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Educare all’imperfezione
Un’eredità per i nostri figli
Image by Kelly Sikkema on Unsplash.com
Se un tempo i genitori si preoccupavano di lasciare in eredità ai propri figli un pezzo di terra, una casa, un mestiere o un corredo di biancheria pregiata, oggi le preoccupazioni sono molto diverse.
In un mondo globalizzato, in cui il lavoro, lo studio e il desiderio di scoperta potrebbero portare i nostri ragazzi a vivere a migliaia di chilometri da noi, il “corredo” che prepariamo per il loro futuro è fatto di tutti quegli strumenti che riteniamo possano essere utili e necessari per soddisfare le loro ambizioni lavorative e di vita.
Predisponiamo un’eredità virtuale, che si compone di competenze, abilità e valori che sono il frutto dell’istruzione impartita e del modello educativo ricevuto, nonché di risorse economiche adeguate al raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Compiamo sacrifici considerevoli per assicurare un futuro roseo ai nostri ragazzi, tuttavia, spesso ci dimentichiamo di inserire all’interno di questo “bagaglio” elementi di non poca importanza:
- la fiducia nelle loro capacità decisionali;
- il riconoscimento di talenti e ambizioni, che potrebbero non coincidere con le nostre aspettative;
- la possibilità di prendere scelte in autonomia;
- il diritto di compiere scelte sbagliate, di cui assumersi la responsabilità;
- l’opportunità di imparare dalle esperienze, anche negative, vissute;
- la consapevolezza che un’ideale di perfezione è irraggiungibile e che la vita è bellissima nonostante le sue imperfezioni.
Facciamo ciò che crediamo sia il meglio per i nostri figli, ma nel farlo siamo fortemente condizionati dalle nostre aspettative, convinzioni e preoccupazioni.
Così li iscriviamo nelle migliori scuole affinché imparino sin da piccoli le lingue straniere, li seguiamo personalmente o attraverso insegnanti privati perché non rimangano indietro nel percorso scolastico e possano sviluppare appieno le loro potenzialità, ci chiediamo – a volte anche ricorrendo all’intervento di professionisti – se un comportamento inaspettato o un capriccio siano “normali” o indice di un malessere che va riconosciuto e, se possibile, curato.
Mentre noi, bambini del passato, giocavamo senza il controllo degli adulti in piazza, in cortile o fra le onde del mare, i nostri figli praticano sport in centri polisportivi, con la supervisione di allenatori qualificati e il tifo di genitori orgogliosi; entrano al mare o in piscina sotto lo sguardo attento del bagnino e degli animatori dei centri estivi che si accertano che nulla di pericoloso possa loro accadere.
Ci illudiamo così che siano al sicuro.
Tuttavia, la vita, nostra e loro, sfugge ad ogni forma di controllo.
Cadere è inevitabile.
Non riusciremo ad evitare le cadute dei nostri figli, per cui insegnar loro che rialzarsi è possibile, anche se in modo goffo e con qualche ammaccatura, è più importante di adottare strategie per evitare ogni ostacolo.
Non riusciremo neppure ad evitare le nostre cadute e allora diverse saranno le strade percorribili.
Potremo nascondere le difficoltà che abbiamo dovuto affrontare. Di fronte alle domande scomode dei nostri ragazzi, potremmo rispondere con frasi che si tramandano di generazione in generazione quali “Sei troppo giovane per capire” o “Lo capirai quando sarai più grande”.
Potremo caricare i nostri figli di frustrazioni, trasmettergli ansie e un cinismo che non appartiene alla loro età. È un fenomeno purtroppo frequente al giorno d’oggi, in particolar modo quando si chiede a bambini e adolescenti di essere mediatori fra mamma e papà, giudici del comportamento degli adulti, responsabili del loro benessere, confidenti, dispensatori di affetto e rassicurazioni.
Ma c’è un terzo modo.
Ammettere di aver sbagliato dando dimostrazione che un adulto non è perfetto, non ha tutte le risposte e sbaglia nonostante abbia già una certa dose di esperienza.
I nostri bambini e ragazzi capiranno, in tal modo, che ogni stagione della vita presenta inevitabilmente momenti difficili, che possono essere superati attingendo a risorse che a volte neppure sappiamo di avere, traendo insegnamento dagli errori commessi, che non ci qualificano né rendono la nostra vita un fallimento.
Sarà più semplice affrontare questi momenti “no” se ci circondiamo di persone che siano in grado di offrirci supporto e affetto, piuttosto che giudicarci per gli sbagli commessi.
Educhiamo i nostri figli ad ampliare lo sguardo al di là del loro piccolo mondo e a tendere la mano verso chi è in difficoltà.
Quelle stesse mani amiche, che adesso stiamo stringendo per dare aiuto, potranno un giorno essere quelle che ci aiuteranno a risollevarci e che gioiranno i nostri successi e, anche se così non fosse, quel bene fatto avrà comunque plasmato il nostro essere, mettendoci in connessione con l’altro e con una parte di noi che troppo spesso ci dimentichiamo di coltivare.
Insegniamo ai nostri ragazzi che nessun traguardo raggiunto a tutti i costi da un individuo solo potrà superare la gioia di un risultato, seppur modesto, raggiunto attraverso un percorso onesto e condiviso.
Educhiamo (anche) all’imperfezione, perché un’educazione improntata esclusivamente all’eccellenza e al successo potrebbe dar luogo a una generazione di persone inevitabilmente insoddisfatte.
Tale insoddisfazione potrebbe esplodere non soltanto in coloro che non riusciranno a raggiungere gli obiettivi preposti, ma persino in chi colleziona successi e riconoscimenti professionali.
Capita di frequente che personaggi noti o professionisti stimati, pur rivestendo ruoli di gran prestigio, non riescano a godere del successo raggiunto perché tormentati dal pensiero di traguardi ancora più alti, che sono stati a loro negati.
Insegniamo ai nostri figli che la felicità non risiede dentro un ideale di vita perfetta, impossibile da raggiungere.
Diamo importanza “non trascurabile” ai momenti di felicità che si palesano inaspettatamente come arcobaleni dopo la pioggia, fra i problemi e le incombenze di una giornata apparentemente ordinaria.
Eliana Romeo
Scrittrice | Giurista | Mediatrice familiare
Bio | Articoli | Video Intervista Scrittori Pensanti
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