“Uno con le… palle”: analisi e storia di un modo di dire
Vediamo di che “palle” si tratta
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Nei modi correnti di dire, quando si vuole “celebrare” il coraggio di una persona, chi non è in grado di utilizzare con dimestichezza la nostra bellissima lingua italiana, per renderne subito l’idea, usa appunto questo modo di dire e lo utilizza indistintamente per uomini e per donne. A Roma poi, la frase si è adattata al suo dialetto ed è diventata: “Aoh, quello c’ha li cojoni grossi così“, che rimarca in maniera più esplicita il riferimento all’organo sessuale maschile. Questa espressione… diciamo “colorita” andrebbe quindi eventualmente usata unicamente per gli uomini, invece, sempre per pigrizia lessicale, lo si è esteso anche al genere femminile che, oltre ad essere una brutta espressione sessista, risulta, a mio avviso, anche di cattivo gusto estetico. Il “bello” è che questo modo di dire alquanto volgare viene ora usato anche dalle donne per denotare coraggio o qualità professionali di una persona del loro stesso genere. Quest’ultimo aspetto mi ha sempre colpito, perché non capisco per quale motivo la maggior parte delle donne si ostini ad imitare i peggiori modi di dire e di fare del mondo maschile… Ovviamente é una incomprensione retorica, perché è evidente che erroneamente si continua a ritenere che quelli siano i modelli vincenti per poter emergere in questa società.
A questa prima espressione “colorita” se ne aggiungono poi altre, sempre attinenti all’organo genitale maschile come: “Quello è uno tosto”, “È un duro“, ecc., come se la prestanza sessuale virile (ammessa che la si raggiunga) fosse sinonimo di qualità come l’assertività, di coraggio, competenze professionali certe ecc. Anche in questi casi tali espressioni vengono utilizzate da e per entrambe i sessi.
Appena terminato di scrivere questo articolo è deceduta la scrittrice Michela Murgia e la risonanza mediatica che ha avuto la sua morte mi ha fatto conoscere il suo libro “Stai zitta“, pubblicato nel 2021 in cui fra i vari argomenti aveva dedicato anche lei uno spazio a questo modo di dire (Murgia 2021).
L’origine del detto
Tornando all’espressione oggetto di questo articolo è sorta veramente con il riferimento all’organo genitale maschile, così come espressamente indicato nel dialetto romano? Forse il riferimento originario era diretto ad altre “palle”. Diverse ricerche linguistiche hanno evidenziato che tale modo di dire risale al XV secolo e ed in particolare alla famosa casata dei Medici… E per quale motivo quest’espressione di così bassa leva è collegata alla più famosa famiglia del Rinascimento italiano? Bisogna risalire al loro stemma araldico che è composto appunto da una serie di “palle”. Secondo Lisa Bortolotti anche altre famiglie e rami minori orbitanti attorno alla casata principale, usavano nei loro stemmi delle palle il cui numero e la grandezza dipendevano dall’importanza della famiglia, elementi che fornivano così a colpo d’occhio l’indicazione di quanto essa fosse influente a livello politico, militare e quanto forte fosse il legame di “sangue” con la casata principale (Bortolotti 2020). Da qui la ricercatrice evince che la nascita della frase in questione, ispirandosi allo stemma mediceo, denotava nel suo significato originario il livello di influenza e potenza economica e soprattutto militare della galassia della casata de’ Medici che per estensione si è allargato anche ai “comuni mortali” (Ibidem).
Secondo questa accezione quindi, dire che una donna abbia “le palle” non è una attribuzione sessista perché non si riferiscono alle gonadi maschili, ma alle palle dello stemma mediceo… che solitamente erano più di due (Ibidem).
Alcune persone, per par conditio, e per scavalcare l’attribuzione sessista, hanno suggerito di utilizzare per il genere femminile il detto: “Avere le tette“, ma, anche alla luce di quanto appena scritto, ciò non ha alcun senso, oltre al fatto che ci si rivolge sempre a delle caratteristiche sessuali che nulla hanno a che vedere con le vere caratteristiche psicologiche e comportamentali di un individuo.
Piccola storia dello stemma
Non vi è una definizione chiara sull’origine dello stemma mediceo, né tantomeno sul fatto che a Seconda del periodo storico il numero delle palle inserite nello stemma cambiasse. Michelangelo Buonarrotti (omonimo del ben più famoso) enuncia diverse ipotesi. Sicuramente all’inizio della storia della casata sullo scenario fiorentino lo stemma era costituito da sei palle rosse su un fondo dorato anche se per tutto il Quattrocento lo stemma a forma di scudo spesso cambiava per il numero di palle contenute (fino ad arrivare ad un massimo di undici) e per la la loro disposizione al suo interno (Buonarroti 2020).
Secondo una leggenda riportata in un manoscritto di Cosimo Baroncelli, parente di Giovanni de’ Medici, le palle non sarebbero altro che le impronte lasciate dalla clava del gigante Mugello sullo scudo coperto d’oro di Averardo, personaggio più leggendario che reale, che sarebbe arrivato in Toscana assieme a Carlo Magno e che rappresenterebbe l’avo più antico della famiglia de’ Medici (Ibidem). In un’altra versione, le palle rosse su scudo dorato non sarebbero altro che una variante dello stemma della potente corporazione dell’”Arte del Cambio” che riuniva tutti coloro che si dedicavano ai cambi di valuta. Il suo stemma era molto simile a quello mediceo ma con colori invertiti ovvero palle dorate su sfondo rosso (Ibidem). Forse l’intenzione dei Medici, invertendo semplicemente i colori, era quella di evocare, tramite quello stemma, la potenza e la forza di quell’arte ed in questo modo avrebbe senso anche il fatto che i fiorentini diedero l’appellativo di “bisanti” a quelle palle dello stemma mediceo, che era il termine che denotava la moneta durante l’impero bizantino ed in seguito anche di Cipro e di Venezia (Ibidem).
Palle variabili
Come è stato accennato prima, il numero delle palle (o bisanti) inserite nello stemma mediceo per un lungo periodo fu variabile fino ad arrivare ad un massimo di undici palle. Giovanni di Bicci de’Medici lo ridusse a nove mentre suo figlio Cosimo il Vecchio optò per la versione a otto bisanti (Buonarroti 2020).
Piero il Gottoso ne tolse uno scendendo a sette bisanti con una particolarità che la palla centrale doveva essere azzurra con raffigurati sopra tre gigli dorati, simbolo del Re di Francia. L’aggiunta della palla reale fu un privilegio concesso nel maggio del 1465 dal re francese Luigi XI mediante il decreto emanato a Montluçon. Quella palla di origine francese avrebbe potuto usarla sia Piero de’ Medici che tutti i suoi eredi e legittimi successori. La situazione delle palle a numero variabile si stabilizzò con l’ascesa al potere di Lorenzo de’ Medici che optò per una versione a cinque palle rosse con l’aggiunta in alto della palla celeste dell’arme francese. Da allora in poi lo stemma mediceo rimarrà quello. (Ibidem).
Il potere delle parole
Qual è il vero senso di scrivere articoli sui detti, sui modi di dire e sulle parole? Le frasi e le parole che usiamo quotidianamente, oltre ad avere un peso sociale che influenzano i valori di una società, come ho già evidenziato in precedenti articoli su questa rivista anche l’uso di una singola parola non ha un effetto neutro né per gli altri e soprattutto per chi le pronuncia e addirittura ogni singola lettera ha una sua propria energia (Papadopoulos 2023). Quindi quando pronunciamo una parola, o una frase compiuta, essa ha un effetto potente sugli altri e sul pronunciante; non è un caso che si parla di “male-dire” o “bene-dire”, perché fin dall’antichità questa potenza del “verbo”, del “logos“, era ampiamente conosciuta. Su questo aspetto famosi sono gli esperimenti di Masaru Emoto. Egli per esempio accostò a due ciotole di riso parole di significato ed intento opposto: una positiva ed una negativa. La ciotola associata alla parola negativa andava in putrefazione molto prima di quella accostata alla parola positiva (Emoto 2004).
Ogni parola usata però è accompagnata da un’intenzione e quest’ultima rappresenta l’aspetto principale a cui dare attenzione. Non è un caso che nella tradizione Buddista, Induista e nella Kabalah (per citare le religioni più conosciute in Occidente) il karma si origina dal pensiero, (che quindi corrisponde all’intenzione) dalle parole e dall’azione, ma ciò non significa che si possa usare indistintamente qualsiasi espressione si voglia, tanto poi l’intenzione aggiusta tutto, perché le parole di per sé, come insegna proprio la Kabalah, hanno una propria energia sostanziale. Inoltre ogni parola si trascina con sé tutti i suoi significati ed intenzioni accumulatasi nel suo uso nel corso dei secoli ed anche questo contribuisce ad avvolgere una determinata parola di una energia peculiare. Per esempio, sempre a Roma, in diversi ambienti è usuale salutarsi a parolacce; entrambe le persone sanno che questo è una modalità per esprimere affetto reciproco ma di fatto la parolaccia usata emana una sua energia negativa che comunque arriva al corpo di entrambe le persone che si stanno salutando. E la sua energia non è positiva perché l’uso che se ne è fatto per secoli è negativo, tali parole sono nate con l’intento di offendere e questa energia se la portano appresso.
Conclusioni
Ecco quindi che ha una sua logica porre attenzione all’uso di determinati termini anche se l’intenzione che l’accompagna è positiva e benevola, sollecito che faccio in primis a me stesso. Ogni frase e modo di dire contribuisce inoltre alla costruzione dei significati, delle credenze, dei valori e soprattutto dei pregiudizi di una determinata società, perché vi è un circolo recursivo fra parola e pensiero (Papadopoulos 2014). Il porre l’attenzione alle parole che usiamo e all’intenzione sottostante può sicuramente contribuire alla costruzione di una società basata sul rispetto reciproco e se non si è in grado di porre questa attenzione il silenzio è la via maestra.
Bibliografia
Bortolotti L., 2020, https://it.linkedin.com/pulse/il-vero-significato-di-avere-le-palle-lisa-bortolotti
Buonarroti 2020,
Lo Stemma dei Medici, michelangelobuonarrotietornato.com
Emoto M., (2004) La risposta dell’acqua, Edizioni Mediterranee, Roma 2007.
Murgia M. Stai zitta. Einaudi, Milano 2021.
Papadopoulos I., 2023, https://lamentepensante.com/frequenze-onde-sonore-e-controllo-sociale/
Papadopoulos I. La teoria generale dei pregiudizi di base, Armando Editore, Roma 2014.
Dott. Ivo Papadopoulos
Psicologo Clinico | Sociologo
Bio | Articoli | Intervista Scrittori Pensanti | AIIP Novembre 2023
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