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L’introspezione del sé attraverso l’io letterario

Il sé narrativo attraverso gli autori

Image by J Meza Photography on Unsplash.com


Il concetto di sé sembra estremamente astratto: riuscire a comprendere chi siamo e come ci percepiamo è un dilemma che fin dalla filosofia antica ha attanagliato l’essere umano. Tale dilemma prende forma grazie alla letteratura con autori come Luigi Pirandello o Franz Kafka, grazie alla creazione di opere introspettive e analitiche della psiche dei personaggi e della percezione che hanno di sé.


Il sé attraverso la Metafisica

Il concetto di ha attraversato la storia del pensiero occidentale, trovando terreno fertile per esempio in Aristotele, che parla ad esempio della metafisica come quella parte della filosofia che deve indagare l’essere in quanto essere. Come disse il filosofo greco, “l’essere si dice in molti modi” e quindi non è facile definire cosa sia l’essere e cosa sia l’esistenza. Dopo di lui tantissimi filosofi si sono interrogati a riguardo. Egli nella sua ricerca sulla sostanza ha riflettuto sul concetto di essere nel tempo, così come tutti i filosofi dopo di lui fino ad Heidegger. Quest’ultimo soprattutto in Essere e tempo ha definito il sé non come qualcosa di fisso, bensì in divenire, mutevole grazie al tempo e alla relazione con il mondo. Heidegger apre così la strada a una comprensione del sé non come identità stabile, ma come processo aperto e continuo.

Uno di quelli che ha trovato la risposta più interessante a cosa sia il sé è probabilmente Cartesio. Quante volte ci è capitato di chiederci se esistiamo, se tutto ciò che vediamo non sia in realtà un sogno, se il nostro sé che percepiamo così chiaramente non fosse solamente un’illusione? A questo dubbio Cartesio risponde con il suo “Cogito, ergo sum” ovvero “Penso, dunque sono”. Il fondamento dell’esistenza è il fatto che l’essere umano pensa, quindi, si percepisce.

La metafisica, quindi, ha sempre trattato la percezione del sé che è poi stata indagata dalla psicologia moderna. Secondo Erikson, psicoanalista e teorico dello sviluppo psicosociale, la formazione del sé passa per una serie di crisi e opposizioni dove si bilanciano. Queste crisi sono chiamate crisi psicosociali in cui bisogna trovare un equilibrio tra esigenze interiori (come la stessa immagine che ognuno ha di sé) e pressioni esterne (come le aspettative degli altri) per formare un’identità coerente. In Identity: Youth and Crisis, Erikson afferma:

L’identità dell’individuo si sviluppa a partire alla sintesi delle varie identificazioni passate e dall’esperienza delle crisi risolte nel corso dello sviluppo.


Il nostro sé è narrativo: noi siamo le nostre storie

Questa visione rende il sé una costruzione narrativa. È proprio lo psicologo americano Dan McAdams a parlare di sé narrativo. Con questo termine si intende il modus operandi mediante il quale ognuno di noi attribuisce significati alla sua vita creando una narrazione di sé, sia con il passato, ma anche in generale come “mappa” e percorso che segue anche per le decisioni future. Non a caso, il lavoro di McAdams si chiama The Stories We Live By, che può essere tradotta sia come “Le storie che viviamo” ma anche “Le storie che seguiamo”. L’identità passa per la narrazione, in quanto grazie alla capacità della persona di “autonarrarsi” questa costruisce il proprio sé. Se si ha un disturbo dissociativo, ad esempio, si avrà difficoltà a raccontare la propria storia in modo coerente, come illustrato da Van der Kolk. McAdams individua tre livelli del sé narrativ. Si può essere Actor, quindi attore, che indica come agiamo (rimandando all’etimologia della parola che significa proprio “colui che agisce” e poi noi abbiamo legato al significato di recitare); Agent, che ha un ruolo più attivo e avviene quando ci prefissiamo degli obiettivi; infine, l’aspetto più strettamente legato alla narrazione: l’Author, il sé come autore, quando siamo in grado di creare una narrazione autobiografica.

Da un punto di vista didattico-educativo, non a caso fin dalle prime esperienze scolastiche si richiede ai discenti un aspetto narrativo della realtà. Lo stesso gioco dei bambini è una forma di narrazione e tutti i compiti che vengono loro affidati rimandano a questo in quanto la narrazione è, a buon diritto, definita come formativa. Il diario di bordo, il portfolio, l’autobiografia sono solo alcune delle strategie didattiche privilegiate per favorire una formazione del sé. Noi siamo le storie che raccontiamo, secondo McAdams le persone “diventano autori delle proprie vite”, conferendo al sé e all’identità una connotazione narrativa. 


Il sé frammentato e in crisi di Luigi Pirandello

Grazie all’evoluzione del pensiero, sono tante le modalità mediante le quali è possibile fare un lavoro introspettivo su sé stessi e riflettere sulla percezione del sé. Essa è uno dei concetti chiave anche della letteratura, che spesso ha intuito aspetti estremamente innovativi anche prima di filosofi o scienziati. Ad esempio, Luigi Pirandello con il suo Uno, nessuno e centomila, intuì ben prima che lo formulasse George Herbert Mead l’idea di “sé riflesso”. Il romanzo pirandelliano, uscito nel 1925, racconta di un uomo che inizia a mettere in dubbio la propria identità quando si accorge che qualcun altro – sua moglie – si accorge che il suo naso pende verso destra, cosa che lui non aveva mai notato. Il sé riflesso non è altro che l’idea secondo cui il concetto di sé si sviluppa attraverso il modo in cui pensiamo che gli altri ci percepiscano. Nel romanzo, il protagonista entra in crisi al punto da mettere in dubbio tutto e si rende conto di non essere “uno solo”, ma uno, nessuno e centomila.

Non mi conoscevo affatto, non avevo per me alcuna realtà mia propria, ero in uno stato come di illusione continua, quasi fluido, malleabile; mi conoscevano gli altri, ciascuno a suo modo, secondo la realtà che m’avevano data; cioè vedevano in me ciascuno un Moscarda che non ero io non essendo io propriamente nessuno per me: tanti Moscarda quanti essi erano. – Luigi Pirandello, Uno nessuno e centomila

La disgregazione dell’identità trova spazio in Pirandello in moltissime altre opere. Nei Quaderni di Serafino Gubbio operatore (https://www.magmamag.it/quaderni-serafino-gubbio-operatore-luigi-pirandello/) riflette sulla disumanizzazione nella società moderna causata dalla tecnologia, che porta l’individuo a disgregarsi e alienarsi dalla realtà, concetti che per un libro uscito nel 1925 erano rivoluzionari. Pirandello anticipa molte delle riflessioni sull’identità come costruzione instabile e sul sé molteplice anche nel Fu Mattia Pascal. In questo romanzo il protagonista approfitta del fatto che a causa di un errore burocratico tutto lo credono morto per iniziare una nuova vita sotto falso nome, per poi rimanere invece senza identità, bloccato in questa doppia dimensione. Nel teatro, poi, sono tantissimi i concetti legati alla percezione del sé, dove ritorna anche l’idea di autore, come affermata da McAdams. Parliamo ad esempio di Sei personaggi in cerca d’autore, capolavoro teatrale di Pirandello dove sei personaggi incompiuti irrompono su un palcoscenico per chiedere a un autore di dare loro una vera identità; diventa quindi la narrazione l’unico modo in cui l’individuo possa dare senso alla propria esperienza. L’identità per Pirandello non è unica, bensì una moltitudine di percezioni, come direbbe Bauman, è “liquida”.


L’identità narrativa tra flussi di coscienza e situazioni paradossali

Per muoversi verso la letteratura straniera, fondamentale nella narrazione della psicologia dei personaggi e della loro identità è il ruolo degli autori modernisti. Prima tra tutti Virginia Woolf. In Mrs. Dalloway, la protagonista Clarissa è caratterizzata da un flusso di autonarrazioni, che si attuano con la tecnica del flusso di coscienza (stream of consciousness). Gli autori modernisti rivoluzionano, infatti, le tecniche narrative utilizzando nuove forme di scrittura, abolendo spesso la punteggiatura. Un esempio interessante è il romanzo In Le onde, dove sei monologhi di sei diverse persone (Bernard, Neville, Louis, Jinny, Susan, Rhoda) si alternano in un flusso continuo di pensiero. Narrano una realtà soggettiva e interiore. L’io non è stabile, ma è influenzato dalla memoria e dal modo di raccontarsi.

Un procedimento analogo avviene nell’opera di James Joyce, in particolare nell’Ulisse, dove il flusso di coscienza è portato all’estremo e la trama consiste unicamente nella narrazione del proprio io.

L’opera, ma anche i disegni, di Franz Kafka mettono su carta poi la crisi dell’identità a 360 gradi: il soggetto non riesce a costruirsi e si spezza, intrappolato in situazioni paradossali e tremende. Come in La metamorfosi, dove non avviene solamente la trasformazione letterale del protagonista in insetto, ma la sua totale perdita dell’identità, anche rispetto agli altri. L’identità, anziché consolidarsi nella narrazione, si smarrisce nell’impossibilità di raccontarsi, perfino di comunicare. Il mondo kafkiano annulla ogni sicurezza del soggetto e ci ricorda quanto la stessa identità sia un enigma.

Questi tre autori, pur diversissimi tra loro, condividono una visione dell’identità come fragile e narrativa. La letteratura del Novecento soprattutto non solo rispecchia la complessità della coscienza moderna, ma rivoluziona l’idea di sé trasportandola verso il concetto di sé narrativo.

I romanzi sono laboratori di introspezione e indagine che può passare anche attraverso la lettura, nel cercare empatia e riconoscimento nelle opere di autori rivoluzionari.


Prof.ssa Silvia Argento Autrice presso La Mente Pensante Magazine
Prof.ssa Silvia Argento
Docente e scrittrice
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