Sovrappopolazione: siamo troppi e ci estingueremo
Forse…
La distopia è una rappresentazione di un futuro immaginario più o meno spaventoso che di solito produce mondi affascinanti descritti in libri, film, fumetti, sul web e nei videogiochi.
Si tratta di un genere di grande successo e popolarità che include opere come 1984 di George Orwell, Il Mondo Nuovo di Aldous Huxley e la saga Hunger Games di Suzanne Collins, tanto per fare alcuni esempi. In generale, molte sceneggiature si fondano su scenari di società divise: l’élite nelle zone superiori, i poveri in bassifondi affollati.
La realtà può però anche spingersi oltre le nostre più fervide fantasie o i nostri peggiori incubi.
Forse questo è ciò che pensarono gli scienziati della seconda metà del Novecento quando gli esperimenti rivelarono come l’aumento della popolazione avrebbe con tutta probabilità comportato una serie di problemi per l’umanità (e non solo).
L’Universo 25: un inferno “perfetto”
Verso la fine degli anni Sessanta, l’etologo John B Calhoun volle studiare la possibilità di realizzare un ambiente utopistico, senza malattie, scarsezza di risorse o problemi di altro tipo.
Così, preparò una struttura chiusa (i.e., chiamato Universo 25) di forma quadrata.
Ogni lato misurava circa due metri e mezzo e i muri perimetrali erano alti oltre un metro e mezzo, abbastanza per impedire ai soggetti sperimentali, ovvero i topi, di fuggire.
A completare la struttura c’erano tunnel e tane che potevano ospitare fino a 15 topi ciascuna.
Nell’Universo 25 non ci sarebbero stati problemi di acqua o cibo, né malattie o predatori. Insomma, un ambiente dove i topi potevano proliferare.
Senza problemi per vivere, molti topi avrebbero vissuto probabilmente fino a 800 giorni e oltre, ovvero l’equivalente degli 80 anni per gli esseri umani.
Tuttavia, un limite c’era: data la sua conformazione, la struttura poteva accogliere senza problemi circa 3840 ratti.
Superato quel numero (e non prima), Calhoun si aspettava problemi di sovrappopolazione.
All’inizio dell’esperimento, Calhoun inserì nella struttura quattro coppie di topi.
La popolazione crebbe esponenzialmente, superando le 2000 unità dopo poco più di cinquecento giorni dall’inizio dell’esperimento.
Qui però iniziarono a palesarsi strani eventi, nonostante l’affollamento fosse ben lontano dalla massa critica di 3840 soggetti.
La crescita cominciò a rallentare, ma non era quello il problema. I giovani erano troppi e non c’erano abbastanza ruoli sociali per loro.
Così, i topi cominciarono a competere per ottenere un ruolo all’interno del gruppo.
Chi non ci riusciva diventava “apatico“, se ne restava al centro della struttura tutto il tempo senza fare nulla.
Questi topi “apatici” avevano ferite e cicatrici, segni degli attacchi di altri individui.
In effetti, era già iniziata un’escalation di aggressività tra la popolazione.
I primi episodi aggressivi spinsero le famiglie vittime delle aggressioni a cercare tane più isolate.
I maschi però cominciarono a non difendere più i loro territori e le femmine si sostituirono ad esse.
Nel frattempo, anche i ratti “apatici” cominciarono ad attaccare gli altri, passando da vittime a carnefici.
L’aggressività crescente comportò altri comportamenti particolari.
Ad esempio, le madri spostavano frequentemente i cuccioli da una tana ad un’altra, spesso lasciandone indietro qualcuno.
Molti di questi piccoli scomparivano e, in genere, la mortalità prenatale e infantile aumentò.
C’era persino un certo inquinamento a causa degli odori e delle scorie presenti all’interno dell’Universo 25.
Il paradiso dei topi si era trasformato in un inferno con madri noncuranti, mortalità infantile elevata, violenza e persino cannibalismo.
Il rallentamento della crescita si era trasformato in un declino della popolazione.
Potremmo ingenuamente pensare che ciò non sia un male.
La minore densità probabilmente avrebbe favorito il benessere degli abitanti della struttura.
Se poi il numero di individui si fosse ridotto troppo, la popolazione avrebbe sicuramente ripreso a crescere. Non fu così, però.
Il declino fu inesorabile. Dopo 776 giorni, erano rimasti solo 122 topi, 22 maschi e 100 femmine.
L’esperimento indicava che sarebbe stata addirittura possibile (e forse probabile) l’estinzione del gruppo.
Cosa era successo? Secondo Calhoun, il fattore determinante riguardava la socialità.
L’universo 25 sembrava offrire tutto ai topi per prosperare, in fondo: acqua, cibo, tane a volontà, mancanza di malattie e pericoli (e.g., predatori).
Tuttavia, superata quella che probabilmente era la grandezza ottimale del gruppo, le interazioni sociali non erano più gratificanti.
I topi non riuscivano a costruire legami sociali, maturare nella maniera migliore e quindi a sviluppare comportamenti “salutari” riguardo corteggiamento e maternità.
Gli individui non riuscivano a trovare un loro posto in quel mondo, insomma.
Molte femmine non ebbero figli e i maschi neanche entravano in competizione per loro.
I topi si limitavano a mangiare, bere, dormire e indugiavano in comportamenti di grooming.
Il pessimismo cosmico: siamo già troppi, destinati ad estinguerci
Gli esperimenti di Calhoun ebbero molto successo.
Molte persone presero coscienza delle possibili implicazioni per l’umanità e la sovrappopolazione divenne il focus per diversi pensatori e scienziati.
Alcuni svilupparono una visione pessimistica sul nostro futuro.
In particolare, alcuni previdero che la popolazione mondiale del 2025 avrebbe contato tra 2 e 5 miliardi di persone al massimo.
Noi siano andati già oltre perché nel 2022 siamo già praticamente 8 miliardi, forse troppi: abbiamo bisogno di sempre più cibo, acqua, energia, vestiti, case, autovetture, eccetera.
Consumiamo le risorse ambientali troppo rapidamente, senza dare alla Terra il tempo necessario a ricostituirle.
I risultati sono deforestazione, erosione del suolo, desertificazione, il cambiamento climatico e tutto quello che deriva dai nostri comportamenti di consumatori.
Per porre rimedio a ciò si potrebbe controllare il numero delle nascite.
In tal senso, alcune società cercano di limitare l’aumento della popolazione con leggi, norme e regole più o meno restrittive per perseguire questo obiettivo (i.e., zero population growth).
L’ottimismo utopico: la sovrappopolazione non è un problema
Altri scienziati fecero notare il rischio di cadere nell’antropomorfismo.
Non è detto che quanto accade negli altri animali sia anche necessariamente anche il nostro destino, in fondo.
In effetti, studi su specie diverse rivelarono un quadro più complesso.
Le aggressioni aumentano con l’affollamento, certo.
Ad esempio, bonobo e scimpanzé tendono a diventare aggressivi quando hanno meno spazio individuale (e.g., riduzione del 50%) a disposizione, ma ciò dipende da diversi fattori.
Alcune determinanti sono intuitive, ovvero quelle già individuate da Calhoun (e.g., disponibilità di cibo e acqua).
Ci sono però altri fattori che influenzano le dinamiche sociali: la disponibilità di potenziali partner, il carattere degli individui, la durata dell’affollamento e così via.
In effetti, se la situazione dura poco (e.g., qualche ora o qualche giorno), molte specie reagiscono limitando spostamenti e attività sociali.
Ciò riduce le probabilità di scontri trai i membri del gruppo di per sé.
Situazioni prolungate (e.g., anni) richiedono soluzioni a medio termine.
Ad esempio, i primati riducono le tensioni attraverso l’aumento dei comportamenti affiliativi.
Inoltre, non è la sovrappopolazione di per sé, ma la percezione che ne abbiamo a influenzare il nostro comportamento.
Ad esempio, gli ambienti rumorosi e competitivi ci sembrano più affollati.
In generale, l’aumento della popolazione non è così male perché produce anche effetti positivi, ad esempio per il benessere economico e finanziario.
Aumentano la domanda, la forza lavoro e la produzione.
In effetti, l’incremento della popolazione è spesso un elemento in grado di (ri)vitalizzare l’economia delle singole Nazioni, soprattutto quelle in via di sviluppo.
Allora il problema forse non è il consumo eccessivo, ma la necessità di avere nuove tecnologie che aumentino l’efficienza produttiva e sistemi sociali in grado di favorire il benessere di ognuno.
Lo stesso Calhoun non pensava che l’aumento della popolazione portasse necessariamente all’estinzione dell’umanità.
Egli era piuttosto interessato a identificare i principi per la pianificazione, la realizzazione e il mantenimento di città che emergevano da discipline come ecologia, etologia e scienze naturali.
La sua idea era che innovazione e tecnologia potessero permetterci di avere delle interazioni sociali significative, anche se lo spazio fisico a nostra disposizione diminuisce perché siamo di più.
Potremmo forse immaginare che social media e nuove opportunità come il Metaverso possano essere utili in tal senso.
La dura realtà sulla sovrappopolazione
Ciò nonostante, Calhoun era consapevole dei rischi dell’eccessiva densità di popolazione.
Per gli umani, sembrano sorgere particolari problemi nel momento in cui le persone non possono svolgere attività impegnative e creative.
Per l’ambiente, più siamo e più aumentano il consumo di risorse, l’inquinamento e i rischi di epidemie, come la storia recente rivela in tutta la sua brutalità.
Per quanto riguarda l’economia, l’incremento della forza lavoro fa sì che non tutti possano trovare impiego, la disoccupazione aumenta e ciò determina una serie di conseguenze a livello sociale.
I fattori in gioco sono molti e l’aumento dell’aggressività è solo uno dei possibili esiti.
Le nostre azioni dipendono dal nostro stato interiore (e.g., fame, desiderio sessuale), la personalità, l’organizzazione sociale (e.g., la distribuzione di ruoli e potere) e (soprattutto) le scelte che facciamo.
Ecco perché abbiamo bisogno di idee, progetti e nuovi modi per migliorare la vita in un mondo che prevede miliardi di essere umani, rispettando ciò che ci circonda e utilizzando le risorse in modo sostenibile.
Bibliografia
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Maurizio Oggiano
Trainer | Researcher | Project Manager
Bio | Articoli
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