Malinconia e tristezza
Le differenze tra due sensazioni necessarie
La malinconia è la tristezza diventata leggera.
-Italo Calvino
L’italiano è decisamente tra le lingue più ricche al mondo, tanto che sono davvero pochi i sinonimi perfettamente sovrapponibili: e così anche tra malinconia e tristezza esistono differenze notevoli.
La nostra lingua è una vera e propria opera d’arte grammaticale, nella quale poche sfumature a livello di significante fanno una differenza enorme in termini di significato.
Introduzione ai concetti di malinconia e tristezza
Malinconia e tristezza.
Due concetti che normalmente utilizziamo interscambiandoli tra loro, ma che in realtà sono molto diversi, soprattutto se analizzati nella loro essenza più profonda.
Victor Hugo diceva che la malinconia è “la gioia di sentirsi tristi”.
La malinconia sarebbe una sorta di sentimento che non ha bisogno di una direzione particolare, di un oggetto all’interno del quale rispecchiarsi.
In questo senso la malinconia è un tratto peculiare della personalità che non dipende in alcun modo dal contesto circostante.
Il termine tristezza invece non potrà mai convivere con la parola gioia, di certo non a livello di significato, a meno di non voler entrare nel campo delle figure retoriche.
Una persona è triste quando gli è capitato qualcosa di negativo, oppure a causa dell’educazione ricevuta dai genitori, o, ancora, per il contesto di vita.
La tristezza, al contrario della malinconia, ha bisogno dunque di una condizione esterna, di una miccia che ne accenda le condizioni necessarie. La tristezza estremizzata può portare a deviazioni patologiche come la depressione.
Il concetto di spleen romantico
Il Romanticismo, in particolare quello francese, coniò un neologismo per inquadrare quel particolare stato d’animo che attraverso il disagio esistenziale apriva finestre su un mondo normalmente chiuso.
Lo Spleen è, però, ancora qualcosa di diverso rispetto alla malinconia.
Di seguito la celeberrima poesia di Charles Baudelaire, che ha come oggetto proprio lo Spleen:
Quando, come un coperchio, il cielo basso e greve
schiaccia l’anima che geme nel suo tedio infinito,
e in un unico cerchio stringendo l’orizzonte
fa del giorno una tristezza più nera della notte;quando la terra si muta in umida cella segreta
dove la Speranza, come un pipistrello,
sbatte le timide ali contro i muri
e picchia la testa sul soffitto marcio;quando i rigagnoli immensi della pioggia
imitano le inferriate d’una vasta prigione
e, muto, un popolo di ragni ripugnanti
dentro i nostri cervelli tende le sue tele,furiose a un tratto esplodono campane
e un urlo tremendo lanciano verso il cielo,
così simili ad anime senza pace né dimora
che gemono ostinatamente.-Senza tamburi, senza musica, sfilano funerali
a lungo, lentamente, nel mio cuore: la Speranza,
Vinta, piange, e l’Angoscia atroce, dispotica,
pianta, nel mio cranio riverso, il suo vessillo nero.
Se accendiamo i termini di malinconia e tristezza inquadrandoli sotto la luce della sensibilità artistica, possiamo dire che la malinconia si avvicina senz’altro di più al concetto di spleen.
Spleen e malinconia sono concetti “vicini”, come lo sono tristezza e depressione: potremmo dire che la tristezza è l’anticamera della depressione o un suo vicino parente meno appariscente.
La tristezza è la matrioska piccola contenuta in quella più grande della depressione. La più piccola può vivere senza il suo involucro più grande, mentre la depressione, al contrario, cadrebbe senza le fondamenta della tristezza.
Malinconia e depressione, invece, non hanno alcun punto di contatto, non in termini di significato.
Malinconia e sensibilità artistica
Se ti senti spesso “malinconico” potresti avere una forte predisposizione artistica, probabilmente sei dotato di una particolare sensibilità che ti fa vedere il mondo circostante come avvolto da un velo di mistero e fascino inquieto.
Giacomo Leopardi diceva:
I momenti migliori dell’amore sono quelli di una quieta e dolce malinconia, dove tu piangi e non sai di che.
Ecco che, nell’animo sensibile del poeta, il sentimento dell’amore e gli aggettivi “positivi” quieto e dolce si sposano perfettamente con il concetto di malinconia.
Dalle parole di Leopardi quasi percepiamo un atteggiamento propositivo nei confronti della malinconia, una sorta di quinta essenza dell’animo poetico.
L’atteggiamento malinconico di chi osserva un tramonto fonde la propria percezione con la predisposizione mistica di chi si fa domande sull’altrove, su quell’ “aldilà” che rimane mistero per tutta la vita.
Un amore corrisposto, che sia indirizzato verso un altro essere umano o verso un’opera della natura, ha come base ineludibile quella sorta di “leggera malinconia” nei confronti di un sistema che prima o poi dovrà terminare.
Tutti gli amori, così come tutti i tramonti, prima o poi finiscono, nella migliore delle ipotesi con la morte di uno dei due innamorati.
Amori malinconici e amori tristi
L’amore perfetto deve poggiare le proprie radici su quella sensazione di malinconia inevitabile per la fine che verrà.
La tristezza, invece, è un sentimento negativo ed “evitabile”, al contrario della malinconia che “travolge”.
Se un amore ti fa sentire triste significa che le tue sensazioni sono negative e sei, per esempio, potenzialmente pessimista in merito alla possibilità di essere ricambiato.
La malinconia erano i suoni di una notte d’inverno.
-Virginia Woolf
La malinconia, invece, invade lo stato d’animo degli innamorati soprattutto quando il sentimento è perfettamente contraccambiato.
Edgar Allan Poe disse di essere follemente innamorato della malinconia, mentre Consuelo Lazzari la definiva come “una carezza”.
La tristezza come campanello d’allarme
Dal punto di vista prettamente psicologico la tristezza è un avvertimento dell’anima, un sentimento che, esattamente come il dolore fisico, ci mette in guardia da un pericolo esterno.
La sensazione di bruciore che proviamo quando ci scottiamo, è il risultato di una sommatoria di eventi che portano il nostro corpo ad informarci che dobbiamo togliere immediatamente il dito dal fuoco.
Allo stesso modo, provare tristezza significa metterci nelle condizioni di correre al riparo dalla catastrofe emotiva, possibile conseguenza di un intervento esterno.
Dobbiamo necessariamente piangere tutte le lacrime del mondo, al fine di “spurgare” la negatività, oppure allontanarci dal contesto negativo.
In questo senso la tristezza è una sensazione necessaria che ci consente l’elaborazione di un dolore, ad esempio di un lutto.
In un mondo “visual”, nel quale siamo costantemente sommersi da immagini di sorrisi e felicità preconfezionate, il rischio di allontanare da noi la sensazione della tristezza è concreto. Ma, ripetiamolo, la tristezza è un campanello d’allarme necessario e ciò che va eventualmente combattuto è la causa.
Non bisogna eliminare “il pianto” dal ventaglio delle nostre emozioni, ma al contrario accoglierlo tentando di comprenderne i motivi.
Malinconia e tristezza. Sensibilità e psichiatria nella storia
Se è semplice definire la tristezza, è invece piuttosto complicato inquadrare con termini precisi la malinconia.
Emozione necessaria al genio, motore dell’arte, già per Aristotele la malinconia era una malattia indispensabile al poeta.
Per molto tempo trattata come disfunzione corporale, Ippocrate disse di lei che era causata da un eccesso di bile nera, fino ad arrivare alla psichiatria del secolo scorso che trattava la malinconia con salassi, elettroshock e docce fredde. Questa sensazione venne trattata persino con tecniche esoteriche e veri e propri esorcismi.
Durante il Medioevo la malinconia era pensata come la diretta conseguenza di atti peccaminosi, una sorta di punizione divina, che andava trattata con riti che puzzavano di zolfo e umidità di case buie.
Nel Rinascimento vi fu poi chi tentò di inquadrare la malinconia in modo scientifico: Robert Burton, non a caso medico, astrologo e filosofo, scrisse un trattato dal titolo Anatomia della Malinconia, nel quale descrisse quella che oggi definiamo depressione tout court.
Infine arriverà il Romanticismo a rivoluzionare completamente il concetto di malinconia: non più malattia del corpo, non più disfunzione dell’umore, sarà una vera e propria amica, indispensabile allo sviluppo artistico diretto verso quell’ “altrove” nascosto agli uomini costantemente felici.
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