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Il suicidio materno durante il periodo della gravidanza

Analisi di un fenomeno poco approfondito e dalle sfumature incerte

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Pur trattandosi di un fenomeno assai raro, il suicidio materno rappresenta in concomitanza con il figlicidio una delle manifestazioni più gravi della psicopatologia della maternità.

Spesso accompagnata da variegate e imprevedibili conseguenze pronte a ripercuotersi sulla prole e sul resto dei familiari.


È possibile stilare una classificazione?

La mortalità materna (MM) rispecchia un importante e per nulla trascurabile, indicatore di salute della popolazione femminile di un paese, nello specifico essa viene anche definito evento sentinella capace di evidenziare sia l’efficacia che l’appropriatezza delle cure perinatali.

Nonché la qualità dell’assistenza che viene fornita dal sistema sanitario di riferimento, durante il percorso nascita (Paxton, A., Wardlaw, T., 2011).

Comunemente risulta difficile immaginare il suicidio materno come una delle cause principali presenti sul territorio nazionale, poiché fenomeni come l’aborto, il parto distocico o l’emorragia hanno sempre descritto un quadro che per anni ha rischiato di mettere da parte una dimensione psicologica da non sottovalutare.

In accordo con la psichiatra e analista junghiana Jean Bolen (Bole, J., 1991) la dimensione del femminile spesso e volentieri viene “assoggettata a quei ruoli unilaterali” che non solo vengono imposti dall’esterno ma che al contempo ne limitano il potenziale espressivo.

Facendo del suicidio e della morte le uniche strade possibili per tornare ad essere libere, abbattendo quei paradigmi storico culturali che hanno reso la donna una semplice figura incapace di dar voce al proprio dolore.

Pertanto se il suicidio rischia di assumere il volto di un quotidiano poco indagato, viceversa una maggiore sensibilizzazione sotto il profilo medico-psicologico, dovrebbe riflettere la nuova norma: una linea guida a supporto di chi ogni giorno sceglie di offrire il proprio aiuto.


Il suicidio durante il periodo della gravidanza

Nel panorama contemporaneo sono pochi gli studi capaci di analizzare più da vicino questo fenomeno, poiché le ricerche si sono focalizzate prevalentemente sul periodo postpartum (Anniverno, R., Bramante, A., 2015).

Tuttavia se quest’ultimo descrive una finestra temporale di grande valore per la ricerca non si può escludere come effettivamente rispecchi soltanto la punta di un iceberg; di fronte alla quale viene percepita esclusivamente una minima porzione di un intero processo.

Pertanto ciò che si dovrebbe promuovere è una riflessione più accurata sul Prima, cioè su tutte quelle dinamiche intrapsichiche e relazionali, che se non indagate e approfondite tempestivamente possono sfociare in qualcosa di irreversibile.

Tra i principali fattori di rischio emergono: una gravidanza non desiderata, l’abbandono del partner, la morte di un precedente figlio e l’aborto spontaneo e/o involontario.

Secondo Hensaw (Hensaw, C., 2007), nel loro insieme questi fattori rappresentano un indice di rischio suicidario abbastanza elevato da compromettere lo stato di salute psicofisico della donna, durante il delicato periodo della gravidanza.

Nondimeno grazie al contributo di ulteriori studi presenti in letteratura, sono stati evidenziati altri fattori che dalla mancanza di una valida rete di supporto chiamano in causa anche la presenza di un precedente disturbo psichiatrico.

In accordo con i contributi di Appleby (Appleby, L., 1991) e Gausia (Gausia, K., 2009) è fondamentale tenere conto sia dell’età che dei rispettivi vissuti esperienziali, in quanto nella maggior parte dei casi tanto le adolescenti quanto le giovani donne portano con sé vissuti traumatici circoscritti ad una o più psicopatologie psichiatriche, che se non approfondite e monitorate possono inficiare per sempre la loro vita.

Studiare questo fenomeno dunque dovrebbe voler dire identificare e indagare tempestivamente quelle radici intrapsichiche e interpersonali che col tempo potrebbero determinare una fioritura dai fatali risvolti.

Nello specifico andrebbe posta maggiore attenzione circa quei comportamenti definiti para-suicidari, i quali durante questa delicata fase di transizione non sempre vengono veicolati nel migliore dei modi. 


I cambiamenti socio-culturali nel triennio 2020-2023

Come accennato in precedenza sono molteplici i fattori che concorrono al suicidio in gravidanza eppure analizzando più da vicino il periodo storico culturale che stiamo vivendo, personalmente una riflessione più accurata dovrebbe convergere verso tre ulteriori cause da non sottovalutare: il periodo pandemico Covid-19, la crisi economica e i casi di violenza domestica.

Secondo la mia visione questa struttura e/o suddivisione tripartita ha innescato lungo una finestra temporale, dal 2020 ad oggi, un effetto domino che ha portato sia ad una metastatizzazione che ad un ingigantimento di quelle dinamiche silenti sopra le quali il rumore di un gesto è capace di porre la parola Fine.

Se quindi in passato le cause erano circoscritte ad una problematica famigliare, ad una relazione disfunzionale e/ tossica con il proprio partner oppure ancora un’interruzione di gravidanza, nel panorama contemporaneo quanto invece possono aver contribuito gli ultimi cambiamenti storico culturali?

Personalmente ritengo che nel loro insieme abbiano legittimato in maniera del tutto disadattiva e disfunzionale una moltitudine di comportamenti che hanno fatto della violenza e dell’aggressività l’unica norma attraverso la quale poter esprimere le proprie emozioni a discapito di chi abbiamo di fronte.

Determinando a propria insaputa la nascita e la diffusione di nuovi fattori di rischio, di fronte ai quali la donna è costretta a scegliere l’unica via di uscita.

Sarebbe dunque opportuno interrogarsi sui volti e la funzione che la gravidanza ha assunto e continua ad assumere all’interno di una cornice culturale che anziché focalizzarsi sul Dopo dovrebbe al contrario interrogarsi sul Prima, ma ancor più sul Presente.

Provando a rapportare il fenomeno suicidario con la dimensione neurobiologica è interessante sottolineare alcuni studi condotti negli anni novanta, grazie ai quali si è reso possibile evidenziare validi cambiamenti che sembrerebbero anticipare l’atto finale.


La neurobiologia del comportamento suicidario in gravidanza

Uno studio promosso da Marzuk (Marzuk, P., 1997) ha esaminato diversi referti autoptici delle morti per suicidio di donne negli Stati Uniti, a New York, dal 1990 al 1993.

Secondo i dati emersi sono stati esaminati i cambiamenti ormonali durante la gravidanza, rispetto ai quali ad un basso livello di serotonina corrispondeva un maggior rischio di suicidio.

Ad un livello microscopico e sotto un profilo più olistico in grado di promuovere nuovi studi sulla fase prenatale e non solo su quella successiva, gli studi di epigenetica ad oggi dovrebbero delineare nuovi spunti di riflessione e tracciare nuovi orizzonti di pensiero.

In quanto in accordo con i dati emersi dalla ricerca il feto risulta il maggiore produttore di questo ormone (serotonina) e che attraverso un meccanismo evolutivo di autoprotezione sembrerebbe prevenire i futuri comportamenti distruttivi della madre, producendo un abbassamento dei livelli ormonali serotoninergici.

Un altro studio americano condotto da Palladino (Palladino, C, L., 2011), ha preso in considerazione le morti materne “violente” verificatesi in 17 Stati tra il 2003 e il 2007, rispetto alle quali la conflittualità con il proprio partner rientrava tra le cause principali ne 45% dei casi.

Nondimeno come riportato da Appleby è di cruciale importanza considerare l’età della donna che si trova a vivere questo momento di transizione.

Nello specifico uno studio condotto nel 1991 in Inghilterra e in Galles ha evidenziato come le adolescenti gravide riscontrino un tasso di rischio suicidario più elevato rispetto alle donne più adulte, poiché non sono da escludere tutti quei processi evolutivi che fanno dell’adolescenza stessa un periodo complicato e non sempre lineare.


Inquadrare possibili fattori di rischio

Nella pratica clinica se prevenire il suicidio può essere di sicuro un valido indice di successo indagarlo precocemente dovrebbe consentire più approfondimenti che tengano conto sia del periodo gravidico sia di quello successivo al parto.

Considerando quanto introdotto in precedenza sarebbe opportuno indagare questo fenomeno tenendo sensibilmente conto delle conseguenze spesso invisibili determinate dai cambiamenti storico culturali degli ultimi tre anni: durante e dopo la pandemia Covid-19.

In modo tale da non inquadrare più l’evento suicidario quale singolo fenomeno circoscritto solamente a due o tre fattori, bensì connotato da una moltitudine di sfumature che spesso e volentieri si rivelano difficili da cogliere.

Ciò che dunque è interessante valorizzare è proprio la mutevolezza di quegli aspetti che se in passato sembravano stabili nella loro manifestazione, oggi viceversa presentano un ventaglio e uno stile espressivo dalle numerose sfumature.

Nel loro insieme i seguenti fattori delineano dei parametri di riferimento connotati da caratteristiche che non possono prescindere le dinamiche del panorama contemporaneo.

Tra questi si annoverano:

  • i pensieri suicidari;
  • la pianificazione;
  • la letalità;
  • i mezzi lesivi.

Sotto un profilo psicosomatico è interessante tenere conto di come spesso e volentieri il corpo sia il canale preferenziale attraverso il quale viene esperita ed espressa una sofferenza psichica capace di evidenziare uno stato della mente a rischio (Siegel, D, J., 2021)

Durante l’anamnesi pertanto è opportuno tenere conto non solo della forte unione tra la mente e il corpo e/o tra la psiche e il soma, bensì del forte valore simbolico che il corpo stesso cerca di esprimere tramite un linguaggio che non sempre è possibile riconoscere nell’immediato (Morelli, R., Marafante, D., 2012)

Tuttavia ulteriori aspetti in grado di guidare il clinico nella comprensione del disagio psichico sono:

  • la presenza di fattori di rischio e di fattori protettivi;
  • lo stato mentale della donna;
  • un’eventuale storia di comportamento suicidario;
  • rete di supporto;
  • i punti forza della donna.

Nondimeno è importante principalmente valutare il grado di rischio suicidario strutturato nella seguente tripartizione: rischio basso, medio ed elevato.

Ciascuno dei quali presenta una dinamica intrapsichica e interpersonale del tutto differenti:

-rischio basso: i pensieri di farsi del male o di suicidio sono transitori e non accompagnati da pianificazione e scelta di un metodo

  • rischio medio: sono presenti pensieri di morte associati a intenzionalità e dalla presenza di un piano e/o di mezzi immediati
  • rischio alto: si caratterizza per la costante presenza di continui e specifici pensieri suicidari, intenzionalità, pianificazione e scelta di un metodo.

Il quadro sopradescritto se da un lato si prefigura quale possibile liea guida dall’altro non si prefigge l’obiettivo di rappresentare un qualcosa di esaustivo, in quanto il suicidio spesso e volentieri assume tante forme quanti sono i modi di sentirlo, pensarlo e attuarlo.

Specialmente durante il periodo della gravidanza che non può essere definito come un fattore protettivo ma al contrario una fase di delicata transizione dove il proprio background esperienziale rischia di far nascere qualcosa che non si pensava potesse venire al mondo.


Bibliografia

Anniverno, R., Bramante, A., Mencacci, C., (2015), “Il suicidio in gravidanza e nel postpartum”, in Pompili, M., (a cura di), Manuale di suicidologia, Pisa, Pacini, Editore
Appleby, L., (1991), “Suicide after pregnancy and the first postnatal year”, British Medical Journal, vol. 302, pp. 137-40.
Bolen, S, J., (1991), “Le dee dentro la donna, una nuova psicologia femminile”, Astrolabio Ubaldini Editore, Roma, 1991.
Chen, H., (2012), “Understanding maternal mental illness: Psychiatric autopsy of a maternal death”, Singapore medical Journey, vol. 53, n 5, pp. 104-105.
Gausia, K., Fisher, C., Ali, M., (2009), “Antenatal depression and suicidal ideation among rural
Grussu, P., Bramante, A., (2016), “Manuale di psicopatologia perinatale, profili psicopatologici e modalità di intervento”. Edizioni Centro Studi Erikson, Trento, 2016.
Bangladeshi women: A community based-study”, vol. 12, n 5, pp. 351-358.
Henshaw, C., (2007), “Maternal suicide”, Psychological Challanges in Obstetrics and Ginecology”, pp. 157-164.
Marzuk, P, M., Tardiff, K., Leon, A, C., (1997), “Lower risk of suicide during pregnancy”, vol. 154, pp. 122-123.
Morelli, R., Marafante, D., (2012), “Cancro tra mente e corpo”, Riza Edizioni, Milano, 2012.
Siegel, D, J., (2021), “La mente relazionale: neurobiologia dell’esperienza interpersonale”, Raffaele Cortina Editore, Milano, 2021.
Paxton, A., Wardlaw, T., (2011), “Are we making progress in maternal mortality”?, N Engl J Med 2011; 364:1990-1993.
Palladino, C, L., Singh, V., Campbell, J., (2011), “Homicide and suicide during the perinatal period: Findings from the National Violent Death Reporting System”, vol. 118, n. 5, pp. 1056-1063.


Cristi Marcì Autore presso La Mente Pensante Magazine
Dott. Cristi Marcì
Psicologo Psicoterapeuta a indirizzo Psicosomatico e Operatore Perinatale
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