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Il potere nascosto delle parole

I dialoghi che raccontano chi siamo

Image by Glen Carrie on Unsplash.com


È impossibile racchiudere tutta una vita in un solo dialogo, eppure proprio quel dialogo rivela molto di più di quello che sembra.

Bici, caldo, ruote che puntano verso il mare, le borse nere, penzolanti sul bauletto, trasportano ciò che serve, mentre macchine chiuse in finestrini sigillati, suonano e sorpassano, sfiorandomi, in una strada stretta. Accanto lentamente scorre il fiume Po, mentre un cormorano aprendo pigro le sue ali si alza in volo con un’eleganza inverosimile, creando giochi d’acqua dove piccoli arcobaleni  esistono per un istante.

Sto imparando l’arte del vivere un passo alla volta, scoprendo come guidare la mia mente fuori dal caos delle mille cose, dagli infiniti impegni, dal dover compiere azioni su azioni, sistemando ogni cosa velocemente.

Uno spazio di presenza che uso anche nell’ascolto dei dialoghi dei miei pazienti, delle coppie, famiglie. Nella posizione di terapeuta, noto sempre più, come le persone siano abituate ad usare parole e frasi, che nascondono emozioni, descrivendo, senza talvolta che ne abbiano consapevolezza, il viaggio del proprio io.

Andrea e Laura sono una coppia che arriva in studio con l’urgenza estrema di sistemare qualcosa. Loro stessi? La relazione? L’essere genitori? O il loro essere ancora figli? Non lo sanno neanche loro bene. Un  tumulto, un caos, di parole, frasi, accuse, ricordi, storie, scelte fatte nel passato, che si riversano nel loro presente. Innamorati persi, si sono inseguiti, catturati, lasciati e recuperati, ma dalla nascita del loro ultimo figlio, tre anni prima, qualcosa si è interrotto o e’ cambiato. C’è una frase che Andrea ripete spesso mettendola qua e là nel suo dialogo, che mi colpisce più delle altre, mi sento in mezzo. Ed è questa frase, mi sento in mezzo, che mi permette di aprire con lui una storia che va al di là della relazione con Laura. Andrea si è sempre sentito in mezzo, perché quello era il posto che aveva ricoperto tra una madre che portava una depressione importante ed un padre disperato, che chiedeva a lui, con la sua assenza di ricoprire un ruolo adulto, lui che in fondo era solo un bambino. E Andrea ha risposto, che altro poteva fare, imparando così a nascondere e dimenticare parti di sé.

La sofferenza più grande che trasportiamo nel cuore è aver avuto infinte opportunità di aprirci alla vita, ma ripetendoci che non erano per noi, le abbiamo lasciate scappare.

Ogni essere umano si deve confrontare con una verità, il cambiamento e’ ciò che governa l’esistenza. Questa continua trasformazione, talvolta repentina, disordinata, rumorosa, intensa, sfrontata, altre volte lenta, impercettibile, silenziosa, costringe l’individuo a danzare tra due poli, entrambi essenziali, apparentemente opposti: curiosità  e timore.

Ed e’ in questo movimento che apprendiamo parole, con cui costruire quelle frasi che svolgono il loro ruolo di fissare punti fermi, cardini su cui ciascuno di noi si ancora, prima come figlio o figlia e poi nel proprio essere adulto, costruendoci certezze fragili. Quel racconto serve al bambino a trovare il modo per adattarsi o sopravvivere al mondo degli adulti che lo circonda. Quel dialogo serve all’intelligenza che ci abita per dare un posto a sensazioni ed emozioni talvolta enormi, affinché abbiano un senso per non sentirci troppo persi. Stampelle che sostengono su terreni emotivi a volte comodi altre volte scomodi, e nella solitudine del momento diventano la ciambella su cui galleggiare. Non valgo, non posso, mi sento in mezzo, un cataclisma, inadeguata, confusione, mi sento sospesa, devo dare di più, questo è troppo, capitano tutte a me, irriconoscibile, non posso respirare, è colpa mia, e’ colpa degli altri, e tante, tante altre ancora, diventano i mantra che sussurrati sottovoce e poi agiti alla luce del sole guidano nella vita.

E ciò che rende il gioco paradossale e’ che spesso queste frasi non sono neppure solo nostre, ma apprese attraverso chi si prendeva cura di noi, raccontandoci, talvolta senza parlare la sua storia.

Luigi e’ uno sportivo  professionista, e da quando si è fatto male, l’anno prima, come mi ha detto più volte, la luce si è spenta. Dentro di lui si è interrotto qualcosa, non sente più la stessa voglia o desiderio. Il padre lo spinge a provare, perché ha fiducia che lui ritroverà l’antica forza di addentare le partite, la madre invece lo invita senza troppi giri di parole a cambiare la sua vita. Lei così presa dalla sua carriera, gli ribadisce che è tempo di cominciare a pensare ad un futuro in modo finalmente serio. I due genitori sono separati da quando Luigi aveva 8 anni. E’ attraverso quella frase, la luce si è spenta, che Luigi mi ha invitato senza saperlo, ad entrare con lui in un terreno più ampio. Riaffiora così il tempo in cui, bambino, si sentiva perso come al buio, tra questi due genitori che urlavano sempre, scoprendo che solo quando era malato, loro,  guardandolo in modo altro, interrompevano per un po’ quella antica  guerra, e questo è continuato anche dopo la separazione. Così per interrompere quel sentirsi perso stare male era diventato l’antidoto.

C’è un tempo in cui la narrazione costruita da bambini ha un senso, un perché, un suo valore, e poi arriva un momento dove diventa essenziale imparare a riconoscere che possiamo raccontarci e vivere  anche un’ altra storia.

Non c’è niente di male o sbagliato nell’esistenza del seme, ma è solo quando si dischiude nell’albero, che la sua essenza espandendosi accade. Ed in questo l’essere seme deve non essere più.


Stefano Cotugno Autore presso La Mente Pensante Magazine
Dott. Stefano Cotugno
Psicoterapeuta Sistemico Relazionale
Bio | Articoli | Video Intervista
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