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I comportamenti innati

Esperienze precoci predeterminate: tra imprinting e attaccamento


Un comportamento innato è una risposta istintiva propria di ogni specie animale, uomo incluso.

Si tratta della capacità di generare comportamenti adeguati in risposta a un mondo di cui non si ha ancora avuto esperienza.

Questi comportamenti sono controllati da fattori genetici e vengono trasmessi di generazione in generazione.

Non sono influenzati da esperienze precedenti, da imitazioni, o dall’apprendimento propriamente inteso.


I comportamenti innati negli animali

È stato da sempre osservato che gli animali sono in grado di generare numerose risposte istintive e comportamenti adeguati in risposta alla realtà di cui non hanno ancora fatto esperienza.

Un grandissimo numero di studi in materia è stato effettuato sui giovani uccelli.

I pulcini, per esempio, vengono alla luce dotati di un elaborato corredo di comportamenti innati: il primo comportamento complesso che mettono in atto è quello di uscire dall’uovo.

A seguito della schiusa, molti altri comportamenti dei piccoli appaiono pre-programmati.

Tutta questa serie di capacità si rivela innata dal momento che non è trascorso un tempo adeguato affinché l’animale possa apprenderla.


Gli studi di Lorenz sull’imprinting

Konrad Lorenz tramite le sue osservazioni e i suoi studi sul comportamento delle oche (Studies in Animal and Human Behaviour, 1970) dimostrò che i paperi, nel primo giorno di vita dopo la schiusa, seguono il primo grande oggetto in movimento che vedono e sentono vicino a sé.

Solitamente si tratta della madre, ma Lorenz scoprì che in questo primo momento della vita i piccoli possono assumere come punto di riferimento un’ampia gamma di oggetti, sia animati, sia inanimati.

L’aspetto che destò più sorpresa fu che lo stesso Lorenz potesse diventare l’oggetto di riferimento per i paperi.

Si parla in questi casi di imprinting.

Esso è definibile come una particolare forma di apprendimento che avviene in un periodo specifico della vita, generalmente subito dopo la nascita, chiamato fase sensibile o periodo critico. Una volta superato questo momento l’imprinting non può più avvenire per tutto il corso della vita.

L’animale che subisce l’imprinting, da parte di altri animali della stessa o di diversa specie, o da oggetti è definito imprinted.

La finestra temporale per l’imprinting nei paperi è inferiore a un giorno: se in questo arco temporale non ricevono uno stimolo adeguato non saranno mai più in grado di costruire adeguati rapporti parentali.

Allo stesso modo, una volta che si verifica, l’imprinting è irreversibile: i paperi continueranno così a seguire la propria mamma oca, oppure oggetti impropri, che siano maschi della stessa specie, persone o oggetti inanimati.


L’imprinting nei mammiferi

Molti mammiferi, alla nascita, presentano sistema visivo e uditivo poco sviluppati.

In questi casi l’imprinting materno si baserà principalmente su stimoli olfattivi e gustativi.

Per esempio, i cuccioli di ratto, durante la prima settimana di vita, sviluppano un’attrazione per l’odore emanato dai capezzoli della loro mamma.

Si tratta di una preferenza che durerà per tutta la vita.

L’imprinting sviluppato in questo modo, definibile come imprinting filiale, assume una funzione importante nello sviluppo del comportamento sociale e delle preferenze sessuali durante tutto l’arco della vita dell’animale.

L’imprinting, dunque, permette di creare un legame esclusivo tra genitori e prole, in maniera istintiva e rapida.

Ma questa modalità di legame e comportamento, fondamentale per la sopravvivenza e per l’evoluzione, non è immune da limiti funzionali.

Pensiamo alle pecore, per cui il fenomeno dell’imprinting gioca un ruolo molto importante per la modalità di vita in gregge che hanno.

Appena dopo il parto le madri vivono un momento critico di 2-3 ore nel quale registrano l’odore dei propri agnelli.

Dopodiché le femmine respingeranno gli approcci di tutti gli altri agnelli, il cui odore non venga riconosciuto.

E come le pecore tantissimi altri mammiferi presentano modalità simili di funzionamento.


Gli studi di Harlow

Le scoperte suddette hanno trovato applicazione anche nello studio sui primati, grazie alle ricerche di Harry Harlow e dei suoi colleghi dell’Università del Wisconsin.

L’esperimento più famoso di Harlow, che gettò le basi della teoria dell’attaccamento e rivoluzionò il modo di concepire i sistemi motivazionali degli esseri umani, venne compiuto proprio in questo ambito di ricerca.

Harlow aveva prelevato dei cuccioli di scimmia nati da poche ore e aveva iniziato ad allevarli in assenza della loro madre naturale.

Nella più nota delle sue sperimentazioni i piccoli venivano messi a contatto con due “madri finte“, dei surrogati materni: la prima era fatta con un telaio di legno, rivestito con una rete metallica sui cui era fissato un poppatoio da cui il piccolo avrebbe potuto nutrirsi, la seconda aveva una forma molto simile, ma era rivestita di un tessuto di spugna morbido ed era priva di qualsiasi fonte di nutrimento.

In questa situazione i cuccioli di scimmia preferivano di gran lunga la seconda madre surrogata.

Andavano a nutrirsi dal poppatoio sulla madre surrogata di legno e metallo, ma appena finito di mangiare si aggrappavano alla madre di spugna morbida e passavano la maggior parte del tempo con essa.

A seguito di queste osservazioni Harlow ipotizzò che le scimmie neonate avessero un bisogno innato di cure materne e di vicinanza, assimilabile a quello fisiologico di nutrimento.


Comportamenti innati: contributi recenti e conclusioni

A seguito delle ricerche di Harlow, nel tempo, sono stati compiuti moltissimi studi sui comportamenti endogeni nei cuccioli di scimmia.

In particolare, sono stati forniti contributi di ricerca sulla reazione di paura dei piccoli alla presentazione di un serpente, o sulla risposta di looming.

Quest’ultima è una reazione di paura causata dal rapido avvicinamento di un grosso oggetto che rappresenta una minaccia incombente.

Si tratta ancora una volta di reazioni istintive e comportamenti innati, che non vengono acquisiti, né insegnati.

Come intuibile, molti dei comportamenti innati osservati nei primati corrispondono a comportamenti affini riscontrabili nei neonati umani.

Le emozioni primarie (gioia, tristezza, rabbia, paura, disgusto e sorpresa) giocano in questo senso un ruolo fondamentale: si tratta infatti di risposte istintive innate, che vengono manifestate fin dai primi momenti di vita, come reazione agli stimoli provenienti dal mondo esterno.

Nel complesso, dunque, queste osservazioni dimostrano che molti comportamenti complessi e risposte emotive sono prestabiliti nel sistema nervoso, prima che si verifichi qualsiasi esperienza significativa.

Di conseguenza, certe tipologie di esperienze precoci, fondamentali per un normale sviluppo, risulterebbero predeterminate.

Si può dunque concludere sostenendo che i comportamenti innati si siano probabilmente evoluti con l’obiettivo di garantire ai neonati maggiori e migliori possibilità di sopravvivenza nel mondo pericoloso nel quale trovano accoglienza.


Bibliografia


Neuroscienze. Quarta edizione italiana condotta sulla quinta edizione americana di Dale Purves, George J. Augustine, David Fitzpatrick, William C. Hall, Anthony-Samuel LaMantia, & Leonard E. White
Attachment Theory – Harlow’s study on monkeys: Food or Security
Konrad Lorenz – Science of Animal Behavior (1975)


Silvia Merciadri Autrice presso La Mente Pensante Magazine
Dott.ssa Silvia Merciadri
Dott.ssa in Scienze e Tecniche Psicologiche | Articolista | Docente di Storytelling
Bio | Articoli
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