Un caso di psoriasi risolto con la meditazione
Quando la meditazione cura
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Abbiamo spiegato molte volte come un percorso psicologico corretto può essere in grado di risolvere situazioni apparentemente irrisolvibili da un punto di vista unicamente medico, dove il danno è considerato puramente un fatto organico e l’aspetto del “potere” della mente è assolutamente sottovalutato o ignorato. Ricordo che ho avuto il piacere e l’onore di insegnare psicologia medica e clinica in ambito universitario e di avere cercato di spiegare in ambito accademico che un percorso psicologico mirato non è solo utile ma anzi necessario, quindi è materia assolutamente riconosciuta, anche se poco conosciuta nonostante anche il buon numero di pubblicazioni scientifiche relative alla materia.
Un percorso psicologico mirato infatti in determinati casi può risultare assai utile per la risoluzione di determinate patologie fondamentalmente per due motivi: il primo è che si va ad agire direttamente tramite un approccio psicologico su funzioni organiche (vedasi concetti di psicosomatica, psiconeuroendocrinoimmunologia, epigenetica etc.) modificando quindi parametri organici in modo ad oggi spesso ancora non ben compreso seppure non di rado assai maggiormente funzionale di molte terapie “convenzionali” (si tratta comunque semplicemente di applicazione di conoscenze neuroscientifiche, si lavora quindi esclusivamente in campo neuroscientifico); il secondo è che comunque in caso di dimostrata impossibilità di guarigione si insegna e si accompagna il paziente in un percorso di ristrutturazione della malattia non lasciandolo mai solo ed aiutandolo a gestire al meglio tutta la sintomatologia e le problematiche ad essa correlate.
Esiste poi anche un altro punto che troppo spesso non viene adeguatamente considerato che è rappresentato dalle resistenze del paziente alla guarigione o dai vantaggi secondari della malattia, ma di questo potremo parlarne in altre occasioni.
Parliamo quindi oggi di un caso clinico di una paziente che vidi tanti anni fa con grave psoriasi che ne guarì completamente dopo un percorso psicologico ritenuto adeguato e non ne soffrì più sino alla fine dei suoi giorni.
Natalia
Natalia è una donna con una forma grave di psoriasi alle mani. Ha frequenti tagli, sanguinamenti, dolori, e la sua vita è praticamente un inferno perché non può più usare adeguatamente le mani. Deve spesso portare guanti, deve mettere spesso sulle mani i prodotti prescritti, fa molta fatica a cucinare, non riesce più a lavarsi adeguatamente, non riesce insomma ad usare più le mani in modo funzionale.
Ha provato di tutto: farmaci per via orale, pomate e unguenti, terme, e ogni volta la risposta dei migliori dermatologi era sempre che se la doveva tenere perché non esisteva terapia. Andava avanti da almeno un paio di anni in questa triste situazione.
Qualche medico le aveva detto che c’era probabilmente dietro una componente ansiosa, così lei scrupolosamente (e per disperazione) aveva seguito corsi di rilassamento e di meditazione, che tra l’altro le avevano dato diversi effetti collaterali e che aveva dovuto forzatamente sospendere. Le cose sembravano quindi non cambiare in alcun modo e la sua sofferenza si perpetuava.
In realtà la incontrai per caso e le espressi alcune mie opinioni e il mio punto di vista, e lei…mi ascoltò.
Anamnesi e riconoscimento della possibile funzione della sua psoriasi
Una buona anamnesi psicologica va ad integrare quella medica e permette di ottenere moltissime informazioni che sfuggono al comune modello puramente medico fatto di sintomi. Andrebbe quindi sempre fatta, anche insieme a questionari psicologici adeguati.
Natalia era una donna vedova, con un unico figlio sposato e fuori casa, e viveva sola da diversi anni. L’informazione più saliente era che Natalia aveva passato i 65 anni ed era quindi in pensione da circa un paio di anni. La psoriasi era iniziata pochi mesi dopo l’inizio del suo pensionamento.
Il suo lavoro era stato fare la sarta per più di quarant’anni (il lettore attento può già iniziare a sospettare un legame tra il fare la sarta, l’uso delle mani, e le mani come organo bersaglio).
Tramite una tecnica di meditazione ritenuta adeguata per lei (la Analogic Meditation), abbiamo riconosciuto che la sua psoriasi era fortemente legata alla “perdita” del suo lavoro dovuta al pensionamento appunto. Lei aveva lavorato infatti per tanti anni con tessuti di maglieria, pantaloni, giacche, camicie, cappotti etc, sui quali lei aveva lavorato indefessamente sia con ago e filo che a macchina. Questi tessuti avevano la particolarità di provocare sfregamento alle mani. Alla sera, al ritorno a casa dalla ditta dove lavorava, aveva spesso le mani rosse e sfregate.
Natalia però aveva una scopo: lavorava, provvedeva a sé stessa, ed anche provvedeva ad alcune spese del figlio che aveva problemi lavorativi. Insomma, si sentiva UTILE.
Con il pensionamento il suo lavoro era però terminato. Non sapeva più cosa fare. Sentiva che la sua vita era … terminata.
I sintomi alle mani quindi, bersaglio (giustamente) delle terapie mediche che però risultavano totalmente inutili, erano un modo della sua mente per “fingere che lei stesse ancora lavorando”, e che fosse quindi utile a qualcosa e qualcuno. L’inconscio purtroppo non distingue spesso tra “fantasia” e “realtà”, quindi “spara” spesso sintomi spesso amplificandoli relativamente a suoi codici analogici e funzionali.
Bene, capito cosa potevamo e dovevamo fare, lo facemmo.
Il suo percorso
La prima cosa fu proseguire con la Analogic Meditation, per poi aggiungervi la Harmony Meditation.
Il vantaggio principale della Analogic Meditation innanzitutto è che, come già evidenziato in altre pubblicazioni, si ha una ricodifica ed una ristrutturazione di un sintomo, una sindrome, una patologia e quant’altro. Quando una malattia viene quindi mentalmente “ricodificata e ristrutturata”, cambiano la sua visione e l’approccio ad essa. Quindi diciamo che è un approccio meditativo misto basato sia sul sintomo che sulla persona. Meditazione UTILISSIMA nel cronico.
Con Natalia si ritenne utile appunto iniziare da questo approccio per una iniziale gestione dei sintomi ed un cambiamento nell’approccio stesso alla malattia appunto dopo tutta una serie di tentativi terapeutici andati male ed una sua naturale condizione depressiva, di percezione di fallimento e di disperazione.
I sintomi iniziavano a regredire. Passammo poi alla Harmony Meditation che le diede la spinta definitiva (la Harmony Meditation ha tra gli altri l’enorme vantaggio di… portare chiarezza ed armonia – da cui il nome – nella mente del praticante, che poi necessariamente trasporta, ove e quando possibile, nella vita quotidiana.
Natalia comprese quindi che anche se non lavorava più come artigiana usando le mani, poteva ancora essere utile in altro modo. Dato che il fisico e il morale glielo consentivano, scelse di andare ad aiutare in piccole faccende domestiche e a tenere un minimo di compagnia, di portare aiuto quindi dove nessuno lo offriva, a persone anziane in difficoltà, spesso con patologie invalidanti. Quasi a 70 anni, era riuscita a dare un nuovo senso alla sua vita. I sintomi sparirono in pochi mesi.
Natalia è morta a più di 90 anni, ma sino ad allora non ha mai più sofferto di psoriasi né alle mani né altrove.
Natalia e la psoriasi: alcune conclusioni
La prima considerazione è che per Natalia si è trovata la chiave giusta per la risoluzione della sua psoriasi. Individuandone la causa psicosomatica si è trovata la strada giusta.
Abbiamo scelto due metodiche di meditazione dopo che aveva sperimentato inutilmente diverse altre tecniche che per lei non si sono rivelate adatte ma anzi le avevano dato effetti collaterali non indifferenti. Solo una conoscenza adeguata della meditazione permette infatti di proporre la tecnica ritenuta migliore, ed ogni paziente ha la “sua” tecnica maggiormente funzionale.
Come detto più volte, la meditazione va capita e usata correttamente.
Riprendendo tra l’altro alcune considerazioni di Lama Yeshe, “Quando parliamo di meditazione, su cosa è che dobbiamo meditare? Ci deve essere un oggetto di meditazione. Dobbiamo avere chiaro questo fatto. Dobbiamo iniziare la nostra meditazione riconoscendo un particolare oggetto, altrimenti la nostra meditazione andrà persa. Dobbiamo iniziare da qualche parte e qualcuno che ci istruisce deve portarci esattamente dove è il nostro oggetto della meditazione.
Se proviamo a meditare senza avere una chiara idea dell’oggetto della nostra meditazione, spazieremo fuori e ci perderemo. […] Ci siamo persi abbastanza. […] Dobbiamo portare la mente su un oggetto e focalizzarci su quell’oggetto”.
Importantissimo quindi è che ognuno abbia il suo oggetto di meditazione. E non può esistere lo stesso oggetto per tutti.
La seconda considerazione è che corpo e mente sono due facce della stessa medaglia. Come detto più volte, l’uomo (e anche l’animale) non è un insieme di cellule in vitro ma possiede tutta una serie di comportamenti, pensieri, aspettative, immagini, emozioni, interazioni sociali e tutta una serie di caratteristiche che gli permettono di modulare e in alcuni casi molto probabilmente di “creare” e a volte (se il danno è da ritenersi fisicamente reversibile) poter “guarire” da una malattia in base ad un modello esplicativo analogico-funzionale.
L’uomo non è quindi solo un insieme di cellule ma anche una mente, il che ne fa contemporaneamente l’oggetto ma anche il soggetto partecipante di una terapia. Grazie a tutta una serie di conoscenze scientifiche basate sulle neuroscienze siamo oggi appunto in grado di capire sempre meglio se e come una malattia possa essere frutto di una serie di processi irreversibili e quindi semplicemente gestita dove e quando possibile, o se possa anche ottenere risoluzione (come in Natalia) tramite modulazione ad esempio ideoplastica quando non esistono farmaci adeguati. Ogni strada basata su un approccio scientifico è auspicabile e doverosa. Una collaborazione medico-psicologo è quindi, come diciamo ormai da tanto tempo, altamente funzionale e spesso necessaria e ormai irrinunciabile.
Dott. Alessandro Mahony
Psicologo
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