L’uomo delle valigie e l’ascensore
Piccolo racconto di una fobia
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Alcuni giorni fa mi sono trovato a dover svolgere alcune attività di lavoro in un ospedale di provincia. Girando diversi piani e diversi reparti, a me piace alternare un po’ scale ed ascensore per tenermi in forma.
E’ stato durante una di queste giornate di lavoro che mi sono trovato davanti l’omino con le valigie.
Le valigie da portare in reparto
Sto scendendo le scale alla mia fine giornata e arrivato a piano terra incontro un piccolo signore sulla sessantina che porta un paio di valigie pesanti. Mi chiede dove si trovasse il reparto che cercava ed io gli rispondo “al terzo piano”.
L’omino, che chiamerò Marietto, mi dice che deve portare le sue valigie al terzo piano appunto, e mi dice che non sa come fare.
Gli dico che bastava svoltare l’angolo delle scale e avrebbe trovato l’ascensore. Dovevo correre per un mio appuntamento, ma dati i pochi metri, lo accompagno.
Si apre la porta e lui mi dice che non può prendere l’ascensore perchè ha paura.
Cerco di capire
Mi dice con lo sguardo basso, probabilmente vergognandosi, che ha paura di prendere l’ascensore perché una volta ci era rimasto bloccato e per lui era stata una bruttissima esperienza.
Gli rispondo che lo capivo benissimo in quanto essendo psicologo comprendevo perfettamente la sua ansia e che da me non doveva sentirsi giudicato ma solo capito. Mi offro quindi di salire insieme a lui per aiutarlo a gestire la sua ansia e permettergli di portare le sue valigie a destinazione. Mi risponde ancora timidamente che non se la sentiva, perché quando la volta precedente era rimasto chiuso dentro per lui era stata un’esperienza bruttissima e da allora aveva il terrore di entrare in un ascensore. “Non ce la faccio, per me la paura è troppo forte”.
La sua soluzione
Mi chiede se può caricare dentro le valigie e di pigiare io il piano desiderato. In questo modo le valigie sarebbero salite da sole mentre lui saliva velocemente a piedi le scale. Le avrebbe così trovate e semplicemente “ritirate” al suo piano, dato che appena l’elevatore arrivava al piano, apriva la porta e lì vi restava (certo c’era anche la possibilità seppure remota che qualcun altro nel frattempo l’ascensore lo richiamasse, ma data l’ora tarda era sinceramente molto difficile).
Io schiaccio il pulsante del 3 piano e ritiro velocemente la mano. Lui parte e sale le scale. Lo saluto sorridendo.
Esco pieno di compassione per Marietto. Quella compassione che generalmente noi che facciamo questo lavoro “dovremmo” avere perché sappiamo cosa c’è dietro a queste cose, e che le fobie e tutto ciò che riguarda il nostro lavoro non sono capricci ma celano dietro spesso tanta sofferenza.
Cosa potrebbe fare per la sua fobia?
Posto che io non so se questo gentile e simpatico signore stia lavorando sul trauma subito e sulla conseguente fobia facendosi seguire da un professionista oppure non lo stia facendo, e che ho preso questo breve incontro semplicemente come spunto di riflessione sperando possa essere utile a chi potrebbe avere bisogno, la risposta è: tante cose.
Si potrebbe cercare di capire quanto tempo è passato dal suo trauma, quante volte ha evitato un ascensore e quante volte invece ha provato a risalirci sopra e con che risultati.
Si potrebbe fargli fare piccoli passi come un piano alla volta e cercare di ridargli sicurezza.
Si potrebbe buttarcelo dentro e schiacciare lo stop fino a farlo arrivare ad un picco di ansia elevatissimo che se non gli viene un infarto poi l’ansia si estingue.
Si potrebbe riempirlo di ansiolitici ed antidepressivi.
Si potrebbe cercare se la sua fobia ha un’origine inconscia, ad esempio lo spazio chiuso potrebbe rapresentare una situazione o una persona opprimente o così via.
Si potrebbe cercare se lo spazio chiuso ha per lui un significato simbolico particolare.
Si potrebbe cercare di capire se il non prendere più l’ascensore gli crea vantaggi secondari.
Si potrebbe capire se questo è il suo reale problema o se questa paura ne nasconde altre di altro genere.
Si potrebbe…tante cose. La coa più importante è sempre e comunque fare un inventario dei costi e dei benefici di una terapia. Marietto ha solo questo disturbo? Ha una certa età e non esce mai di casa e prende l’ascensore per fare 2 piani una volta ogni cinque anni quindi li può anche fare a piedi? Oppure Marietto lavora al 10 piano di un palazzo e sarebbe quindi obbligato a vincere la sua paura?
A che prezzo quindi una terapia, a che prezzo sia umano che economico? Se prende l’ascensore una volta all’anno serve un percorso psicoanalitico o è meglio un ansiolitico? O forse meglio ancora qualche mese di terapia cognitivo-comportamentale?
Per fare un altro esempio, se io ho paura dei serpenti ma li trovo solo in Africa o su una alta montagna dove non vado mai, ed ho comunque una personalità ben stutturata e non ho altri problemi particolari, ha senso che segua un percorso lungo e impegnativo?
E, least but not least…quanti anni ha questo simpatico signore ? Vale la pena di andare a ribaltarsi l’anima alla sua età?
C’è una cosa che tutti noi, anche se forse pochi se lo ricordano, abbiamo studiato tra gli elementi di base della psicologia, che è: “quale psicoterapia e per chi”, e che la cosa più importante ripetiamo è valutare i costi e i benefici in base a tutta una serie di fattori che il professionista qualificato prende in esame.
Siamo tutti Marietto
Esatto, siamo tutti Marietto.
Perché tutti abbiamo paura di qualcosa, abbiamo qualche problematica di tipo psicologico o relazionale, abbiamo idee e pensieri disfunzionali, sentimenti ed emozioni che talora, anzi molto più spesso di quanto non crediamo, non riusciamo a gestire.
Camminiamo per la strada e guardiamo gli altri, a volte pensando che “gli altri” siano “perfetti”, e che siamo noi che abbiamo qualche problema mentre gli altri stanno bene. Invece no. Come diceva Basaglia, “da vicino nessuno è perfetto”.
Marietto è stato bravissimo. Pur probabilmente vergognandosi, mi ha chiesto aiuto confessandomi la sua fobia. Doveva salire a quel piano e portare cose importanti porbabilmente alla moglie o a qualche figlio ricoverato. Doveva farlo per forza. Il caso ha voluto che ha trovato qualcuno, in questo caso me, che lo ha capito. Purtroppo avrebbe potuto trovare qualcuno che lo avrebbe giudicato e sminuito, pensando fosse debole o stupido.
Perché è questo il problema più grande in questi casi: pensare che chi chiede aiuto per queste cose possa essere psicologicamente debole. Una persona senza carattere.
E invece no, siamo tutti come Marietto perché TUTTI abbiamo qualcosa da risolvere, delle paure da affrontare, e la maggior parte di noi si vergogna a mostrarle agli altri.
Questo purtroppo è tuttora incancrenito a livello educativo e a livello sociale. Abbiamo modelli di “perfezione” che ci vengono continuamente perpetrati da ogni versante nella società: non devi piangere, devi essere forte, non ci pensare, hai tante cose come fai ad essere depresso…e tutta una serie infinita di stupidaggini per cui già da piccoli cresciamo con idee e atteggiamenti disfunzionali e cresciamo con la paura di mostrarci per quello che realmente siamo. NON POSSIAMO essere perfetti, e invece molto probabilmente pensiamo che “se non siamo perfetti non possiamo essere amati”, e che se non appariamo belli e sicuri allora ci denigreranno e non ci vorranno.
E invece è esattamente il contrario. La “compassione” dovrebbe essere materia scolastica. E dovremmo tutti poter dire in caso di bisogno, senza vergognarci, a chiunque e senza paura di essere giudicati: “ho paura di fare questa cosa, mi aiuti?”.