Non c’è gioia più grande che sentirsi a casa dentro di sé
Io, io ed ancora io…
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I legami più profondi non sono fatti né di corde, né di nodi, eppure nessuno li scioglie. – Lao Tse
Nella società occidentale in questo tempo tra le infinite informazioni che sembrano avere un valore esistenziale, l’attenzione, ed ogni nostra energia sicuramente sono puntati nella costruzione, fabbricazione del nostro io.
L’individuo, la sua libertà, la sua affermazione nel suo ruolo lavorativo e sociale, affettivo, il piacere, la soddisfazione, il successo, sono il centro, il focus del nostro pensiero, la felicità stessa è subordinata a ciò che riusciamo a realizzare, ed il tempo sembra esser così esiguo, per cui viviamo con la sensazione di dover sempre correre. Alla ricerca dell’ultimo treno che è già partito e che non è stato ancora preso, chiediamo a questo io performance continue, per non perdere niente di ciò che ci viene proposto. Anche vivendo qualcosa di bello, appagante, profondo non possiamo assaporarlo, gustarlo, viverlo nel giusto tempo, perché già altro ci incalza, in un vortice che ci travolge senza nessuna consapevolezza. E a dimostrazione di questo i famaci più venduti nel mondo occidentale sono gli psicofarmaci contro l’ansia e per dormire.
La nostra esistenza è diventata una lotta contro, contro il tempo, contro l’altro, contro noi stessi, per non rischiare di perdere l’occasione della vita, e anche quando stiamo male non ci prendiamo il giusto spazio per riflettere su cosa, quali motivazioni ci hanno portato dentro ad un vicolo cieco, bensì vogliamo al più presto una soluzione, un cambiamento per tornare a correre.
La frustrazione di un insuccesso, un dolore inaspettato, una malattia, un lutto, un’ improvvisa e duratura sensazione di depressione, una separazione si trasformano non nella possibilità di portare attenzione su chi sono io, su che tipo di vita sto nutrendo, ma in incidenti da cancellare, eliminare.
Riccardo è un imprenditore del nord Italia, ha mille progetti, incastri che lo legano alla sua compagna, tra cui un attività economica importante legata alla campagna. Con Francesca sono insieme da una vita, hanno una figlia. Quando arriva dentro al mio studio, Riccardo è un uomo disperato. Francesca gli ha detto basta, e gliel’ho comunicato proprio quando doveva partire la raccolta di mele, attività del padre di lei, che loro hanno deciso di continuare.
Riccardo non si capacita, di cosa è successo, non si sarebbe mai immaginato un epilogo così, andava tutto bene, insomma una coppia storica, ben voluta, invidiata. Ci vorranno alcune sedute di coppia, perché Francesca racconti un’ altra storia, fatta di solitudine, fatica, mancanza di dialogo, con lei nel ruolo, che fu di sua mamma, di tessere la rete che sosteneva sempre in ogni sua idea, in ogni suo progetto solo Riccardo. Francesca ad un certo punto, causa una sua malattia, dove si è trovata per l’ennesima volta da sola, si è cominciata a chiedere ma io cosa voglio, e la risposta e’ stata non lo so, sicuramente non questo.
E gli uomini se ne vanno a contemplare le vette delle montagne, e i flutti vasti del mare, le ampie correnti dei fiumi, l’immensità dell’oceano, il corso degli astri, e passano accanto a se stessi senza meravigliarsi. – S. Agostino
Il viaggio terapeutico si basa sulla ricerca, scoperta della propria individualità, e nasce sempre da un atto creativo e da un profondo disagio. Da un lato l’intenso desiderio di essere vivi, scoprisi, scoprire l’esistenza, esplorare chi siamo e dall’altro la paura o la consapevolezza di una sconfitta vissuta, del dolore che disarma la personalità, lascia senza fiato, spesso portandoci a dubitare di potercela fare.
Negli anni ho compreso che ogni essere umano attraversa questa dualità, nel suo essere vivo come un bambino che cammina scopre il rischio di cadere, e l’incidente, che ci porta a vacillare, colpisce sempre lì dove siamo più vulnerabili, dove portiamo quella ferita originaria, che in qualche modo ci ha segnato, ci ha costretto a chiuderci, difenderci.
In questa continua protezione perdiamo il senso della vita, il giocare in quanto gioco, il gusto dell’esplorare, perdiamo il ritmo, l’attenzione a noi stessi, ci dimentichiamo di sentire ed ascoltare quale è la nostra verità. Nel diventare abili nell’ascoltare le aspettative di altri, di cogliere cosa apprezzano e cosa invece assolutamente bisogna nascondere, ci illudiamo di essere riconosciuti, amati, che il nostro valore sia prezzato. E soprattutto non rischiamo mai di rimanere soli.
E tutta la vita da adulti oscilleremo come pendolo tra il bisogno di un io che non conosco più ed un io che si riconosce attraverso gli occhi d’oggi altri.
Lisa arriva in studio, è una donna distrutta, l’ultimo attacco di panico l’ha lasciata senza forze, sempre sullo stesso luogo di lavoro, sempre le stesse condizioni, sempre lo stesso gioco, sempre lo stesso capo che chiede e chiede.
In lotta dentro di sé tra il desiderio di dare le dimissioni e la responsabilità di un mutuo col suo compagno, la voglia di andare via, l’impossibilità a farlo, perché il devo contribuire la tiene lì. Solo esplorando con delicatezza quel devo scopriremo insieme che dietro ce n’era uno molto più importante dato tanto tempo prima al padre che l’ha allevata. Non avrebbe mai potuto deluderlo, lui, quel padre, che ha sacrificato tutto perché lei potesse studiare, laurearsi, indirizzandola con fervore li’ dove lui credeva che fosse portata.
E così Lisa ha cominciato presto a rinunciare a se stessa, voleva nuotare, era brava, ha smesso, voleva suonare, era brava ha smesso, non perché il padre glielo chiedesse, ma quello era la cosa giusta da fare. E ogni volta che si metteva sui libri il padre sorrideva, era felice. Lisa ha sacrificato se stessa ad un padre che si sacrificava per lei.
Ed ecco che il capo, simile in tutto al padre, ancora una volta non le permette di dire basta. L’attacco di panico, come urlo soffocato, come ultima possibilità per interrompere un gioco che a Lisa non piace più. Poter restituire a questo padre gratitudine per quello che ha fatto, implica per Lisa oggi poter scegliere quello che fa bene a lei, liberandosi dalla rabbia e dal senso di colpa, aprendosi ad un dolore profondo e in quell’aprirsi dire di sì a se stessa.
Il viaggio terapeutico è un atto di coraggio, è una dichiarazione di amore verso se stessi, e’ un rivolgersi ai propri genitori per salutarli, e’ l’ intento di voler prendere la responsabilità della vita nelle proprie mani, e’ il cominciare a riconoscere cosa restituisce una gioia che rimane viva.
Dott. Stefano Cotugno
Psicoterapeuta Sistemico Relazionale
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