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Essere workaholic: quando il lavoro pervade la vita

Sono davvero soddisfatto della mia vita o vivo per lavorare?

Image by Nubelson Fernandes on Unsplash.com


Viviamo nella società dei consumi e dell’apparenza, del mito del lavoro senza sosta, in cui la produttività è un imperativo ed è necessario lavorare molto per potersi permettere un tenore di vita adeguato e quei beni di consumo considerati essenziali per il proprio status sociale. Viviamo in una società in cui ogni individuo viene definito più per quello che fa e per quello che ha, che per quello che è e in cui il ruolo professionale diventa parte dell’identità. Una società della competizione e della performance, focalizzata sull’importanza di ottenere successo e di riuscire per ottenere l’approvazione sociale.

Lo sviluppo tecnologico e l’iperconnessione continua h24 portano a vivere in una dimensione onlife, in cui vita online e vita reale si confondono ed hanno confini sempre meno definiti.

Così è facile finire per lavorare troppo e vivere poco e il fenomeno del “workaholism” o “work addiction” è in continua espansione.


Workaholism e differenze con la dedizione al lavoro

l termine “workaholic” è stato introdotto per la prima volta da Oates (1971), è nato dalla fusione delle parole “work” (lavoro) e “alcoholic” (alcolista) e identifica la persona con dipendenza dal lavoro. Essere workaholic significa vivere in funzione del proprio lavoro, al punto da trascurare altri aspetti importanti della vita come la famiglia, gli amici, il tempo libero e il benessere personale. Mentre alcune persone possono essere semplicemente molto impegnate e ambiziose nel loro lavoro, un workaholic sviluppa una vera e propria compulsione a lavorare in modo continuo. Il workaholism appartiene alle cosiddette “new addiction” ed è una dipendenza comportamentale, ossia è una dipendenza da un comportamento e non da una sostanza.

Va distinto pertanto dalla forte dedizione al lavoro che alcune persone mostrano, per le quali si parla di hard workers, o lavoratori ad “elevate prestazioni” (Castiello d’Antonio, 2012).
Un gran lavoratore è emotivamente presente per tutti i membri della famiglia, per i colleghi e gli amici e riesce a mantenere un equilibrio tra lavoro e responsabilità personale. In alcuni periodi può dedicarsi in maniera maggiore alla professione, che può assorbire molte delle sue energie e del suo tempo, ma si tratta di situazioni temporanee e solitamente seguite da periodi di riposo o, comunque, di ritorno ad un’attività di lavoro più equilibrata (Killinger, 2011). L’attività lavorativa rappresenta una passione, una motivazione, una spinta a realizzarsi dal punto di vista personale e professionale, non è vissuta come un’ossessione, come accade invece al workaholic.


Sintomi e caratteristiche del workaholic

Il workaholic non riesce a stare senza lavoro che diventa “l’unico serbatoio di identità” (Fassel, 1990). Come tutte le dipendenze psicologiche, il workaholism presenta tre caratteristiche:

  1. Ossessività: il pensiero è costantemente focalizzato sul lavoro con ansia e preoccupazione legati a scadenze, appuntamenti, timore di perdere il lavoro;
  2. Impulsività: difficoltà ad autoregolarsi emotivamente con l’emergere di sbalzi d’umore, nervosismo, irritabilità, agitazione psicomotoria e, in alcuni casi, di comportamenti aggressivi, qualora si sia costretti ad astenersi dal lavoro; sono presenti sintomi di astinenza in assenza di lavoro con ansia e panico;
  3. Compulsività: la tendenza ad agire senza riflettere, non considerando le conseguenze delle proprie azioni.

Viene dedicato un tempo eccessivo al lavoro, per molte ore al giorno, anche nei weekend, nei periodi di festività, o quando si è malati, e questo eccessivo investimento nell’attività lavorativa è auto-imposto, non è dovuto ad esigenze economiche o a richieste che vengono dall’esterno. La conseguenza è un forte impoverimento della vita familiare e sociale. Non esiste più un confine tra vita lavorativa e vita privata, il lavoro è come una droga di cui non si può fare a meno, perché altrimenti si provano senso di vuoto, angoscia ed un forte disagio, emozioni percepite come intollerabili.

Il workaholic è un perfezionista che tende all’ipercontrollo e non riesce a delegare, né a lavorare in team o a collaborare, in quanto ritiene che nessuno possa fare bene come lui/lei. Come le altre forme di dipendenza, anche la work addiction è soggetta a tolleranza, ossia vi è un progressivo bisogno di fare sempre di più per raggiungere la stessa soddisfazione, per sentirsi sempre più apprezzabili (Evangelisti, 2022), ma tutto ciò che si fa sembra non bastare mai.

I workaholic sono sempre sotto pressione per rispettare scadenze e raggiungere obiettivi, spesso sacrificando il riposo e la qualità della vita. Questo porta a un impoverimento delle energie fisiche e mentali che, nel tempo, può sfociare in un burnout, uno stato di esaurimento profondo che rende difficile svolgere anche le attività quotidiane.

Questa esposizione costante a livelli elevati di stress finisce infatti per avere ripercussioni negative da un punto di vista psicologico e fisico:

  • viene dedicato poco tempo al sonno notturno con conseguenti irritabilità, aumento di peso, disturbi psicosomatici;
  • si conduce una vita frenetica, senza fermarsi mai, svolgendo più attività contemporaneamente, a ritmi elevati;
  • si rimane connessi ai dispositivi elettronici per tante ore del giorno e della notte;
  • sono presenti stanchezza cronica ed insonnia;
  • si hanno abitudini alimentari non corrette, saltando pasti e/o mangiando in maniera compulsiva;
  • è presente una propensione a sviluppare dipendenze dal tabacco, dall’alcol, dalla caffeina, da psicofarmaci;
  • si finisce per trascurare il proprio corpo, arrivando a sottovalutare segnali di malessere fisico, senza effettuare controlli e attività di prevenzione sanitaria;
  • possono essere presenti disturbi d’ansia, come attacchi di panico, e disturbi depressivi.

Le origini del workaholism

Le radici del workaholism possono essere molteplici e dipendere da una combinazione di fattori individuali, familiari, culturali e professionali. Di seguito le principali cause alla base della dipendenza da lavoro.

Pressioni sociali, culturali ed economiche. Tra i fattori determinanti della dipendenza da lavoro, rivestono un ruolo importante le pressioni della società e le aspettative culturali. Oggi il valore personale è strettamente correlato al successo professionale. Considerando che l’apparenza e il possesso di beni materiali rappresentano valori importanti, è facile comprendere come il lavoro diventi la misura della propria realizzazione personale e il mezzo per raggiungere il riconoscimento economico e sociale tanto bramato, spesso a discapito del benessere emotivo e relazionale. Questo può essere amplificato da un ambiente professionale che considera il lavorare duro e oltre l’orario una condizione indispensabile per il successo e l’avanzamento di carriera (cfr. overwork climate: Mazzetti, Schaufeli e Guglielmi, 2014).

Tecnologia e connessione continua. Lo sviluppo tecnologico che ha determinato un’espansione della vita online e una connessione continua, grazie a dispositivi sempre più a portata di mano, contribuisce fortemente a dissolvere i confini tra vita privata e vita professionale. Tempo libero e tempo di lavoro si confondono e quest’ultimo può facilmente diventare pervasivo.

Influenze familiari ed educative. L’influenza familiare e i valori trasmessi dall’ambiente domestico sono un altro dei fattori alla base del workaholism. Si tratta di famiglie in cui lavorare duramente viene particolarmente apprezzato e in cui familiari o altre figure di riferimento importanti, con il loro comportamento, forniscono un modello. L’accento è posto sul fare e la tendenza sarà quella di aderire a standard elevati di prestazione sin da bambini, eccellendo nelle attività scolastiche ed extrascolastiche, per ricevere attenzioni e riconoscimento da parte dei propri familiari.

Fattori psicologici individuali. Strettamente connessi e spesso conseguenza delle influenze dell’ambiente familiare, sono le caratteristiche di personalità del workaholic. Si tratta di persone che mostrano motivazione al successo, senso di auto-efficacia collegato alle attività lavorative, perfezionismo, bisogno di controllo, tendenze compulsive, bassa tolleranza alla frustrazione, ricerca di stimoli e di status sociale. Alla base del problema sono solitamente presenti insicurezza, bassa autostima, paura di non essere all’altezza, paura del fallimento, senso di inadeguatezza, vergogna, senso di colpa, rabbia, senso di vuoto e forte ansia. Emozioni e convinzioni che l’individuo tenta disperatamente di superare lavorando duramente per sentirsi più sicuro e ricevere approvazione e riconoscimenti dall’esterno. Tuttavia, la sensazione di non essere mai abbastanza finisce per generare un circolo vizioso, per cui l’individuo, non riuscendo mai ad essere soddisfatto di sé, continua a mettere sempre più energie nel lavoro, ritirandosi completamente dalle relazioni interpersonali e finendo per confermare l’idea negativa che ha di se stesso; ne conseguono stati di tristezza e depressione che, paradossalmente, finiscono per influire negativamente anche sul rendimento professionale.


Come superare il workaholism

Innanzitutto, risulta fondamentale la prevenzione e la promozione di una cultura del lavoro sana, educando al valore del riposo e della disconnessione. È importante sensibilizzare le aziende cosicché promuovano il benessere dei propri lavoratori, aumentando conseguentemente anche la loro produttività.

Alcuni suggerimenti e strategie per prevenire e affrontare il workaholism e ritrovare l’equilibrio:

  • Stabilire confini chiari tra lavoro e vita privata, evitando di rispondere a email, messaggi e telefonate di lavoro durante il fine settimana o nelle ore serali; creare dei momenti di “disconnessione” dal lavoro e dalla vita online è essenziale per il recupero fisico e mentale.
  • Imparare a delegare compiti e responsabilità, evitando di fare tutto da soli; saper chiedere aiuto o affidare incarichi ad altri è fondamentale per evitare il sovraccarico di lavoro.
  • Prendersi cura di sé, ascoltando il proprio corpo e la propria mente, e prendendosi delle pause quando necessario: praticare sport, concedersi momenti in cui rallentare e fermarsi. lasciar andare pensieri e ruminazione mentale, anche attraverso pratiche meditative e di mindfulness, coltivare hobby e passioni, trascorrere tempo con la famiglia e con gli amici.
  • Abbandonare il perfezionismo e riconoscere i propri limiti.

Quando le problematiche di dipendenza da lavoro sono più gravi e invalidanti, è necessario intraprendere un percorso terapeutico che richiede innanzitutto una presa di consapevolezza di avere un problema, per indagare poi le cause che ne stanno all’origine e che si diversificano per ogni individuo. Anche entrare a far parte di gruppi di auto-mutuo aiuto (come i Workaholics Anonymous) può risultare efficace: il senso di appartenenza che si crea in una situazione di gruppo e il confronto e la condivisione con persone che vivono le stesse difficoltà, può creare le condizioni per uscire dalla dipendenza.


Conclusioni

Il workaholism è figlio della società contemporanea dove lavoro, produttività e status sociale spesso prendono il sopravvento sul benessere personale e relazionale. Tuttavia, sebbene il lavoro sia una parte importante della vita, è fondamentale che non diventi la sola e unica attività e, soprattutto, che non diventi un’ossessione e una dipendenza dettata da aspettative elevate nei propri confronti, o dal tentativo di evitare emozioni di disagio, se non di vera e propria angoscia, attraverso il “fare”. Pertanto, distinguere tra dedizione al lavoro e dipendenza da esso è fondamentale per promuovere un approccio equilibrato alla vita professionale.

A questo proposito risulta fondamentale un’attività di sensibilizzazione sul workaholism rivolta al mondo delle imprese, oltre che a tutti i cittadini, e la diffusione di una cultura della prevenzione che richiede un cambiamento culturale che valorizzi il riposo, le relazioni umane e il tempo libero, ponendo un limite chiaro tra lavoro e vita privata.

Attraverso strategie come il delegare, il coltivare passioni, il praticare mindfulness e il ricorrere ad interventi psicoterapeutici quanto più possibile precoci, quando necessario, è possibile ritrovare un equilibrio sano e appagante per vivere una vita più ricca e significativa, in cui il lavoro sia uno strumento di crescita personale e non una prigione mentale.


Bibliografia

Castiello d’Antonio, A. (2012). Il workaholism: quando si lavora troppo. QI – Questioni e idee in psicologia – Il magazine online di Hogrefe Editore da https://qi.hogrefe.it/rivista/il-workaholism-quando-si-lavora-troppo/ (consultato in data 23/12/2024).
Evangelisti, C. (2022). La dipendenza ben vestita: una ricerca empirica sul Workaholism. Well-dressed addiction: an empirical research on Workaholism [tesi di laurea magistrale in Psicologia Sociale, del Lavoro e della Comunicazione]. Padova: Università degli Studi di Padova.
Fassel, D. (1990). Working ourselves to death: The high costs of work-aholism, the rewards of recovery. San Francisco: Harper & Collins.
Killinger, B. (2011). Understanding the Dynamics of Workaholism. Are you a workaholic? (consultato in data 31/12/2024).
Mazzetti, G., Schaufeli, W. B. e Guglielmi, D. (2014). Are workaholics born or made? Relations of workaholism with person characteristics and overwork climate. International Journal of Stress Management, 21(3), 227–254.
Oates W. E. (1971). Confessions of a Workaholics: The Facts about Work Addiction. New York: World Publishing.


Dott.ssa Claudia Cioffi Autrice presso La Mente Pensante Magazine
Dott.ssa Claudia Cioffi
Psicologa e Psicoterapeuta Analitico Transazionale
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