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L’utilizzo della meditazione nella terapia del dolore

Ricerca scientifica e applicazioni

Image by Jametlene Reskp on Unsplash.com


Vogliamo iniziare, come già preannunciato, una serie di articoli sulle caratteristiche e funzionalità pratiche e terapeutiche della meditazione. Gli scopi sono molteplici.

Innanzitutto fare conoscere maggiormente e osiamo dire anche seriamente a molte persone che la meditazione è una terapia che ha moltissimi benefici nel campo della salute. La seconda motivazione è divulgarne le molteplici possibilità di utilizzo.

Da qui ne segue il tentativo di fare comprendere al grande pubblico che queste tecniche possono appunto rivelarsi molto efficaci sotto moltissimi punti di vista con effetti non di rado migliori dei farmaci e comunque spesso con una riduzione o abbandono dei farmaci stessi. Si hanno quindi evidenti vantaggi che purtroppo non molto spesso vengono riferiti (o snobbati) a scapito di una corretta e funzionale informazione scientifica. La meditazione è quindi una risorsa a nostro parere irrinunciabile per le numerose qualità che la ricerca evidenza sempre più.

Vogliamo iniziare da un argomento che tocca moltissimo troppe persone in diversi ambiti, cioè il dolore. Dolore sia acuto che cronico in diverse occasioni, sindromi, patologie. Da diversi anni con la Dott.ssa Emanuela Grazzini, psicologa e psicoterapeuta ad indirizzo biosistemico, conoscitrice delle tecniche di EMDR e della psicologia del dolore, si sta portando avanti un progetto appunto di Psicologia del Dolore fatto di informazione, convegni e seminari, relazioni e collaborazioni con  diversi professionisti medici e specialisti, scambi di metodiche e progressi, inviti di pazienti, presentazione di casi e numerose altre iniziative. Lo scopo principale è quello di sensibilizzare le persone al fatto che nella terapia del dolore sia acuto che cronico in molti casi è fondamentale ed irrinunciabile un percorso psicologico mirato che manca ad oggi nelle strutture della terapia del dolore e delle patologie croniche e invalidanti, quando sarebbe invece in realtà necessario e di grande utilità o anche decisivo a volte nella risoluzione della problematica stessa. Le neuroscienze ci permettono ogni giorno di fare passi enormi in questo campo, quando dall’altra parte c’è invece ancora troppo la concezione che lo psicologo nella malattia cronica, non ci stanchiamo mai di ripeterlo, sia solo al massimo un appoggio e non invece reale utilità.

Iniziamo quindi con questo articolo una serie di riassunti e spunti su come le tecniche di meditazione nella ricerca neuroscientifica abbiano e stiano dando notevoli benefici e sempre maggiori risultati nei pazienti che le praticano assiduamente e seriamente. Ho scelto come primo approccio una sorta di metodo storico, partendo dai primi articoli reperibili sulle pubblicazioni scientifiche ritenute appropriate cercando così di fare una sorta di storia “ad episodi” puntando l’attenzione su alcuni di loro che possiamo ritenere significativi per la terapia del dolore appunto.

Ricordiamo assolutamente che non esiste un tecnica di meditazione “superiore” ad un’altra, bensì ciò che conta sono lo scopo e il piacere del praticarla (oltre alla volontà di farlo costantemente), quindi tutto ciò che leggerete va inteso come riferito a “tecniche di meditazione” in generale. Spesso verranno citate tecniche specifiche: starà al potenziale praticante capire se per lui quella tecnica può funzionare in base allo scopo oppure se anche un’altra tecnica possa portare agli stessi risultati e perché. Le cose veramente importanti sono infatti lo scopo per cui la si sceglie, l’apprendimento, e la pratica costante con un insegnante qualificato ed esperto, fondamentalmente molto meglio se uno psicologo o un lama, in quanto gli effetti collaterali delle tecniche di meditazione possono non essere pochi, e in alcuni casi si possono avere anche peggioramenti delle sindromi se non sono state fatte adeguate valutazioni preliminari (magari faremo un discorso anche su questo). Ognuno è un mondo a parte, ed è questo il segreto e la reale utilità della meditazione.

Mettetevi quindi comodi e …buon viaggio a chi vorrà passare un po’ di tempo leggendo la storia di un po’ di rilevanti ricerche scientifiche sull’utilizzo della meditazione nella terapia del dolore.

In realtà…sarà una storia lunga. Ma chi arriverà in fondo (in realtà si spera molto prima) scoprirà che la meditazione nella terapia del dolore cronico può essere considerata in assoluto una delle terapie migliori. Una risorsa irrinunciabile.


Due parole sul dolore

Prima di cominciare il viaggio diciamo soltanto due parole sul dolore fisico. Che cosa è il dolore fisico? È una esperienza sensoriale molto complicata. E’ una sensazione soggettiva complessa e spiacevole, derivata generalmente (ma non sempre) da stimoli sensitivi e modificata dalla memoria e dalle emozioni, e generalmente (ma non sempre) associata ad un effettivo danno tissutale. La risposta al dolore coinvolge quindi diverse regioni cerebrali.

Vediamo quindi che il dolore può avere diverse cause e diverse funzioni. A differenza del dolore acuto, che costituisce fondamentalmente un segnale dovuto alla presenza di stimoli nocivi associato ad un potenziale danno ai tessuti e agli organi, il dolore cronico perdura a lungo dopo che è cessata la sua utilità come segnale d’allarme. Le conseguenze psicologiche sono purtroppo che esso porta generalmente ad una serie di cambiamenti fisici e psicologici significativi compromettendo la vita sociale, le capacità fisiche, emozionali e altresì lavorative di chi soffre.

Il dolore ha quindi tanti aspetti cognitivi ed emotivi. Abbiamo pensieri e credenze sul dolore, e questo lo modula tantissimo. Addirittura lo crea quando non esiste. Pensate ad un bambino che ha paura delle iniezioni che sentirà il dolore dell’iniezione ancora prima che venga effettuata.

Abbiamo poi soglie del dolore diverse per ognuno. Se io mi taglio un dito affettando le cipolle, per me può essere il dolore di un banale graffio, per qualcun altro una “tragedia”, magari aumentata della vista stessa del sangue, dalla rabbia, dal pensiero di essere stato stupido e così via. I pensieri e le emozioni ne modulano quindi la percezione (ed è assolutamente compito degli psicologi lavorarci sopra).

La soglia del dolore poi, può anche essere allenata. In seguito ad anni di meditazione personale io personalmente ad esempio riesco ad andare dal dentista e farmi devitalizzare un dente senza anestesia, con grande sorpresa degli amici dentisti (e risparmio economico del costo dell’anestesia; ricordiamo tra l’altro che diverse ricerche hanno mostrato come per coloro che praticano tecniche di meditazione le spese mediche siano più ridotte…).

Il dolore curiosamente e stranamente può anche essere ricercato e fonte di piacere. Possiamo vederlo ad esempio nel sadomasochismo, dove al piacere per il dolore fisico portato all’estremo si ha anche una componente emotiva basata sul piacere stesso di essere magari puniti per le proprie colpe o peccati o simili. Anche qui quindi molto importanti gli aspetti psicologici ed emotivi.

Ultimo, ma non ultimo…il dolore può essere provocato senza una causa partendo semplicemente dalla nostra centralina interna, cioè il nostro cervello, per tutta una serie di motivi. Ci sono ad esempio casi in cui un soggetto ha subito danni anche diversi anni prima e che ora per una questione puramente “mnemonica” (magari dovuta a stress o a situazioni simboliche) si ha una “riattivazione” del dolore associato (e qui anche l’ipnosi può funzionare benissimo…).

Oggi poi va molto di moda parlare di fibromialgia con l’erratissima concezione che sia una sindrome dolorosa da combattere invece che da comprendere, e gli psicologi sanno assolutamente molto bene che la via maestra per uscire da questa sindrome oggi meglio identificata come “Sindrome da Ipersensibilità Centrale” sta nell’ elaborazione e risoluzione delle cause psicotraumatiche anche vecchie di molti anni che l’hanno provocata, e che il cervello ha appreso a “segnalare indiscriminatamente” sensazioni dolorose generalizzate senza alcuna causa organica riconosciuta. La prova sta appunto nel fatto che un modello biopsicosociale funziona molto bene nella risoluzione della fibromialgia, e la meditazione come la Harmony e le tecniche di EMDR funzionano molto bene tanto da poter praticamente essere considerate le tecniche di elezione per il trattamento.

Comunque, quando si lavora con il dolore cronico, bisogna sempre cercare di lavorare sia sugli effetti che sulle cause. Il problema è che quando le cause non si conoscono o non si sanno fermare, si può solo gestire il dolore e, sinceramente, sperare che ciò che …ha provocato il fuoco possa essere identificato e/o reso inoffensivo. 


Come funziona la meditazione nella riduzione del dolore?

Perchè le tecniche di meditazione funzionano nel dolore? Perchè sono molto efficaci? Su che cosa agiscono?

Prima di cominciare il viaggio vero e proprio, cerchiamo di fare capire un poco al lettore in che modo le tecniche di meditazione (in generale) influiscono sul dolore, a volte anche meglio di determinati farmaci.

Le neuroscienze e la neurobiologia ci indicano effetti ad esempio in queste aree: modulazione del sistema nervoso centrale e neuroplasticità, regolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, attivazione del sistema di oppioidi endogeni… e tanto altro. Dalla rassegna della letteratura si vede chiaramente come la meditazione sia ampiamente studiata in pazienti con malattie croniche. Come dicevamo, esistono numerose tecniche di meditazione, ma il processo di base risulta essere fondamentalmente lo stesso, e diversi studi portano a risultati simili.

Alcune ricerche con tecniche come la Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI) e la Magnetoelettroencefalografia (MEG) hanno ad esempio evidenziato attraverso quali meccanismi psicofisiologici sia possibile la riduzione del dolore: si ha un aumento delle onde Alpha nelle regioni occipitali, parietali e temporali; un incremento del flusso cerebrale nella corteccia prefrontale; una ridotta attività del talamo, dell’insula e della corteccia cingolata; una riduzione dell’attività ippocampale; una diminuzione della frequenza respiratoria; un decremento del lattato nel plasma; un incremento della resistenza cutanea basale… e tanto altro, tutti fattori che permettono tra le altre cose una disgiunzione del dolore dalla componente affettivo/valutativa riducendo la sofferenza ad esempio (anche) attraverso una nuova valutazione cognitiva della sofferenza stessa.

In realtà l’elenco dei meccanismi di funzionamento è veramente lungo, e si ha praticamente una serie di effetti incrociati e sinergici nella modulazione cerebrale e dei sistemi nervoso centrale e periferico che sarebbe molto lungo da spiegare (nel senso che il cervello non è esattamente “seriale”, è invece molto… multifunzionale, e questa ad esempio è una delle difficoltà nel trovare farmaci adeguati quando in una patologia sono coinvolti più sistemi – ad esempio già nella depressione “puntare” tutto sulla serotonina ha molto spesso una efficacia pratica molto limitata, lavorare con tecniche di meditazione invece può avere effetti molto più “ampi” in quanto si va da agire in maniera multifattoriale). Cercheremo quindi di approfondire meglio le vie attraverso le quali la meditazione “insegna” al cervello il controllo o la gestione del dolore descrivendole magari caso per caso nei vari articoli durante il nostro “viaggio”. Oltre al “metodo storico longitudinale” quando può essere utile cercheremo di raccontare l’utilità delle tecniche di meditazione “per patologie” (esempio nella terapia del cancro, nella cefalea, nella fibromialgia, nella pratica dentistica etc.).

Speriamo sia un viaggio piacevole e interessante. Lo scopo finale del progetto di Psicologia del Dolore alla fine, per come è stato concepito, è quello di cercare di poter vivere in un mondo…con meno dolore, sia fisico che psicologico.


Dott. Alessandro Mahony Autore presso La Mente Pensante Magazine
Dott. Alessandro Mahony
Psicologo
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