
Perché critichiamo chi amiamo
Quando il giudizio parla di noi, non dell’altrə
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Nelle relazioni più significative spesso capita di scivolare nella critica. Un gesto, una parola, un modo di fare del partner o della persona con cui condividiamo una relazione può improvvisamente attivare in noi irritazione o fastidio.
E così, prima ancora di accorgercene, ci ritroviamo a giudicare, a sottolineare ciò che non va e a mettere distanza.
Non lo facciamo per ferire. Spesso, dietro al giudizio, si nasconde una forma di difesa: un modo per gestire qualcosa che si muove dentro di noi e che non sappiamo ancora riconoscere.
Vedere sé stessi nelle relazioni significative
Le relazioni significative hanno una caratteristica unica: ci mettono di fronte a noi stessə. L’altrə diventa uno specchio che riflette non solo le parti che amiamo di noi, ma anche quelle che preferiremmo non vedere, come insicurezze, vulnerabilità, limiti e ferite antiche.
Quando qualcosa dell’altrə ci infastidisce in modo sproporzionato, è probabile che stia toccando una parte di noi ancora sensibile. In psicologia relazionale si parla spesso di proiezione: attribuiamo all’altro ciò che fatichiamo a riconoscere come nostro. Così, ciò che critichiamo nell’altrə a volte è un tratto che, in forme diverse, appartiene anche a noi.
Il giudizio, in questo senso, diventa una lente: distorce la visione dell’altro, ma racconta molto del nostro mondo interno.
Il bisogno di protezione e la paura della vicinanza
Criticare può essere anche un modo inconsapevole per non sentirci troppo espostə.
Quando ci leghiamo a qualcunə, il confine tra “io” e “noi” si fa sottile. L’intimità ci chiede di lasciarci vedere davvero, di mostrare anche le parti più fragili. Ma questa apertura può spaventare: ci ricorda che, proprio dove amiamo, possiamo anche essere feritə.
Allora la critica diventa una strategia di controllo. Giudicare l’altrə ci dà l’illusione di mantenere una posizione di forza, di non dipendere emotivamente. È come dire: “Io so cosa è giusto, io ho ragione”. Ma dietro a quella postura si nasconde spesso il timore di essere vulnerabili, di perdere un equilibrio, di scoprire che anche noi abbiamo zone irrisolte.
La relazione risveglia le nostre storie
Ogni relazione adulta porta con sé le tracce delle relazioni passate. Non solo di quelle romantiche, ma anche e soprattutto le relazioni con chi ci ha cresciutə, accudito, amato. In quelle esperienze si formano i nostri modelli di fiducia, di vicinanza e di sicurezza emotiva.
Quando critichiamo il partner per qualcosa che sembra “piccolo”, può darsi che quella situazione stia risvegliando una memoria antica. Qualunque atteggiamento della persona con cui stiamo, anche se innocuo, può riattivare ferite che non riguardano solo il presente.
L’altrə, inconsapevolmente, diventa il luogo dove le esperienze e le emozioni vissute nelle relazioni significative precedenti tornano a farsi sentire.
Dal giudizio alla curiosità
Il momento in cui nasce una critica può diventare un’occasione preziosa di consapevolezza.
Invece di chiederci subito “perché l’altrə è così?”, possiamo provare a spostarci su un’altra domanda: “Cosa succede dentro di me quando l’altrə si comporta così?”
Questo passaggio — dal giudizio alla curiosità — non è semplice, ma può cambiare profondamente la qualità della relazione. Significa sospendere per un attimo la reazione automatica e scegliere di ascoltare la propria emozione prima di agire.
A volte scopriremo che dietro la critica c’è una paura: di non essere vistə, di perdere il controllo, di non valere abbastanza. Altre volte troveremo un bisogno non espresso: più presenza, più libertà, più contatto. Quando riusciamo a nominare questi bisogni, il dialogo con l’altrə diventa più autentico.
Il giudizio divide; la consapevolezza, invece, unisce.
Accogliere la complessità
Essere in relazione non significa eliminare i conflitti o smettere di vedere i limiti dell’altrə. Significa, piuttosto, imparare a sostare nella complessità: riconoscere che ogni persona è un insieme di parti con bisogni diversi legati sia al presente sia al nostro passato
Accettare questa verità non ci rende passivə, ma realistə e compassionevoli. Ci permette di distinguere tra una critica che nasce dal bisogno di cambiare l’altrə e una riflessione che nasce dal desiderio di crescere insieme.
L’amore maturo non chiede perfezione, ma presenza. E la presenza richiede coraggio: quello di guardare anche ciò che ci disturba, sapendo che è lì che inizia la possibilità di comprendersi davvero.
Mettere uno spazio tra il “Me” e il “Te”
Ogni volta che sentiamo il bisogno di criticare, possiamo fermarci un istante e ascoltare quello spazio tra “Me” e “Te”.
Lì si nasconde il messaggio più vero del giudizio: non ciò che manca all’altrə, ma ciò che dentro di noi chiede attenzione, cura e riconoscimento.
La relazione, allora, smette di essere un campo di battaglia dove stabilire chi ha ragione e chi ha torto, e diventa un laboratorio di crescita condivisa.

Dott.ssa Francesca Di Bernardo
Dottoressa in Psicologia Clinica
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