L’esperimento di Milgram
Un punto di non ritorno nella storia della psicologia
L’esperimento di Milgram (1963) è uno studio fondamentale nell’ambito della psicologia sociale e allo stesso tempo rappresenta uno spartiacque nel dibattito sull’etica della ricerca psicologica.
Che cosa è ammissibile e che cosa no, in nome della ricerca scientifica?
L’esperimento sull’apprendimento
Siamo negli anni ’60 e Milgram, professore presso l’Università di Yale, pubblica un annuncio sul giornale in cui cerca dei partecipanti disponibili a prendere parte a un esperimento sull’apprendimento, in cambio di quattro dollari.
Tra i partecipanti si sorteggia chi avrà il ruolo di insegnante e chi di allievo.
Il primo deve fare apprendere una lista di associazioni di parole.
L’apprendimento si muove secondo una logica comportamentista, con un rinforzo negativo: ogni volta che l’allievo sbaglia, l’insegnante deve punirlo.
L’allievo viene legato a una sorta di sedia elettrica che fornisce una scossa di entità sempre crescente.
Lo sperimentatore dichiara che le scosse non generano danni permanenti ai tessuti, sono di vari livelli e la maggiore è di 450 volt, l’entità cresce con l’aumentare degli errori.
L’insegnante deve leggere le parole e interrogare l’allievo: se la risposta è corretta, si passa alla lista successiva, se è sbagliata si procede con la scossa.
L’obiettivo è che gli allievi imparino tutte le coppie di parole, i fastidi e le reazioni non devono fermare il lavoro dell’insegnante: se il docente smette di dare la scossa, viene incitato a continuare.
Gli allievi alla prima scossa chiedono di smettere, poi scongiurano, poi arrivano a rantolare e infine a uno stato di catalessi.
I risultati dell’esperimento sono sbalorditivi: il 65% dei partecipanti arriva a sottoporre l’allievo alla scossa di livello maggiore.
Prima dell’esperimento si stimava che solo uno su mille sarebbe riuscito a sottoporre la scossa più forte; invece, i risultati dimostrano che due insegnanti ogni tre sono arrivati fino in fondo.
C’è comunque da sottolineare che, questo gesto estremo è accompagnato il più delle volte da gravi sintomi di disagio, angoscia e agitazione da parte del partecipante, ma nonostante questo non riesce a fermarsi.
Una messa in scena per studiare i comportamenti di obbedienza
L’esperimento, in realtà, era una recita.
I partecipanti “allievi” torturati erano degli attori.
Il sorteggio per ottenere la divisione in allievi e insegnanti era truccato: il soggetto sperimentale finiva sempre per fare l’insegnante.
Inoltre, il livello crescente della scossa non esisteva.
Perché Milgram sperimentò tutto questo?
Il ricercatore voleva studiare i fenomeni sociali verificatisi sotto il regime nazista.
Come era possibile che tante persone avessero tollerato e promosso lo sterminio di milioni di individui come loro, che appartenevano soltanto alla categoria sociale “sbagliata” per l’epoca?
La questione psicosociale fondamentale, che veniva analizzata e sviscerata, era cosa succedesse quando un’autorità richieda di mettere in atto azioni contrarie ai propri principi e valori.
Dibattito sull’etica della ricerca
La questione indagata da Milgram era senz’altro di grande valore sociale e scientifico, ma è ovvio che un esperimento di questo calibro ha aperto grandi interrogativi sull’etica della ricerca.
In fin dei conti la sofferenza fisica era solamente simulata (gli allievi erano attori che ricevevano una scossa minima e fingevano reazioni esagerate davanti al comportamento dell’insegnante), ma la sofferenza maggiore provocata era mentale.
Gli insegnanti, dal loro punto di vista, torturavano gli allievi, incitati dallo sperimentatore e senza riuscire a smettere, nonostante tutto ciò non fosse coerente con il loro modo di essere.
Il rapporto con l’autorità
L’antropologo Becker sostenne che era fondamentale studiare la relazione esistente con l’autorità.
Infatti, coloro che servono un grande leader, che sia umano, divino, o metaforico sono coloro che versano le quantità maggiori di sangue.
Si ritrovano complici di un processo di distruzione, ma non hanno la forza di uscire da questo meccanismo e opporsi all’autorità, anche se si rendono conto di mettere in atto azioni malvage e in contrasto con la propria morale.
Sono presenti una serie di inibizioni che provocano la sottomissione all’autorità.
In particolare, avviene una trasformazione della psicologia dell’individuo e del modo di concepire l’obbedienza.
L’individuo che obbedisce diventa lo strumento per soddisfare i bisogni di colui che ordina, senza sentirsi responsabile delle proprie azioni.
Il termine autorità deriva dal latino augere, che significa aumentare, aggiungere, fare crescere, ma anche autorizzare.
Noi siamo di continuo inseriti in rapporti di autorità.
Qualcuno è considerato legittimamente e consensualmente superiore in una specifica dimensione.
Ma questo vale solo per determinati contesti.
Un rapporto di autorità se esiste e funziona bene tende a sparire: la discrepanza di status, se il processo va a buon fine, si riduce.
Per esempio, un professore si trova in una posizione di autorità rispetto a un allievo e utilizza la propria superiorità nella disciplina per insegnargliela e farlo crescere: nel momento in cui l’allievo impara, la discrepanza di conoscenza e potenzialmente di status viene meno.
Ciò che distingue autorità e potere si può incarnare nella differenza di rapporto tra insegnante-allievo e padrone-schiavo.
Quando l’autorità chiede qualcosa fa una mossa che è più di un consiglio, ma meno di un ordine.
Tipicamente qualcosa di legittimo che porta alla propria scomparsa.
Ma se l’autorità richiede di compiere azioni immorali, illegali, contrarie ai nostri valori?
Era proprio questo che voleva studiare Milgram con il suo esperimento.
Il processo di Eichmann
Milgram mise in campo questo esperimento a seguito del processo di Adolf Eichmann: un militare e funzionario tedesco delle SS, ritenuto uno dei principali responsabili operativi della macchina dello sterminio degli ebrei.
Dopo la Guerra era scappato in Argentina, poi rintracciato e processato pubblicamente in Israele.
Al momento del suo processo decine di studiosi da tutto il mondo giunsero a Gerusalemme: lo stesso contesto in cui nacque La banalità del male di Hanna Arendt.
Eichmann era inquietante perché non era un mostro, era una persona normale: sarebbe stato meglio percepirlo mostruoso, ma fu la coscienziosità che lo spinse a fare al meglio possibile il suo lavoro, non il fanatismo.
E come Eichmann ce n’erano a milioni: persone non sadiche, che facevano il male assoluto, spesso senza neanche rendersi conto di starlo facendo.
Lui si difese dicendo che eseguiva il suo lavoro e obbediva agli ordini, portando avanti uno degli ingranaggi di una macchina ben più complessa.
Venne infine processato e impiccato a Gerusalemme.
Milgram era convinto che avvenimenti del genere potessero avvenire solo in Germania, per le caratteristiche della società oppressiva e autocratica.
Dunque, inscenò il suo esperimento in America, nella società libera, aperta e democratica per eccellenza.
L’obiettivo iniziale era di fare una prima parte dell’esperimento negli Stati Uniti e poi ripeterlo in un paese come la Germania.
I risultati lo impressionarono così tanto che si fermò alla prima parte dello studio e quello che doveva essere il gruppo di controllo, divenne il suo oggetto di studio.
Conclusioni e riscontri attuali
Le scoperte di Milgram sull’obbedienza all’autorità possono essere spiegate attraverso tre fattori:
- Una norma culturale diffusa, secondo la quale bisogna obbedire all’autorità e gli individui vengono generalmente premiati quando sono ubbidienti. Inoltre, in linea generale ci si aspetta che le figure legate all’autorità siano giuste e degne di fiducia.
- Le richieste di obbedienza ad azioni riprovevoli, nell’esperimento, erano graduali. I partecipanti somministravano scosse sempre maggiori in un arco di tempo lungo e prima di rendersene conto lo stavano già mettendo in atto.
- Interviene uno stato d’agente: le persone non si considerano più responsabili, ma attribuiscono la responsabilità ad altri individui nel contesto.
Le vicende di Eichmann e gli esperimenti di Milgram hanno rivoluzionato la storia della psicologia.
Un esperimento come quello di Milgram, oggi, non si potrebbe ripetere: contiene un carico emotivo troppo pesante nei confronti dei partecipanti.
Inoltre, è avvenuto un cambiamento nel diritto penale internazionale a seguito dei processi di Norimberga e Gerusalemme.
Oggi è reato obbedire a un ordine illegale, non è possibile difendersi adducendo questa spiegazione contro le accuse.
I processi psicosociali in gioco sono difficili da scardinare e possono rappresentare attenuanti, ma la responsabilità penale è individuale.
L’esperimento di Milgram, nonostante il tempo che ci separa, risulta più che mai attuale.
Bibliografia e Video Reference
Psicologia sociale di Richard J. Crisp & Rhiannon N. Turner, 2017
Esperimento di Milgram – Documentario integrale
Esperimento di Milgram – Frammento
Dott.ssa Silvia Merciadri
Dott.ssa in Scienze e Tecniche Psicologiche | Articolista | Docente di Storytelling
Bio | Articoli
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