
La comunicazione verbale, non verbale e poi…la scrittura
Non sempre serve la voce per comunicare
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Quando si suddivide la comunicazione solo in due parti, considerando le parole pronunciate per dare un messaggio, e il corpo, la sua gestualità come altro veicolo di linguaggio, si fa l’errore di tralasciare una fondamentale “terza” parte: la Scrittura, ossia l’arte dello scrivere, una delle forme comunicative più significative, insieme a molte altre ovviamente, pur sempre personali e decisamente creative che sanno trasmettere, quando si ha la capacità di coglierli e apprezzarli, dei contenuti davvero unici e speciali: la musica nelle sue diverse declinazioni, il canto su tutte, a seguire la pittura e la scultura, altresì, qualsiasi forma di arte, dalla meno nota alla più famosa, che sappia trasmettere l’inafferrabile, l’intangibile, ma allo stesso tempo consegnare indistintamente un efficace nutrimento per l’anima.
La scrittura è una delle tante espressioni di noi stessi, la più intima che possiamo riportare su carta; ciò che magari in noi non è chiaro, d’un tratto con le giuste parole diviene evidente e palese. I nostri grovigli interiori o perplessità, come ci insegna la psicologia e la psicoanalisi, possono risolversi “adagiando” i pensieri su piccoli o grandi fogli; quando sappiamo chi siamo, è più facile poi ricercare l’evoluzione della nostra interiorità, della nostra anima. Scrivere rende liberi e dà la possibilità di sprigionare ogni piccola parte del nostro Io: dai sentimenti più nascosti, a volte negativi, a quelli che più rendono le nostre giornate felici e serene.
Attraverso l’arte meravigliosa dello scrivere, l’emotività in tutti i suoi aspetta ne trae beneficio e viene raggiunto un equilibrio psicoemotivo. Dopo aver creato, con diverse, particolari e personali parole, contenuti, ideato ed espresso concetti, avviene una crescita interiore in grado di apportare consapevolezze e benessere.
Alcune differenze tra scrivere e parlare
Se ci si sofferma a pensare cosa distingua la “voce” dalla “penna sulla carta”, tra scritto e parlato, la mente riporta e ricorda piacevolmente un grande autore, Italo Calvino, scrittore di storie senza tempo di grande fantasia e suggestione, che nelle sue Lezioni americane (prima edizione Oscar Moderni, maggio 2016), racconta e spiega come tra le righe di un testo sia a suo agio, senza dover parlare troppo, trasformando i suoi pensieri e le sue idee in una straordinaria “forma” cartacea. Scrivendo si sente agevolato nel comunicare, non disdegnando affatto la possibilità di poter correggere più volte concetti e parole, cosa che nel linguaggio parlato è più difficile da realizzare, perché la rapidità, un tempo decisamente veloce viene imposto durante l’interazione “faccia a faccia”. Scrivere, invece, oltre a far sì che il sapere e la conoscenza vengano tramandati per anni, secoli e molto di più… regala tempistiche più distese, la possibilità di scegliere, pensare e cercare parole più adatte, termini magari anche colti e originali, meno in uso, altresì un riguardo e un rispetto per quanto si vuol riuscire a comunicare, esprimendo assoluta chiarezza. La scrittura si costruisce e si impara con il tempo, non nell’immediatezza come accade con il linguaggio parlato, con il suo uso quotidiano che si apprende vivendo e ascoltando, sin da piccoli, da ogni diverso contesto sfumature e modi di dire. Parlare necessita di modalità e tempi che spesso non coincidono con quelli più vicine alle esigenze profonde di chi è intento a scrivere, di chi della scrittura ne fa una vera e propria modalità di comunicazione: solitudine e silenzio, approfondimento e ricerca; calma ed una elaborazione concettuale che ha necessariamente bisogno di più “spazi”, pensieri lenti fatti di concentrazione e riflessione.
Essere splendidamente introversi: il bisogno di riflettere e la scrittura come “rifugio”
Chi sono gli introversi lo spiega molto bene, con dovizia nei dettagli e grande sensibilità nei concetti espressi, Jennifer Granneman, autrice del libro La vita segrete degli introversi, il bello di chi sa tacere in un mondo fatto di chiacchiere (prima edizione in “Urra Feltrinelli”, gennaio 2019), che di sé racconta di essersi sentita spesso a disagio per il suo essere “troppo seria”, con i suoi modi molto riservati , additata come “strana”; questo suo testo nasce per dare un valore a chi come lei ha provato o prova le stesse sensazioni, fino ad arrivare a scrivere che reputarsi un introverso può essere un valore aggiunto e una grande fortuna da apprezzare.
A proposito, invece, della relazione, del rapporto intimo tra timidezza, introversione e scrittura, J. Granneman descrive questo “supporto”, confortante “rifugio” contraddistinto da tempi lenti e lunghi, che la scrittura sa concedere a chi vuole esprimersi, senza l’uso della voce, diversamente; quindi, estrapolo dal suo testo alcuni passi, delle righe profondamente vere e degne di nota, che riportano gli esatti sentimenti provati da una persona riservata, introversa appunto, più attenta all’ascolto, piuttosto che pronta a chiacchierare, per poter riflettere ancor di più sul potenziale intrinseco, a volte sottovalutato, della scrittura:” La scrittura ti dà il tempo di riflettere su cosa dire e come dirlo. Ti permette di modificare l’espressione del tuo pensiero e di perfezionare il testo come desideri”. […] perché noi introversi tendiamo a evitare le chiacchiere. Preferiamo parlare di qualcosa di significativo, piuttosto che riempire l’aria di parole col solo scopo di sentirci fa rumore”. Questa ultima sua frase richiama proprio il sottotitolo del suo meraviglioso libro…
Roberta Favorito
Laureata in Lettere, Specializzazione in Scienze Pedagogiche
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