
Abbracciare il perdono per sciogliere i nodi
Riflessioni sul perdono
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Il perdono libera l’anima, rimuove la paura. È per questo che il perdono è un’arma potente – Nelson Mandela
Il perdono scioglie i nodi, scioglie le tensioni e i “fili tesi”. Il perdono riesce ad infrangere i blocchi, anche quelli che ci portiamo dietro da anni. Blocchi fatti di sofferenza, che nascondono rabbia, sensi di colpa, vergogna… emozioni di disagio che continuano a perpetuarsi e a riverberarsi all’infinito attraverso la continua ruminazione sul torto subito. Teniamo stretta la presa, appesantiti da una zavorra che sembra impossibile lasciare andare.
Ne va di mezzo il nostro orgoglio, nella convinzione che, se molliamo la rabbia, permettiamo all’altro di svalutarci e di trattarci male, permettiamo all’altro di non rispettarci, di “farci sentire” vulnerabili e sbagliati.
Ebbene, questa convinzione, in realtà, nasconde un grande autoinganno: l’idea che il nostro valore venga decretato dall’esterno, dalle persone che sono fuori di noi, a cui attribuiamo il potere di darci conferme o disconferme sulle nostre qualità.
I flussi del perdono
Quando ci sentiamo sofferenti, abbiamo bisogno di chiederci quali parti della nostra vita sono bloccate da un’assenza di perdono. Sì, perché blocchi e sofferenze per sciogliersi e liberarsi necessitano del perdono, che rappresenta un atto di compassione verso noi stessi e/o verso gli altri.
Tre sono i possibili flussi di questo processo:
- Perdono verso se stessi;
- Perdono verso gli altri;
- Perdono che viene dagli altri, che gli altri ci concedono.
Questi tre flussi spesso sono strettamente interconnessi. L’incapacità di perdonare qualcuno, ad esempio, nasconde frequentemente una difficoltà a perdonare se stessi. Così, succede che, quando siamo arrabbiati con una persona da cui abbiamo (o pensiamo di avere) subito un torto, a ben vedere, possiamo scoprire che siamo noi l’oggetto della nostra stessa rabbia; possiamo accorgerci che c’è una parte di noi che non stiamo perdonando: ci critichiamo e ci sentiamo in colpa per essere stati così vulnerabili da permettere che quel torto ci fosse inflitto, ci giudichiamo in maniera negativa per non essere come pensiamo di dover essere. Pertanto, abbiamo bisogno di perdonare noi stessi per riuscire a perdonare l’altro: solo quando riusciremo ad accogliere la nostra parte più fragile e a darle dignità di esistere, quando riusciremo ad accettare che siamo esseri umani imperfetti e fallibili, e che, nonostante questo, siamo persone di valore, potremo permetterci di perdonare anche chi ci ha colpito o ci ha trattato male; a quel punto l’atto del perdono non metterà più in discussione il nostro valore, che rimarrà saldo a prescindere.
Il perdono di se stessi è anche connesso alla possibilità di accogliere il perdono che ci viene dagli altri. Così, solitamente, quando non riusciamo a perdonare noi stessi, abbiamo difficoltà ad accogliere la possibilità di essere perdonati, perché essere perdonati per un torto commesso, significherebbe ammettere di aver sbagliato e quindi mostrare la propria vulnerabilità di fronte all’altro. Per accogliere il perdono, pertanto, è necessario perdonarsi per gli sbagli commessi, considerandoli solo errori che tutti potrebbero commettere e rimanendo sicuri del proprio valore.
In conclusione, per perdonarsi, perdonare ed accogliere il perdono c’è bisogno di darsi il permesso di sbagliare, di non essere perfetti, e di differenziare il “fare” (gli atti compiuti e i comportamenti tenuti che possono anche rivelarsi sbagliati) dall’”essere” (che rimane comunque integro e “ok”, indipendentemente dai comportamenti messi in atto), in modo che, anche quando sbagliamo o subiamo un torto, non ci sentiamo colpiti nella nostra identità e nel nostro nucleo più profondo.
Il processo del perdono
Il perdono non è un atto singolo, ma è un processo e il primo passo di questo processo è decidere di perdonare, avere intenzione di perdonare. La decisione di perdonare o di accettare il perdono, è una decisione di benessere per noi stessi, per liberarci da un peso, da un malessere e da un disagio profondo.
Ma proprio perché è un processo, non si può decidere di perdonare da un momento all’altro e il perdono non può essere una forzatura, un’imposizione, non si può perdonare perché si pensa di non avere alternative; il perdono non può essere accelerato o indotto, non può essere conseguenza del compiacere le aspettative degli altri. L’unica scelta che si può compiere è prendere la direzione del perdono: un’intenzione che si accompagna solitamente ad un senso di sollievo, perché permette di uscire dall’autocritica e dal senso del dovere, consente di abbandonare l’idea di dover perdonare e di non sapere come farlo.
Perdonare è una scelta coraggiosa, una scelta tra altre possibili scelte, una scelta che decidiamo consapevolmente di perseguire.
Quando, al contrario, decidiamo di non perdonare, la mente continua a ruminare sul torto subito e la direzione che prendiamo è quella della vendetta o dell’autopunizione. L’intenzione è quella di punire qualcuno o noi stessi, facendo rimanere attivo il torto subito; perdonare, in questi casi, viene vissuto come una dimostrazione dell’incapacità di farsi rispettare, una dimostrazione di incoerenza davanti a se stessi e agli altri.
Quando perdoniamo, invece, usciamo da questo circolo vizioso e ci apriamo all’impermanenza, lasciamo andare la rigidità, la rabbia, il rancore, o il senso di colpa, l’identificazione con il torto subito, e ci apriamo al cambiamento, al fatto che le cose possano cambiare con il tempo e che, pertanto, ad un certo punto, possiamo lasciar andare.
Perdonare non vuol dire, tuttavia, dimenticarsi dell’ingiustizia subita, approvarla o giustificarla, non significa ‘passarci sopra’, facendo finta che non sia successo niente; significa lasciarla andare, lasciarla fluire, invece di aggrapparsi ad essa. Perché la rabbia crea dipendenza e consuma molte delle nostre energie, portando ad una continua ruminazione sul torto subito e sulla persona che lo ha commesso; la rabbia continua a tenerci legati indissolubilmente all’altro, ad averlo sempre tra i nostri pensieri con un senso di malessere profondo, senza permetterci di trovare serenità e pace interiore.
Il perdono contiene la parola “dono”, perché è questo che facciamo a noi stessi e/o all’altro quando perdoniamo: doniamo qualcosa che non richiede reciprocità, che esce fuori dalle logiche del “dare e avere”. È per questo che perdonare una persona non significa necessariamente riconciliarsi (Proietti, 2024); ci sono situazioni in cui la riconciliazione non è possibile, perché la persona che ci ha fatto un torto non cambia atteggiamento e comportamento, per cui dobbiamo rassegnarci ad interrompere una relazione impossibile, nonostante il perdono e l’abbandono della rabbia.
Perdonare per aprirsi al presente
Buddha parla del perdono come mezzo di guarigione dalle grandi potenzialità curative che permette di camminare verso la pace interiore. Perdonare permette di riprendersi il potere della propria vita e di andare avanti, accettando il passato e sganciandosi da esso e da tutto ciò che abbiamo subito; consente di superare i traumi che ci lasciano inchiodati a ciò che abbiamo vissuto, per aprirci al qui-ed-ora del presente. Così, ad esempio, perdonando i propri genitori per ciò che di difficile abbiamo vissuto “a causa loro”, li liberiamo e ci liberiamo dalle responsabilità e dalla sofferenza.
Perdonare significa rinunciare a ogni speranza di un passato migliore – Jack Kornfield (2008)
Il perdono nelle piccole cose
Non sempre i torti subiti sono significativi e rappresentano eventi importanti della nostra vita; talvolta si tratta di piccoli torti quotidiani.
A questo proposito, è molto esplicativo un episodio raccontato dallo scrittore Gianluca Gotto (2021) nel suo libro “Succede sempre qualcosa di meraviglioso”. Il protagonista, Davide, si trova a percorrere le strade cittadine in bicicletta mentre lavora come rider per le consegne di cibo di un food delivery. In una di queste occasioni, viene insultato e subisce l’ira di un automobilista infastidito dalla sua presenza sulla strada, che lo costringe a rallentare. La maggior parte delle persone si sentirebbe oggetto di un’ingiustizia e reagirebbe immediatamente con rabbia, insultando a sua volta l’automobilista per il torto subito. Davide, invece, si ferma ad osservare l’uomo, facendosi scivolare addosso i suoi insulti e sentendo un sincero moto di compassione nei suoi confronti, nel notare il suo stato emotivo di forte ansia, la sua agitazione e il suo evidente stato di malessere. Aveva davanti “un uomo svuotato di ogni forma di amore per la vita e per se stesso”. Davide è in perfetta sintonia con se stesso, reduce da un viaggio all’estero che ha rappresentato per lui anche un importante viaggio interiore; questo lo ha portato a vivere la vita in maniera più consapevole, godendo di ogni momento; grazie a questa trasformazione interiore, riesce a guardare con compassione l’automobilista e a perdonarlo immediatamente per gli insulti subiti a dimostrazione del fatto che, per riuscire a perdonare, è necessario rimanere centrati e a contatto con il proprio valore, senza farsi realmente “colpire e affondare” dalla rabbia e dal comportamento altrui.
Conclusioni
Il perdono è un percorso di liberazione interiore che permette di sciogliere le catene della rabbia e del risentimento, restituendo a chi lo pratica la possibilità di vivere con maggiore leggerezza e autenticità. Non è un atto di debolezza, ma una scelta consapevole e coraggiosa, che nasce dal riconoscimento del proprio valore indipendentemente dagli eventi subiti. Perdonare non significa dimenticare o giustificare il torto, ma accettare che il passato non può essere cambiato e scegliere di non permettergli di condizionare il presente. È un dono che facciamo prima di tutto a noi stessi, per riconquistare la pace interiore e aprirci a nuove possibilità di crescita e di benessere.
Per concludere, mi sembra emblematico riportare un episodio della vita di Gandhi che dimostra il forte impatto che può avere il perdono nella vita delle persone (Compassion Mind Italia, 2025).
Ci fu un periodo della sua vita giovanile in cui Gandhi aveva comportamenti trasgressivi e ribelli: commetteva piccoli furti, fumava, mangiava carne in contrasto con il credo religioso della sua famiglia. Ad un certo punto, però, decise di redimersi raccontando delle sue azioni al padre. Con suo grande stupore, il padre reagì a queste rivelazioni non mostrando ira, bensì dolore: lo abbracciò e lo perdonò. Nella sua autobiografia Gandhi scriverà: “quella fu per me la prima lezione d’ahimsà (non violenza)”. Sembra proprio che questo episodio della sua vita in cui ricevette il perdono del padre, fu una delle leve che lo portò a fondare poi il movimento della non violenza per cui è così noto.
Bibliografia
Compassion Mind Italia. Perdono, autocritica e libertà. YouTube, 08/01/2025, durata 01:05:55.
Gotto, G. (2021). Succede Sempre Qualcosa di Meraviglioso. Milano: Mondadori.
Kornfield, J. (2008). Il cuore saggio. Milano: Corbaccio.
Proietti, G. (2024). Il perdono come terapia da (consultato in data 22/02/2025).
https://compassionatemind.it/
Dott.ssa Claudia Cioffi
Psicologa e Psicoterapeuta Analitico Transazionale
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