Teoria dell’Attaccamento
Riconoscere gli stili di attaccamento disfunzionali
I prima anni di vita di un bambino sono i più importanti, ai fini di una crescita futura che sia da considerarsi sana ed equilibrata da un punto di vista psico-fisico.
La psicologia fornisce un grande contributo in riferimento allo studio della prima infanzia.
Nello specifico, in passato si è assistito allo studio ed elaborazione da parte dello psicologo, medico e psicanalista britannico John Bowlby (Londra,1907-1990) della ‘Teoria dell’Attaccamento’.
Secondo l’autore, dall’instaurarsi di una relazione più o meno positiva con il caregiver, o figura di riferimento, dipenderà la possibilità di sviluppare una futura sofferenza psichica che, a sua volta, potrebbe determinare la reiterazione di modelli relazioni disfunzionali.
Il caregiver è il punto di riferimento del bambino (spesso si identifica con la madre) e rappresenta la base sicura da cui ritornare ogni qualvolta il piccolo percepisca una situazione di pericolo durante il suo allontanamento (es. esplorazione dell’ambiente circostante).
Inoltre, come emerso da studi pregressi, la separazione dalla figura di riferimento genera sentimenti negativi, traducibili in rabbia, tristezza, pianto, motivo per il quale è di fondamentale importanza saper gestire il distacco con moderazione, senza indurre il bambino a provare una eccessiva frustrazione.
Il legame di attaccamento inizia a strutturarsi già in fase gestazionale, per incrementare la sua intensità con la nascita e la crescita del neonato.
Circa all’interno del primo anno di vita vi è la formazione di MOI (Modelli Operativi Interni), attraverso i quali è possibile una rappresentazione di sé e del caregiver, della qualità della relazione con quest’ultimo che verrà inevitabilmente generalizzata quando il bambino si rapporterà con il mondo circostante.
Dalla Teoria dell’Attaccamento agli Stili di Attaccamento
Mary Ainsworth (1913-1999), allieva di Bowlby, studia e realizza una schematizzazione dei diversi Stili di Attaccamento, attraverso la cosiddetta “Strange Situation“ (Ainsworth M., et al., 1978) cioè la messa in atto di un esperimento in cui veniva osservato, all’interno di una stanza, il bambino e le dinamiche intercorrenti con l’ambiente e con il caregiver.
Gli stili di attaccamento individuati dalla psicologa canadese sono i seguenti:
- Attaccamento sicuro: il bambino vede il caregiver come base sicura; ad ogni allontanamento del caregiver vi è una risposta di energica protesta che, però, viene placata al suo ritorno attraverso il conforto e la rassicurazione. Il bambino, in questi casi, sarà socievole, esplorerà l’ambiente con serenità, per ritornare dalla figura di riferimento nei momenti di necessità. Quest’ultima rappresenta conforto, sensibilità, comprensione e presenza.
- Attaccamento insicuro-evitante: il bambino esplora il mondo circostante in maniera autonoma, non coinvolgendo l’altro e allontanandosi senza alcun problema. Questo stile deriva dalle risposte manchevoli, sul piano affettivo, da parte del caregiver, che inducono il bambino a credere di non poter fare affidamento sugli altri. Vi è un disagio inespresso.
- Attaccamento insicuro-ambivalente: tipico dei bambini con caregiver che non riescono ad armonizzare il proprio stato d’animo a quello del piccolo, prediligendo l’ascolto delle proprie emozioni e mostrandosi a volte eccessivamente presenti e, altre volte, totalmente assenti. Nel bambino nasce l’incapacità di saper interpretare il comportamento del caregiver, cadendo nella confusione e aspettandosi che ‘la mamma’, ad esempio, possa andar via da un momento all’altro. Quando il caregiver ritorna dal bambino, quest’ultimo non mostrerà felicità ma metterà in atto agiti aggressivi e contraddittori.
- Attaccamento disorganizzato, introdotto in seguito grazie agli studi condotti da Main e Solomon (1986), che si sviluppa in contesti di abuso/maltrattamento ed è caratterizzato dalla visione del genitore come base sicura ma, anche, come potenziale pericolo, motivo per il quale nel bambino si genereranno confusione e conflitti interni.
Dalla teoria alla pratica: sintomi dello stile di attaccamento insicuro
Molte volte ci si ritrova, principalmente nelle professioni umanistiche e incentrate sul sociale, ad assistere e supportare famiglie in gravi situazioni di disagio psichico che, al di fuori di disturbi patologici, vedono l’insorgere del malessere nella fase della prima infanzia e, come sopra trattato, a causa dell’instaurarsi di stili di attaccamento insicuri.
Quali segnali inducono a riconoscere un disagio di questo tipo?
- Scarso dialogo tra genitore e figlio (es. il ragazzo si rivolge al genitore perché desidera avere il motorino ma non parlerà mai con lui della sua giornata scolastica, quindi si assiste ad una strumentalizzazione del rapporto).
- Sentimento di autosvalutazione del genitore, il quale permette al bambino/ragazzo di poter prendere le decisioni in autonomia, favorendo la cosiddetta “adultizzazione” (es. il bambino decide di utilizzare autonomamente il cellulare per mettersi in contatto con un altro familiare, al fine di discutere di argomenti di ordine economico, senza curarsi di chiedere al caregiver il permesso di farlo, oppure, il caregiver non pone dei limiti d’orario al ragazzo adolescente al fine di colmare un senso di colpa derivante da un’assenza prolungate in una fase specifica della vita e, chiaramente, ciò induce il ragazzo a sentirsi/credersi adulto e prendere in autonomia decisione che spettano, invece, all’adulto).
- Incapacità di instaurare relazioni durature nel tempo (es. se il bambino verrà abbandonato in tenere età dalla madre, tenderà a non fidarsi/affidarsi alla figura di sesso opposto compromettendo, di conseguenza, le future relazioni affettive e intime).
- Senso di cura eccessivo nei confronti del caregiver (es. il bambino che avrà visto il caregiver subire violenza, tenderà ad essere iper apprensivo con quest’ultimo per paura e timore di perdere la figura di riferimento, vista come fragile e bisognosa di cura; questo, allo stesso tempo, genererà dei sentimenti di forte angoscia, rabbia e frustrazione per l’incapacità di comprensione, a seconda dell’identità che si struttura nel bambino/ragazzo, delle scelte prese dal caregiver che lo hanno condotto a tale condizione di sofferenza).
- Distacco/evitamento, considerato fonte di sofferenza da non emulare, anche se, spesso, si verifica la condizione opposta quindi viene messo in atto un comportamento appreso nel tempo, in questo caso verrà reiterato lo stile di attaccamento appreso dal caregiver (es. il bambino allontanato dalla madre in tenera età, una volta adulto e coinvolto in una relazione sentimentale stabile, tenderà a sfuggire ai problemi e alle richieste del partner mettendo in atto comportamenti di fuga/evitamento come strategia di difesa, strutturatosi nella sua personalità a seguito dei sentimenti abbandonici appresi nella prima infanzia).
Questi sono solo alcuni esempi di agiti messi in atto a seguito di relazioni disfunzionali risalenti ai primi anni d’età.
Inoltre, vi è una incidenza degli stili di attaccamento appresi in riferimento all’insorgenza del Disturbo da Attacchi di Panico, Disturbo dell’Umore, Disturbi del Comportamento Alimentare, Disturbo Ossessivo Compulsivo, ecc.
Alleanza Terapeutica
Elemento fondamentale, al fine di affrontare vissuti traumatici e dolorosi, è la consapevolezza di sé stessi e delle motivazioni che hanno indotto ad essere tali. Spesso, per giungere a questo, si impiegano molti anni, addirittura potrebbe non bastare una vita per capire le dinamiche e le motivazioni che hanno indotto ad una determinata strutturazione della personalità.
Funzione della relazione d’aiuto, e quindi del professionista nel settore, è saper cogliere i segnali, spesso espressi attraverso il linguaggio non verbale e paraverbale (gestualità, espressioni del volto, ritmo dell’eloquio, tono di voce) e creare, grazie l’ascolto attivo, il non giudizio e la comprensione, un’alleanza terapeutica che sia la base di un percorso introspettivo che miri alla consapevolezza di sé e dei propri sentimenti per, infine, giungere all’accettazione e all’acquisizione di nuove strategie relazionali, equilibrate e prive di rabbia e sentimenti di frustrazione.
Questo percorso lungo e tortuoso, in quanto bisognerà spogliarsi totalmente dei propri vissuti per riuscirne a comprendere il significato attribuito ad essi, può portare ad una liberazione da catene mentali che impediscono, in modo più o meno invalidante ma sicuramente abbastanza evidente, di vivere appieno la propria vita psichica e affettiva.
Jessica Alongi
Pedagogista | Educatrice | Tecnico del Comportamento (RBT)
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