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I traumi cranio-encefalici

Vittime sui campi di guerra e di gioco


È curioso notare come molta della terminologia comune utilizzata in riferimento al contesto bellico, sia simile, se non identica, a quella relativa ai contesti sportivi e di gioco.

Il campo di battaglia, così come il campo da gioco, gli attaccanti che muovono contro i difensori, i vincitori che sottomettono i vinti.

Insomma, decontestualizzando e astraendo i contenuti delle diverse tipologie di scontro, certo è che le dinamiche e le finalità dei due ambiti in qualche modo si rispecchiano.


Traumi simili su campi differenti

Le neuroscienze e la neuropsicologia forniscono prove concrete a conferma di quanto esposto poco sopra.

I soldati e gli atleti, infatti, subiscono traumi simili in campo di battaglia e di gioco e le gravi conseguenze dovute agli stessi presentano aspetti comuni.

Danni meccanici legati a esplosioni, o impatti traumatici in contesto di guerra provocano lesioni simili a quelle causate da pugni e urti tipici di ring di pugilato, campi di rugby o piste di hockey.

In particolare, si fa riferimento a lesioni e traumi cranio-encefalici, ovvero colpi e botte che vengono presi sulla testa e che possono avere naturali conseguenze sul cervello e quindi sul comportamento.


Che cosa sono i traumi cranio-encefalici?

I traumi cranio-encefalici sono delle patologie dovute a sollecitazioni esterne (come colpi alla testa, impatto contro oggetti, accelerazioni e decelerazioni rapide), che possono causare danni al cervello e, in alcuni casi, coma.

In altre parole, possiamo parlare di un’alterazione della funzione o della struttura cerebrale, come conseguenza del colpo subito, con ricadute differenti, per tipologia ed entità.

I quadri clinici dei disturbi cranio-encefalici sono influenzati da diversi fattori.

Innanzitutto, la gravità e la dinamica del trauma, la sede della lesione, le complicazioni mediche che possono verificarsi e l’età dell’individuo colpito.

I traumi cranio-encefalici possono essere aperti oppure chiusi: più del 90% sono chiusi, dove il cranio rimane intatto e il cervello non risulta esposto all’esterno, quelli aperti invece si presentano con una ferita perforante del cranio, che può avere diverse complicazioni e un indice di sopravvivenza tendenzialmente basso.

Altri fattori importanti sono legati all’ampiezza delle lesioni encefaliche, all’entità e alla durata della compromissione della coscienza che si verifica subito dopo il trauma e all’entità e alla durata dell’amnesia post-traumatica.

In conclusione, un aspetto fondamentale sono i deficit neurologici e neuropsicologici che possono emergere.


La correlazione anatomo-clinica cervello-comportamento

È importante specificare che le diverse aree del cervello si occupano di controllare funzioni e aspetti del nostro comportamento.

Esse presentano una rete di connessioni fittissima, che consente di legare funzionalmente aree anche molto distanti tra loro.

È facile intuire, quindi, come una lesione cerebrale, ovvero un danno fisico a una specifica area del cervello, porti necessariamente con sé delle conseguenze funzionali e quindi comportamentali.

In altre parole, se il cervello viene compromesso in un punto corrispondente all’area che si occupa di controllare, per esempio il linguaggio, questo danno fisico avrà conseguenze funzionali, cioè si potranno verificare dei deficit nella capacità di parlare.

A tal proposito, la disciplina applicata che si occupa di studiare gli effetti comportamentali che hanno le lesioni, o disfunzioni cerebrali prende il nome di neuropsicologia clinica.


Risultati di ricerca paralleli: studi delle organizzazioni sportive e delle istituzioni militari

Diversi studi compiuti sia in ambito sportivo, sia militare hanno prodotto risultati di ricerca simili e paralleli.

In particolare, sono emersi aspetti interessanti relativi alla relazione tra traumi cerebrali, cambiamenti comportamentali e alterazioni patologiche responsabili di disturbi dell’umore, della memoria e di altre facoltà cognitive, incluse malattie degenerative del cervello.

Come già anticipato, colpi violenti alla testa causano lesioni traumatiche alle strutture encefaliche.

Questi urti meccanici sul cranio, che possono essere causati sia da pugni, o colpi in campi di gioco, sia dagli scoppi prodotti dalle esplosioni, hanno necessariamente conseguenze sul tessuto encefalico e sui neuroni che lo compongono.

In particolare, vengono messe a dura prova le capacità protettive meccaniche del cranio, possono verificarsi emorragie all’interno del tessuto encefalico e si possono rompere gli assoni dei neuroni che compongono la sostanza bianca del cervello.


Conseguenze a breve termine e a lungo termine

I danni cellulari immediati possono provocare dei cambiamenti degenerativi a lungo termine, soprattutto quando sono ripetuti nel tempo.

In generale, però, molti dei sintomi che si possono verificare appena dopo aver subito un colpo sono evidenti a livello comportamentale.

Innanzitutto, appena dopo il l’impatto, il trauma cerebrale genera una perdita di coscienza di durata variabile.

Questa è seguita da perdita di memoria, la cosiddetta amnesia post-traumatica, che può riguardare gli eventi precedenti o appena successivi all’impatto.

Si possono poi verificare alterazioni dello stato mentale, come confusione o disorientamento e deficit neurologici più o meno gravi.

Sul lungo periodo, poi, nei casi in cui il trauma non sfoci in una condizione di coma, si possono verificare dei cambiamenti importanti a livello comportamentale. In particolare, alterazioni dell’umore (non è raro lo sviluppo di depressione), impulsività, deficit e distorsioni della percezione sensoriale e difficoltà cognitive.

Non mancano poi casi di disturbo post-traumatico da stress (PTSD): è difficile dire, soprattutto per ciò che riguarda i soldati, quanto un colpo ricevuto in testa, o piuttosto il continuo stress a cui si è sottoposti durante uno scontro armato siano i diretti responsabili dello sviluppo del disturbo.

Per quanto concerne, poi, le conseguenze a lungo termine delle vittime di traumi cerebrali il decorso è molto variabile in base alla gravità dei danni e alla frequenza dei colpi subiti.

In generale gli individui traumatizzati possono soffrire di emicranie ricorrenti e, soprattutto, all’inizio precoce di decadimento intellettivo o addirittura di forme più gravi di demenza.


Alcuni casi

Nel contesto sportivo, sono famosi alcuni casi di pugili e giocatori di football americano che hanno riportato sviluppo precoce di decadimento intellettivo.

John Grimsley, giocatore di football degli Houston Oilers tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 del secolo scorso, morì prematuramente a 45 anni a causa di un colpo d’arma da fuoco.

Quando era in vita aveva iniziato a dare alcuni segni di irritabilità e perdita di memoria: all’esame autoptico del suo cervello vennero evidenziati dei segni patologici evidenti della malattia di Alzheimer.

Successivamente vennero compiute analisi simili in atleti che avevano alle spalle una storia di traumi cranio-encefalici e difficoltà cognitive, come alterazione dell’umore e perdita della memoria e i risultati si rivelarono sorprendentemente simili e compatibili.

I deficit neurologici e comportamentali conseguenti ai traumi cerebrali, associati agli esami post-mortem sul tessuto cerebrale sono stati allora classificati con una nuova sindrome, l’encefalopatia traumatica cronica (CTE).

Si tratterebbe dunque della sindrome che si manifesta negli atleti esposti a traumi ripetuti nel corso della loro carriera sportiva e spiegherebbe anche la presenza dei problemi funzionali che caratterizzano i soldati a loro volta colpiti da traumi ripetuti sui campi di battaglia.


L’encefalopatia traumatica cronica (CTE): situazione attuale e prospettive

La CTE è diventata uno degli argomenti principali di ricerca finanziati nel contesto delle istituzioni sportive e militari.

Negli Stati Uniti, infatti, sia l’esercito sia le organizzazioni sportive si sono attivate per aumentare la consapevolezza dei rischi in questo ambito e per limitare l’esposizione ripetuta a colpi alla testa potenzialmente traumatici.

Nel contesto militare, per esempio, sono state istituite delle prassi standard e dei questionari da sottoporre a tutti i soldati che abbiano riportato colpi alla testa, o urti dovuti a esplosioni senza ferite esterne manifeste.

Sulla base degli esiti vengono predisposti dei trattamenti specifici, o eventuali esoneri dal servizio.

Per concludere, quindi, gli infortuni di guerra e dello sport ci consentono di mettere a fuoco la vulnerabilità dei tessuti cerebrali.

In particolare, di prendere coscienza del fatto che, anche se non evidenti né riconoscibili fin dal primo momento dell’urto, tutti i traumi cerebrali non devono essere sottovalutati, soprattutto per le conseguenze neurodegenerative che possono provocare a lungo termine.


Silvia Merciadri Autrice presso La Mente Pensante Magazine
Dott.ssa Silvia Merciadri
Dott.ssa in Scienze e Tecniche Psicologiche | Articolista | Docente di Storytelling
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