2005).

Il sogno può essere definito come uno stato mentale di alterazione della coscienza che si manifesta nel sonno, del quale spesso non abbiano consapevolezza e memoria (amnesia del sogno).

Diverse sono le teorie sul significato biologico e psicologico del sogno: dalle teorie psicoanalitiche, che lo considerano espressione dell’inconscio a quelle neuropsicologiche, che gli attribuiscono il ruolo di ristrutturatore delle funzioni cognitive (consolidamento della memoria e apprendimento in particolare), di facilitatore del disapprendimento di nozioni erronee (sogniamo per dimenticare), di regolatore delle emozioni, fino a teorie che considerano la produzione di sogni a contenuto bizzarro funzionale alla cancellazione di pensieri parassiti (sogniamo per tenere a freno fantasie e ossessioni).

Al di là delle diverse teorie su citate, è importante far presente che il sogno ha una funzione fisiologica evolutiva, riparativa, di problem-solving, di ristrutturazione e riorganizzazione dei pensieri diurni per favorire un miglior adattamento e funzionamento mentale (Attanasio, 1983, 1989; Fosshage, 2005); ha una funzione di integrazione delle esperienze emotive vissute dall’individuo nello stato di veglia. Queste funzioni del sogno sono in linea con quanto è emerso dalle più moderne ricerche nel campo delle neuroscienze.

Dal punto di vista neurofisiologico pare che i sogni siano il risultato di un bombardamento caotico della neocorteccia e del sistema limbico da parte di segnali casuali provenienti dal tronco (onde PGO – Ponto-Genicolo-Occipitali), per cui la trama ricordata sarebbe solo il risultato di un ordine imposto al caos dei segnali nervosi. Quest’ordine è tuttavia determinato dai nostri ricordi e dalla nostra visione del mondo.

L’attività onirica si manifesta sia nella fase REM (acronimo di “Rapid Eye Movement”: movimento rapido degli occhi, che caratterizza questa fase del sonno), sia nella fase NREM (Non REM), sebbene solitamente le caratteristiche dei sogni che vengono prodotti in queste due fasi del sonno siano differenti: il sogno REM è caratterizzato da aspetti sensoriali simili alla veglia, da una struttura narrativa complessa, dalla presenza di una risonanza emotiva, mentre il sogno NREM mostra prevalentemente aspetti cognitivo-razionali, frammentazione degli elementi e un frequente richiamo a pensieri o situazioni della giornata; i sogni NREM della fase tardiva del sonno tendono ad assomigliare sempre più al sogno REM. La funzione del sogno sembra svilupparsi con l’età: solo il 20% dei bambini sotto i 7 anni svegliati nelle fasi REM racconta sogni, rispetto all’ 80-90% degli adulti (Durbano, 2020).


Dal sogno al racconto

Quando viene ricordato il sogno sembra qualcosa di esterno a noi come, durante la veglia, lo sono gli stimoli fisici che provengono dal mondo esterno (Rotondo, 1989). Eppure è la manifestazione di tutto ciò che è inconscio e arcaico, tanto che si esprime in immagini, sensazioni ed emozioni vivide. Risulta determinato da quello che Freud ha definito processo primario (Freud, 1989), caratteristico dell’inconscio, presente sin dalla prima infanzia, quando rappresenta l’unico modo di funzionamento della psiche; si tratta di un linguaggio non verbale, sensoriale, eidetico, simbolico e metaforico.

Quando viene ricordato il sogno subisce un processo di rielaborazione: viene tradotto in significati propri della vita da svegli, del pensiero vigile (quello che Freud definisce processo secondario); viene tradotto in forma verbale, raccontato e riportato a parole. Inoltre, il sogno raccontato è diverso a seconda della persona a cui lo raccontiamo, per cui anche la relazione con l’altro influisce in qualche modo sugli elementi che raccontiamo e sulle modalità con cui lo facciamo. Il sogno rappresenta, in terapia, una fotografia della relazione presente tra paziente e terapeuta (Galliano, 1989; Novellino, 1989).


Cosa mette in scena il sogno?

Il sogno è un messaggio esistenziale che ci parla di noi e di ciò che stiamo vivendo nella nostra profondità (Ferrara, 1989; Simmons, 1994).

Nel sogno appare il copione della persona (Berne, 1972), ossia il piano di vita che si è costruita nell’infanzia e che, là-e-allora nella famiglia d’origine, si è rivelato la strategia migliore per massimizzare la presenza e la vicinanza delle figure genitoriali. Tale copione, tuttavia, si rivela disfunzionale nella vita adulta e consiste in comportamenti ripetitivi e sempre uguali incongruenti rispetto alle situazioni vissute nel qui-e-ora. Così ci troviamo a mettere in atto sempre le stesse vecchie e antiche dinamiche relazionali nel rapporto con noi stessi, con gli altri e con il mondo.

Nei sogni è il passato che emerge, compreso quello più arcaico depositato nelle memorie implicite corporee, legate alla relazione con la figura materna della vita prenatale e neonatale; è il nostro copione di vita che emerge (Moiso, 1989), compreso quello che Berne (1971) definisce il protocollo di copione, una prima forma rudimentale di copione stesa nella primissima infanzia.

Ma, oltre a mettere in scena il nostro copione di vita, il sogno svolge una funzione evolutiva e identificatoria (Attanasio, 1983, 1989), ossia presenta degli elementi di novità, degli elementi “fuori copione”, che possono guidarci verso la sperimentazione di nuove opzioni di pensiero, emozione e comportamento, perché rappresentano nuove soluzioni che ci portano fuori dai comportamenti ripetitivi e automatici che abbiamo sempre messo in atto. I sogni possono rivelarsi pertanto una spinta verso il cambiamento e l’evoluzione, in quanto determinano una metabolizzazione ed una revisione creativa del programma interno esistente.


Il lavoro sul sogno in terapia

Prendendo consapevolezza del proprio copione, ma anche delle diverse soluzioni fuori copione che possiamo rilevare nei nostri sogni, possiamo essere in grado di cambiare la nostra vita (Perls e Baumgardner,1983).

Il lavoro sul sogno prevede una collaborazione tra paziente e terapeuta, a partire dalla considerazione che gli elementi del sogno hanno un significato specifico per quel paziente che, pertanto, solo lui può svelare. Il terapeuta rappresenta una guida che, con i suoi interventi, porta il paziente ad approfondire ciò che emerge nel sogno, a collegarlo al suo passato e a identificare le rivisitazioni del copione di vita.

In terapia, nel lavoro sul sogno, è importante innanzitutto rilevare quale emozione il sognatore ha provato al risveglio. Questa ci fornisce informazioni sul contenuto del sogno, cioè se rappresenta principalmente il copione della persona, nel qual caso l’emozione che si associa al risveglio è un’emozione vecchia e ripetitiva che viene dal passato (cfr. racket: English, 1971, 1972), ovvero se si tratta di un contenuto fuori copione, nuovo e risultato di un processo evolutivo positivo che si associa ad un’emozione congruente al momento di crisi che il paziente sta vivendo.

Considerando poi che, quando un paziente racconta un sogno, molta della sua vividezza e della sua vivacità è andata persa, occorre “riportarlo in vita”, riattivarlo come se stesse accadendo nel qui-ed-ora: questo si ottiene chiedendo al paziente di raccontare il sogno al tempo presente e in prima persona, cosicché possa connettere l’esperienza del sogno con il suo copione di vita.

Naturalmente non va considerato solamente il contenuto del sogno, bensì anche il processo, ossia il modo in cui il paziente racconta e parla del suo sogno (linguaggio paraverbale e non verbale) e le sensazioni, le emozioni, i pensieri e le fantasie del terapeuta in reazione al racconto del paziente (Ferrara, 1989).

Il secondo step da compiere è far sì che il paziente metta in scena il sogno come se fosse una rappresentazione teatrale, con il conseguente utilizzo della creatività. Partendo dalla considerazione che ogni parte del sogno è un aspetto del sognatore, quest’ultimo ha bisogno di riappropriarsi delle parti di sé alienate, non riconosciute, delle “parti mancanti” (talvolta si tratta di parti di sé rifiutate: Ferrara, 1989) proiettate nel sogno come immagini estranee (Simkin, 1978), attraverso un processo di interpretazione e identificazione dei personaggi e degli oggetti del sogno stesso, che prendono vita e hanno la possibilità di esprimersi. Questo favorisce la risoluzione di conflitti interni, un’integrazione e l’emergere delle potenzialità della persona. Identificandosi e diventando ogni parte del sogno è possibile riprendersi, riassimilare ciò che abbiamo disconosciuto, buttato via, alienato da noi stessi. Questo processo di reintegrazione consente di chiudere le Gestalt rimaste aperte, di allargare le proprie potenzialità e di assumersi la responsabilità della propria vita (Perls, 1969).

In alcuni casi, per ottenere questo risultato, può essere utile riempire le lacune presenti nel sogno con la fantasia, o concludere il sogno al punto in cui lo si è dimenticato svegliandosi (Naranjo, 1991), o ancora raccontarlo di nuovo ma a partire da una visione positiva della vita (Ferrara, 1989). C’è bisogno così che il sognatore diventi parte del sogno.

Infine, è fondamentale tener presente che il sogno è una reazione ai bisogni dell’individuo che cercano soddisfazione (Rotondo, 1989). In particolare, nei sogni è possibile identificare i bisogni originari che il paziente ha cercato in maniera copionale e inadeguata di soddisfare per tutta la vita. Prendendone consapevolezza ed entrandoci in contatto attraverso il sogno, ha la possibilità di imparare a soddisfarli in maniera diversa e appagante, portando nella sua vita un cambiamento, un’evoluzione.


Conclusioni

Con il sogno abbiamo la possibilità di allargare il nostro copione (Romanini, 1981, 1988) attraverso il riconoscimento di parti di noi, attraverso l’invenzione di nuove soluzioni e la loro sperimentazione. Il sogno pertanto può favorire un ampliamento dell’autoconsapevolezza e della propria identità, trovando modalità diverse e più funzionali di affrontare la vita, aprendo nuove strade e procedendo verso nuove opzioni (Karpman, 1971).


Bibliografia

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Durbano, F. (2020). Il sonno e i suoi disturbi. Una revisione degli aspetti fisiologici, clinici e di trattamento. Provider ECM Axenso srl. https://ecmclub.org/
English, F. (1971). The substitution factor: rackets and real feelings, Part. I, T. A. Journal, I, 4.
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Ferrara, A. (1989). Il sogno come esperienza: un messaggio esistenziale per reintegrare le parti alienate di sé. In M. Gaudieri e L. Quagliotti (A cura di), Il sogno nell’Analisi Transazionale clinica – Atti delle giornate sorrentine di aggiornamento in AT, pagg. 23-41.
Fosshage, J.L. (2005). Le funzioni organizzative dell’attività mentale del sogno, Quaderni di Psicologia, Analisi Transazionale e Scienze Umane, n. 43.
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Naranjo, C. (1991). Atteggiamenti e prassi della terapia gestaltica. Roma: Melusina.
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Simkin, J.S. (1978). Brevi lezioni di Gestalt. Roma: Borla.
Simmons, B. (1994). Trascrizione verbatim dal Seminario sui sogni, condotto presso il Centro di psicologia e Analisi Transazionale, Milano.


Dott.ssa Claudia Cioffi Autrice presso La Mente Pensante Magazine
Dott.ssa Claudia Cioffi
Psicologa e Psicoterapeuta Analitico Transazionale
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