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Violenza sessuale: dal trauma al suicidio

Quando la violenza subita viene sottaciuta dalla violenza autoinflitta


La violenza sessuale viene definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come “ogni atto sessuale, tentativo di ottenere un atto sessuale o altro atto diretto contro la sessualità di una persona, facendo ricorso alla coercizione, da parte di qualsiasi persona a prescindere dalla relazione esistente con la vittima, in qualunque contesto. Include lo stupro, definito come la penetrazione forzata, o comunque frutto di coercizione, della vulva o dell’ano a mezzo del pene, di un’altra parte del corpo o di un oggetto” (OMS, 2014).

Tale trauma può colpire precocemente la vittima, con un abuso sessuale infantile, così come può traumatizzare la vittima durante tutto l’arco della vita, seppur con delle differenti ma invalidanti conseguenze in entrambi i casi.

Inoltre uno degli elementi aggravanti che accomuna entrambe le casistiche riguarda il promotore della violenza: sembrerebbe infatti che frequentemente l’autore della violenza si trovi sotto lo stesso tetto della vittima o comunque facente parte della sua famiglia più prossima.

Secondo il World report on violence and health, pubblicato dall’OMS (2002), una donna su quattro è stata picchiata, molestata sessualmente, costretta a subire più forme di abusi dal proprio partner nel corso della propria vita, una donna su tre sotto i cinquant’anni è stata vittima di abuso sessuale durante l’infanzia o l’adolescenza e quasi un terzo delle adolescenti a livello mondiale sono state forzate ad avere la prima esperienza sessuale.

Inoltre il rischio di subire violenze domestiche o stupri è maggiore del rischio di incidenti, malaria o cancro per le donne tra i 15 e i 44 anni (3).

Si evidenzia quanto tale problematica risulti prevalentemente rivolta al sesso femminile quale vittima, ma in realtà l’abuso sessuale genera vittime silenti anche di sesso maschile, se si analizza una delle più gravi possibili conseguenze che questo trauma può causare, in quanto riconosciuto come uno dei più potenti fattori di rischio di pensieri e comportamenti suicidari dal Centers for Disease Control and Prevention (2020) (9).

Autolesionismo e idee suicidarie sono stati responsabili del 4,8% dei decessi nelle donne e del 5,7% dei decessi negli uomini tra i 15 ed i 49 anni nel 2010 (2, Istat 2014).

Secondo alcuni studi infatti sembrerebbe che, seppur le donne subiscano in misura maggiore più violenze, con una percentuale di abuso sessuale fra il 12 ed il 40% (9), sembra siano però più propense a denunciarne l’accaduto.

Gli uomini maltrattati sessualmente invece, con una percentuale fra il 7 ed il 17% (9) tenderebbero a non farlo, considerando come dannoso il possibile stigma e giudizio sociale nel denunciare una violenza sessuale consumata fra le mura domestiche durante l’infanzia, generando così una sottostima della reale problematica (6).

Questo comporterebbe una differente gestione di genere del trauma che viene a cristallizzarsi dopo la violenza.

Tale forma sadica di violenza quale l’abuso sessuale subìto può quindi tramutarsi in violenza autoinflitta, sfociando in suicidio, con autolesionismo e tentativi di suicidio, come variabili potenzialmente connesse al trauma. “Ogni 40 secondi una persona si uccide nel mondo e per ogni suicidio ci sono tra i 10 e i 40 tentativi” (3).

I sopravvissuti all’abuso sessuale infantile sono maggiormente a rischio di pensieri e comportamenti suicidari durante l’adolescenza, in quanto segnalano la volontà di porre fine a sé stessi ed a quella sofferenza insopportabile, al sentimento di vergogna e colpa autoinflitti, volendo comunicare e ricevere riconoscimento dell’abuso subìto attraverso idee ed azioni suicidarie (9).

Secondo alcuni studi condotti in Australia subire un abuso sessuale durante l’infanzia comporterebbe una prevalenza del 43% di giovani che pensano al suicidio dal momento dell’abuso; il 32% di giovani che mettono in atto tentativi di suicidio ed un tasso di suicidio completato fra i 15 ed i 24 anni compreso tra 10,7 e 13,0 volte i tassi nazionali (6, 1, 9).

Se i rischi di pensieri, tentativi o suicidi completati risultano generalmente sperimentati da entrambi i generi, nello specifico si evidenziano delle differenze.

In aggiunta a quanto sopra, alcuni studi evidenziano che mentre soggetti di sesso femminile abusati in misura maggiore dopo i 15 anni tenderebbero a mettere in atto maggiormente comportamenti di autolesionismo ed autointossicazione, individui di sesso maschile sembrerebbero più propensi a sperimentare tentativi di suicidio, con potenziale suicidio completato successivamente.

Emerge inoltre che minori abusati sessualmente risultino a rischio più alto di suicidio al di sotto dei 13 anni, soprattutto se vittima di sesso maschile e autore dello stesso sesso, con successivi tentativi di suicidio o suicidio completato durante l’adolescenza (7).

Altri studi invece segnalano come l’abuso sessuale emerga come causa di futuri comportamenti suicidari più per il sesso femminile (20%) rispetto al sesso maschile (8%) (2).

Si evidenziano dunque dei risultati contrastanti rispetto al sesso ed alle differenze di genere, in funzione del trauma (9).

Occorre in ogni caso ricordare che si tratta di un tema tanto delicato, grave quanto sottostimato, nel quale bisogna includere determinanti fattori di rischio e cause molteplici, i quali possono giocare un ruolo essenziale in pensieri e comportamenti delle vittime, generando ulteriori differenze di genere.


Fattori di rischio

In specifiche condizioni di vita avverse, assieme a vulnerabilità individuali ed ereditarietà, gli eventi stressanti possono scatenare l’emergere, l’esacerbazione di alcune patologie gravi.

Tale retroscena è valido anche per ciò che connette abusi sessuali ed suicidio.

Esperienze infantili avverse, status socioeconomico basso, pratiche genitoriali autoritarie, genitori, familiari con problematiche di salute mentale, comportamento dirompente o ansioso sottostante del bambino possono porsi come terreno di un aumentato rischio di abusi sessuali e futuri comportamenti suicidi (2).

L’avvenuto abuso sessuale infantile si pone come costante ed alto fattore di rischio per futuri pensieri, tentativi e suicidi completati (2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9).

I fattori singoli che concorrono a tale rischio riguardano: storia di abusi fisici, emotivi, negligenza da parte dei genitori della vittima; particolarità dell’abusante (più grave se si tratta di conoscente o familiare); modalità specifiche dell’abuso (contatto/penetrazione con l’uso della forza); modalità di risposta genitoriale al trauma (loro rifiuto, rabbia nel credere all’avvenuto abuso); mancata rete di supporto sociale per la vittima; instabilità familiare, affidamento ai servizi sociali o a famiglia provvisoria; proseguimento della convivenza con l’autore della violenza; presenza di molteplici tipi di abuso; presenza di depressione, disperazione, ostilità/impulsività nella vittima; successivo sviluppo di vergogna e colpa autoriferiti o di patologie come Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS) e Disturbo Depressivo Maggiore (DDM), Disturbi di Personalità e della Condotta (9, 8, 1, 6, 2).


Violenza sessuale: le conseguenze

L’abuso sessuale infantile causa una diretta attivazione del Sistema Nervoso Autonomo prolungata e continua, la quale genera dei deficit cronici nello sviluppo fisiologico e psicologico, alterando potenzialmente i successivi sistemi di risposta allo stress (disregolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene) e modificando i processi cognitivi legati alle strategie di coping, chiamati in causa durante il ciclo di vita dopo eventi traumatici (6, 5, 2).

Tale trauma comporta perciò impattanti conseguenze sull’intero mondo interno ed esterno della vittima, condizionando senso di sé, relazioni intime, sfera sessuale, genitorialità, vita lavorativa, generale integrità fisica e mentale, il tutto alimentato dal silenzio e dal segreto che inglobano l’abuso (5).

Le conseguenze dell’abuso intaccano la salute fisica, causando maggiori patologie ed ospedalizzazioni, alto rischio di deficit cognitivi e malattie degenerative (demenze in età senile) e malattie cardiometaboliche future (diabete, ictus), pubertà precoce (4); impattanti conseguenze negative si possono avere anche a livello psicosociale, come aumento del rischio di povertà, abbandono scolastico, disagi legali, problemi coniugali, divenire un senzatetto, subire un arresto o la presa in carico dei figli dai servizi sociali.

Inoltre l’aver subito una violenza sessuale infantile espone più al rischio di futuri traumi di ri-vittimizzazione fisica e sessuale, soprattutto nella vittima di sesso femminile, dato da tenere bene a mente in termini di prevenzione e trattamento per le violenze sulle donne (4, 5, 2).

In più, come sopradetto, determinanti possono essere le aggiuntive conseguenze sulla salute mentale: subire un abuso sessuale comporta un più alto rischio di sviluppare DPTS, DDM, ostilità/impulsività, disturbi di personalità, della condotta, disturbo da panico, disturbi correlati ad uso/abuso di sostanze/alcol, disturbi dissociativi, assieme a pensieri, tentativi di suicidio o suicidio completato (4, 5, 2, 8).

Nello specifico per quanto concerne i disturbi dissociativi, sembrerebbe che la dissociazione sia conseguenza possibile del trauma d’abuso, in quanto depersonalizzazione, derealizzazione, amnesia e stati di fuga consentano alla vittima di mettere in atto un distacco momentaneamente “salvifico“.

Tali stati dissociativi consentirebbero poi di percepire minori sensazioni di paura e dolore, permettendo così di mettere in atto più facilmente comportamenti autolesionistici e tentativi di suicidio (1).


Interventi e trattamento

Al fine di prevenire, agire nel modo più attento e mirato possibile rispetto alla delicata tematica della violenza sessuale, un ruolo importante gioca il settore di Sanità Pubblica.

Nel World report on violence and health del 2002 si fa infatti leva su quanto sia importante aumentare la consapevolezza dell’impatto della violenza sulla salute pubblica, in funzione della prevenzione.

Mettere in atto campagne e progetti di sviluppo sociale al fine di limitare comportamenti aggressivi ed antisociali negli adolescenti potrebbe essere d’aiuto, così come fornire ai genitori una formazione specifica rispetto al maltrattamento domestico, con opportuni strumenti e continuo monitoraggio, assieme al pensare a programmi educativi e formativi rivolti agli adolescenti con focus su sessualità e questioni di genere, per poterne ridurre rischi e conseguenze negative (3).

Come intervento e trattamento post-trauma risulta essenziale ricevere assistenza sanitaria, sostegno di qualità a lungo termine, che tenga conto di tanti aspetti specifici: analizzare tutti i dettagli della violenza, quindi livello di contatto, autore, tempistica, differenze di sesso, valutando e trattando anche la possibile presenza di dissociazione in quanto predittiva di pensieri, comportamenti suicidari.

Affinché avvenga un trattamento mirato è importante inoltre che l’equipe di professionisti coinvolti considerino l’abuso sessuale più nella sua sofferenza e come vissuto traumatico, con percezioni, ferite individuali e storie di violenza determinanti a cui la cura deve porre attenzione ed adattarsi, e non come mera etichetta patologica psichiatrica di un disturbo mentale, il quale utilizzo potrebbe alimentarne l’ingiustificato e pericoloso pregiudizio per la vittima.

Indicata risulta in tal senso la Terapia Cognitivo-Comportamentale con focus sul trauma, come percorsi di Mindfulness o Terapia con l’Eye Movement Desensitization and Reprocessing, EMDR. (6, 2, 7, 1, 4, 9).


Bibliografia

1. Brokke S.S., Bertelsen T.B., Landro N. I., Haaland V.O. (2022). The efect of sexual abuse and dissociation on suicide attempt. BMC Psychiatry, 22-29.
2. Devries K., Mak J.Y.T., Child J.C., Falder G., Bacchus L.J., Astbury J., et al. (2014). Childhood Sexual Abuse and Suicidal Behavior: A Meta-analysis. Pediatrics, 133 (5).
3. www.epicentro.iss.it/focus/domestica/rapporto_campagna
4. www.istitutobeck.com/abuso-arco-vita-trauma
5. www.istitutobeck.com/abuso-donne-trauma
6. Plunkett A., O’Toole B., Swanston, Oates R.K., Shrimpton S., Parkinson P. (2001). Suicide Risk Following Child Sexual Abuse. Ambulatory Pediatric Association, 1 (5).
7. Rhodes A.E., Boyle M. h., Tonmyr L., Wekerle C., Goodman D., Leslie B., et al. (2011). Sex Differences in Childhood Sexual Abuse and Suicide-Related Behaviors. Suicide and Life-Threatening Behavior 41 (3).
8. Soylu N., Tanir Y., Alpaslan A., Karayagmurlu A., Kaya I., Aslan M. (2022). Investigation of suicide probability in sexually abused adolescents and the associated factors. Children and Youth Service Rewiew. Elviser, 137.
9. Tsur N., Najjar A.A., Katz C. (2022). “Explode into small pieces”: Suicidal ideation among child sexual abuse survivors. Child Abuse & Neglect. Elviser, 131.


Dott.ssa Vanessa Nardelli Autrice presso La Mente Pensante Magazine
Dott.ssa Vanessa Nardelli
Psicologa, Dott.ssa Magistrale in Psicologia Cognitiva Applicata
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