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La disobbedienza quale risorsa per riscoprire la propria voce

Alla ricerca dell’immaginario perduto

Image by bruno figueiredo on Unsplash.com


Sin da piccoli ci è stato insegnato che obbedire e rispettare una legge, una norma o ancor più un comportamento significa avere rispetto del posto in cui si vive e delle relazioni che scegliamo di coltivare. E grazie alle quali viene forgiata la propria identità personale e sociale.

Nell’immaginario collettivo obbedire riflette quel margine di sicurezza oltre il quale un comportamento differente viene bollato come trasgressivo, fuori norma e ancor più sottoposto a critiche in grado di etichettare l’individuo. Viceversa andare controcorrente rispecchia a pieno titolo una condotta con la quale si corre il rischio di autoproclamarsi veri e propri nemici, capaci di instillare una paura che pone le sue basi sulla diversità e sulla libertà di espressione. Alimentando così un divario tra ciò che è ritenuto comune e proprio per questo già conosciuto e ciò che essendo nuovo e differente si fa garante di un cambiamento.

Nel corso della storia la novità e il cambio di percezione sono sempre state sottoposte al vaglio di critiche, indagini approfondite e sentenze che hanno messo a repentaglio la vita di chi semplicemente voleva fare del cambiamento stesso una risorsa e ancor più una norma da coltivare, tramandare e condividere.

Eppure il bagaglio storico di cui ognuno è portatore conferma ancora una volta quanto disobbedire significhi tradire un’idea condivisa sulla quale per anni la propria identità si è retta in funzione di una legge prestabilita e dinanzi alla quale la propria voce si vedeva costretta a cedere al silenzio. Dove la libertà di essere sé stessi doveva fare i conti con l’ottusa forza di una credenza (come ad esempio quella religiosa nel medioevo) pronta a segnare la vita e la morte di chi osava ed osa tutt’ora proporre una prospettiva differente.

Nel corso dei secoli la figura che ne ha pagato maggiormente le spese è stata la donna, la cui intrinseca molteplicità ha rappresentato un limite e finanche un qualcosa di spaventoso da estirpare e dissolvere nel nulla.

Se obbedire da sempre ha voluto significare aderire in funzione di una legge suprema, al contrario la disobbedienza può riflettere quella risorsa grazie alla quale non tradire la propria voce e la direzione che essa desidera farci intraprendere.

Ad oggi dunque secondo le parole del noto psicoanalista Junghiano James Hillman si riterrebbe opportuno operare un processo di revisione di quei canoni e quelle norme sociali che in maniera automatica rischiano di collocare la nostra identità al servizio di una legge unilaterale che non tenga conto della propria individualità.

Secondo l’autore la corrente del nominalismo rispecchiava quel pericolo concreto capace di incasellare la propria libertà di espressione in un’unica direzione, trasformando la parola in uno strumento di repressione la cui natura si esprimeva in una imposizione ideologica e comportamentale priva di ulteriori vie d’uscita.

Rispetto alla quale la repressione cede il posto alla privazione delle proprie risorse intrapsichiche e alle molteplici modalità d’espressione.

Secondo Hillman obbedire al richiamo di quello che viene definito Dàimon, vuol dire disobbedire e ribellarsi a quell’unico ruolo che ci è stato imposto e che per l’appunto non consente la fioritura e ancor più la scoperta delle migliaia di voci e identità dalle quali siamo abitati a nostra insaputa. Disobbedire vuol dire quindi rispettare la propria natura che ogni giorno si rischia di tradire attribuendole significati univoci e spesso limitanti ma in conformità con quelle leggi esterne che riteniamo essere capaci di valorizzare la nostra identità. 


Immaginare uno scenario diverso: un valido antidoto contro l’obbedienza

Immaginare non solo risulta un’attività produttiva per la coscienza, ma al contempo un vero e proprio toccasana in grado di ripristinare e rendere più scorrevole quegli ingranaggi della mente, che nel quotidiano sembra dover fare i conti con le richieste esterne. Per cui se da un lato la nostra frenesia sembra rispecchiare un linguaggio prettamente sociale, nonché un modus operandi normativo, implicito e ormai acquisito, dall’altro l’attività immaginaria è forse ad oggi l’unica capace di far rifiorire un dialogo autentico, privo e libero da quegli schemi collaudati entro i quali si rischia di spegnerlo.

Nello specifico infatti, quanto risulta abitudinario e del tutto prevedibile, rischia tuttavia di alimentare uno stile linguistico capace di inscriversi entro i nostri pensieri, i nostri modi di riflettere e ancor più di orientarci nel mondo. Abolendo quegli interrogativi che invece di porre dei limiti valorizzerebbero al contrario la nascita di nuovi stili comunicativi; sia intrapsichici che interpersonali. Il dubbio difatti sembra contenere quella evanescente imprevedibilità, grazie alla quale si rende possibile mettere in discussione ciò che già si conosce e che al contempo trasmette un’illusoria sicurezza. Quest’ultima infatti non sempre si è disposti ad accoglierla, tantomeno di farvi fronte nel momento in cui sembra voler ribaltare gli strumenti sino ad ora impiegati.

Se sotto il profilo neurobiologico l’immaginazione è in grado di attivare la zona destra del nostro emisfero, nel quotidiano sembra invece guidarci nel trovare soluzioni inaspettate. Nello specifico infatti essa altro non rappresenterebbe se non il ponte d’unione tra la nostra parte più antica e i nostri desideri, che troppo spesso corriamo il rischio di non realizzare e coltivare.

Ripristinare il linguaggio delle immagini che ci abitano vuol dire entrare gradualmente a contatto con un spazio ed un tempo diversi da quelli ordinari e rispetto ai quali peraltro il rapporto causa effetto sembra sgretolarsi dinanzi ad una moltitudine sconosciuta, imprevedibile e proprio per questo ricca di opportunità. Una moltitudine accompagnata da quel valore simbolico che proprio grazie all’immaginazione, amplia non solo la percezione di quanto ci circonda bensì la consapevolezza con la quale far fronte a ciò che è in atteso. Facendo della disobbedienza una consapevole risorsa.


Cristi Marcì Autore presso La Mente Pensante Magazine
Dott. Cristi Marcì
Psicologo Psicoterapeuta a indirizzo Psicosomatico e Operatore Perinatale
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