
L’importanza della followership nel contesto aziendale
Fondamenti e modelli teorici della followership nell’organizzazione aziendale
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Se si pensa al concetto di organizzazione aziendale una delle figure che subito salta alla mente è quella del leader. In molte realtà questa figura viene chiamata, erroneamente, con altri nomi: boss, capo, titolare.
Eppure, come dice Collinson (2006) in ogni organizzazione si contano molti più follower che leader e anche coloro che ricoprono le posizioni più alte devono rispondere a qualcuno, e dunque rivestire il ruolo di follower.
Cosa significa follower? Questo termine al giorno d’oggi viene utilizzato in modo molto superficiale, associato perlopiù al mondo dei social media.
Il numero di follower in qualche modo sembra rispecchiare, nell’immaginario comune, una forma di approvazione sociale e di successo. Ma in realtà questa parola nasconde un concetto molto più profondo, meritevole di una particolare attenzione.
Si potrebbe confondere i termini “follower” e “followership” e associarli a immagini svalutanti di passività, mancanza di iniziativa, assenza di creatività e inettitudine (Alcorn, 1992).
L’analisi Shamir (2007) su questo tema suddivide la letteratura sulla leadership in cinque categorie di studi a seconda del ruolo assegnato ai follower:
- destinatari dell’influenza del leader;
- moderatori dell’impatto del leader;
- sostituti della leadership;
- costruttori della leadership;
- follower come leader.
Secondo Shamir, le teorie classificate nei primi tre gruppi manterrebbero una prospettiva “leader-centrica”, quelle del quarto gruppo adotterebbero invece un’ottica “follower-centrica”, tutte però con una chiara separazione tra il ruolo di leader e quello di follower.
Il modello di classificazione descrittiva di followership di Kelley
Con l’intento di elaborare una classificazione descrittiva dei comportamenti di followership sono emersi molti modelli.
Uno dei modelli che ha assunto affidabilità è il modello di Kelley.
Egli propone che i comportamenti di collaborazione possano declinarsi lungo due diverse dimensioni, una più legata al pensiero e l’altra all’azione.
La prima dimensione è rappresentata dal continuum Independent/Dependent Critical Thinking (indipendenza/dipendenza di pensiero – ICT): i “pensatori indipendenti” tendono all’innovazione e al pensiero costruttivamente critico, sono desiderosi di portare il proprio originale contributo alle attività; al contrario, i “pensatori dipendenti” aderiscono ordinatamente alle procedure e ai manuali, accettano le idee del leader senza verificarle attraverso un pensiero personale e dunque con scarsa autonomia.
La seconda dimensione è rappresentata dal continuum Active/Passive Engagement (attività/passività nel coinvolgimento – AE): l’individuo collocato sul polo dell’attività è pronto ad assumersi una responsabilità rispetto al lavoro, prende l’iniziativa nella soluzione di problemi, partecipa attivamente facendo più del dovuto; il collaboratore posizionato sul polo della passività appare ritirato rispetto alle interazioni sociali e scarsamente motivato a cimentarsi in nuovi compiti, limitando l’esecuzione del lavoro allo stretto necessario.
A partire dalla combinazione di queste due dimensioni, Kelley (1992) individua cinque possibili profili di followership.
1. Follower passivo (basso ICT e basso AE): il profilo è quello di un collaboratore che manca di pensiero critico e di iniziativa, richiedendo che sia il leader a pensare e fornire spinta e direzione.
2. Follower alienato (alto ICT e basso AE): è passivo e poco motivato a ricoprire il proprio ruolo, benché indipendente e critico nelle modalità di pensiero. È capace ma tende a esprimere una grande carica di energia negativa e di cinismo che gli impedisce di essere coinvolto (Kelley, 1988).
3. Follower conformista (basso ICT e alto AE): è un collaboratore attivo e coinvolto ma dipendente dall’autorità per ricevere la linea di pensiero, la direzione e la visione. Rappresenta il prototipo dello yes-man organizzativo, impegnato a eseguire in modo sollecito (e a volte deferente e servile) ciò che gli viene richiesto.
4. Follower pragmatico (medio ICT e medio AE): è in grado di modificare il proprio comportamento e stile di followership per adattarsi al meglio a ogni circostanza. Sia in positivo che in negativo può assumere caratteristiche proprie delle altre categorie.
5. Follower efficace (alto ICT e alto AE): definito anche star follower (Kelley, 2008), è indipendente e creativo, dotato di coraggio e forte senso dell’etica. Si impegna con passione e costanza, e frequentemente gode di stima e considerazione presso i colleghi come presso il capo. Grazie all’azione di questi follower anche il potere del leader viene equilibrato: il capo in questa relazione è un “sovrantendente” (overseer) del cambiamento, una persona capace di intravedere opportunità di sviluppo e progresso.
Il follower coraggioso e implicazioni pratiche nel contesto organizzativo
Un differente gruppo di studi si concentra sui «comportamenti ideali che i follower dovrebbero esibire piuttosto che su quelli che effettivamente mettono in atto» (Crossman e Crossman, 2011).
Si colloca all’interno di questo gruppo il contributo di Chaleff (1995), secondo cui la principale qualità soggettiva che un collaboratore deve possedere per essere in grado di agire una followership efficace è il coraggio. L’autore descrive cinque dimensioni nelle quali il coraggio espresso dal follower può declinarsi:
- il coraggio di fornire supporto al leader;
- il coraggio di assumersi la responsabilità per la meta condivisa;
- il coraggio di sfidare costruttivamente il leader, il gruppo e le politiche organizzative;
- il coraggio di partecipare a ogni trasformazione costruttiva;
- il coraggio di prendere una chiara posizione in senso morale quando indispensabile per mantenere un atteggiamento etico.
Alcune definizioni del concetto di followership che sembrano integrare tutti questi aspetti, sono «la followership è perciò l’accettazione di un’influenza da parte di un’altra persona senza che vi sia la sensazione di essere costretti, in vista di una meta comune» (Stech, 2008: ) o «la followership è l’abilità degli individui di seguire in modo proattivo e competente le istruzioni e supportare gli sforzi del loro superiore per raggiungere gli obiettivi organizzativi» (Agho, 2009).
Ci si potrebbe domandare a cosa serve studiare la followership e quale implicazioni possa avere nelle organizzazioni.
La formazione in tema di followership si connota infatti come la strada prediletta per sviluppare e promuovere comportamenti organizzativi efficaci, e si inserisce, come necessario contrappeso, in un quadro attuale caratterizzato da una sorta di “inflazione” di offerte formative in tema di leadership (Quaglino, 2004).
In questo senso, l’identificazione delle qualità proprie di una followership efficace rispetto a quelle proprie di una buona leadership, insieme alle competenze considerabili come sovrapposte tra i due costrutti, potrebbe consentire lo sviluppo di interventi formativi mirati a facilitare un’assunzione dinamica dei ruoli; ciò sarebbe di particolare importanza per quei lavoratori a cui, in quanto middle-manager, è costantemente richiesto di essere sia leader che follower efficaci (Latour e Rast, 2004).
Una conoscenza operativa della followership potrebbe aiutare i leader a identificare le aree di reciproca influenza con i collaboratori, favorendo così soddisfazione, coinvolgimento e cambiamento organizzativo.
Una maggiore focalizzazione degli interventi formativi sul tema della followership potrebbe inoltre far proseguire la riflessione sul rapporto che connette gli stili di apprendimento messi in atto dal follower con i comportamenti di leadership, distinguendo tra questi ultimi quelli che favoriscono o, viceversa, ostacolano l’apprendimento (Densten e Gray, 2001).
La comprensione degli stili di apprendimento dei follower avrebbe inoltre il vantaggio di rendere i leader capaci di andare oltre la semplice identificazione dello stile di coinvolgimento dei loro collaboratori. A sua volta, il supporto all’apprendimento dei follower potrebbe rendere meno probabile il verificarsi di situazioni di difficoltà nel caso in cui a questi venisse richiesto di modificare il proprio stile di collaborazione adattandolo a un nuovo stile di leadership (Hurwitz e Hurwitz, 2009).
Prof. Luca Filippo
Docente, Psicologo e Formatore
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