Il controllo illusorio
Alcune importanti riflessioni sui suoi limiti
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Dall’epoca dell’Umanesimo, sbocciato poi nel Rinascimento, l’uomo è tornato centrale e la “Provvidenza Divina” perse terreno fino ad essere messa definitivamente in crisi con l’inizio del periodo illuminista. Il pensiero di Descart costituì la base filosofica per il primato della razionalità che andò anche a rinforzare l’idea che l’uomo potesse avere un controllo reale sul proprio ambiente interno ed esterno.
Anche se con il “principio di indeterminazione ” di Heisenberg, la fisica quantistica e la psicoanalisi questa convinzione fu fortemente messa in crisi, la nostra società Occidentale tuttora si basa sull’idea di poter controllare il proprio Io e di poter direzionare a proprio piacimento la propria vita. Nel campo scientifico, per esempio, la manipolazione genetica conferma totalmente questa convinzione e questo senso di onnipotenza ed anche nel campo delle scienze umanistiche tutti i corsi di coaching e la maggior parte dei nuovi guru new age, puntano ad affermare e rinforzare questa impostazione mentale. Mi chiedo però, a parte qualche rara eccezione, se l’esperienza reale possa confermare questa idea ed in questo articolo esporrò la mia particolare posizione sul tema.
Nota: Per esigenze editoriali il presente articolo è stato diviso in due parti. La seconda parte sarà pubblicata il mese prossimo. I numeri fra parentesi che trovate durante il testo fanno riferimento alle note inserite in fondo all’articolo.
L’individualismo
“Volere è potere “, che era il titolo di un libro didascalico di Michele Lessona ;(1) è diventato un detto tuttora presente nella nostra lingua che ben rappresenta questa credenza tutta Occidentale di poter raggiungere solo con le proprie forze qualsiasi traguardo. Secondo il mio parere questa fiducia nel potere dell’Io ha anche in parte contribuito alla costruzione e alla sedimentazione dell’individualismo tipico delle nostre società in quanto la possibilità di poter raggiungere degli obiettivi con la sola forza di volontà del proprio Io ha indebolito il far affidamento sulla rete di relazioni, sull’aiuto degli altri che secondo quest’ottica egocentrata, molto spesso, vengono percepiti come potenziali concorrenti o addirittura nemici e non come una risorsa importante. Questo individualismo spinto, derivante in particolare dalla cultura nord americana, ha poi innestato a livello globale una crescita a dismisura del proprio Ego il cui ideale simbolico è rappresentato dall’uomo “tutto d’un pezzo che si è fatto da solo ” (2).
La reazione
Sicuramente questo primato della ragione si sviluppò come reazione alla credenza religiosa che tutto il reale scaturiva dalla “volontà di Dio” che spesso però veniva usata come legittimazione per azioni non proprio morali sia dall’apparato clericale che secolare. Questo rigurgito, che ebbe la sua massiccia spinta iniziale a partire dal periodo illuminista, ai giorni nostri è arrivata a decretare quel totale distacco dalla dimensione divina e non duale dell’essere umano e a mio avviso, come si usa dire, si è “gettato il bambino con l’acqua sporca “. Questo focalizzazione totale sulle potenzialità dell’uomo ha distanziato fortemente l’essere umano dal suo contesto naturale (che va dominato e non rispettato) ed è andato a rimarcare ancor più profondamente la concezione duale biblica/aristotelica della realtà (male/bene, buoni/cattivi, amici/nemici, soggetto/oggetto, ecc.), ma questo argomento verrà ripreso negli ultimi paragrafi della nella seconda parte di questo articolo.
Il declino del super-io
Negli ultimi decenni si è verificato a livello sociale una seconda reazione non più ai dogmi e comandamenti della religione ma al Super-Io freudiano che rappresentava tutte le ingiunzioni, obblighi e valori etico-morali legati alla società di appartenenza e mediato dalla propria famiglia di origine ed ora, più che perseguire una certa disciplina interiore, si anela alla perdita del controllo che troppo spesso degenera nel lasciarsi andare agli istinti più bassi. Così nel “migliore ” dei casi si arriva all’uso smodato di droghe ed alcool e nel peggiore alla violenza gratuita ed ingiustificata ed allo stupro.
Per riuscire a rispettare dei principi morali ed etici molto spesso si deve quindi passare attraverso uno sforzo di volontà per non cadere in pensieri, parole ed azioni negative e in molti casi si tratta di andare proprio contro i propri desideri la qual cosa richiede un grosso dispendio di energia ed una volontà ferrea. D’altra parte se cerchiamo di controllarci in maniera rigida molto spesso non riusciamo ad ottenere nulla tranne l’aumento dell’ansia, dello stress, e del senso di costrizione e in casi estremi l’andare contro un desiderio, senza che venga integrato nella coscienza o sublimato, lo fa rimanere attivo in maniera latente e la sua energia troverà altre uscite per manifestarsi ed a volte queste vie si trasformano in sintomi somatici. Siamo quindi di fronte ad un doppio vincolo perché apparentemente qualsiasi via scegliamo rischiamo di creare danni a noi o agli altri.
I limiti del controllo
Anche se come già ho affermato tutte le scienze umanistiche e quelle cosiddette “forti”propendono per il primato dell’Io, quanto veramente siamo padroni della nostra vita?
Siamo ben consapevoli che tutte le funzioni fisiologiche procedono per conto loro: il cuore batte senza la nostra volontà, così come il sangue fluisce autonomamente e così tutti gli organi interni lavorano da soli. Il sonno arriva senza avvisarci, ed ugualmente la fame; la sessualità varia a seconda del funzionamento degli ormoni che “decidono” se attivare o meno in noi il desiderio sessuale, anche se siamo fermamente convinti di essere noi a gestire le relazioni sessuali Papadopoulos 2013).
Si potrebbe a questo punto obiettare che ovviamente l’Io non gestisce le funzioni fisiologiche e biologiche ma solamente quelle mentali. Ma se andiamo ad analizzare proprio tali funzioni mentali ci accorgeremmo di quanto sia limitato anche il controllo sulla nostra mente: in ogni attimo, in maniera costante e continua, arrivano alla nostra mente immagini, parole, suoni, pensieri di ogni genere, sia di natura conscia che inconscia che a volte non sono traducibili in significati compiuti (3). Nella fase del pre-sonno questo chiacchiericcio mentale assume configurazioni simboliche ancor più astruse e confuse. Se proviamo poi ad imporci di non avere più pensieri, non potremmo far altro che constatare che la nostra mente non risponde, non è in grado di interromperli, anzi il suo flusso può aumentare parossisticamente e l’unico effetto che si riuscirà a raggiungere è che si avrà l’aggiunta di un nuovo pensiero: “Non devo avere pensieri “…
I pregiudizi di base
Un altro esempio che evidenzia la mancanza del controllo mentale é costituito dal mantenimento di credenze non funzionali al nostro benessere, infatti, per quale motivo manteniamo quelle credenze, pregiudizi di base ed atteggiamenti che sappiamo essere generatori di incongruenze e difficoltà nella nostra vita? Fin da piccoli, quello che crediamo essere il nostro Io, é letteralmente intasato dai pensieri e dalle credenze dei nostri genitori, a cui poi si aggiungono le convinzioni dei vari educatori, del gruppo dei pari ed infine dei valori della società di appartenenza (Harré 1986).
Tutto quanto scritto fino ad ora può essere verificato da ognuno di noi e ci fa comprendere chiaramente quanto poco controllo abbiamo sulla nostra presunta “mente razionale “, ma continuiamo a comportarci come se questo problema non esistesse.
Sappiamo inoltre che la semplice conoscenza di questi pregiudizi di base, convinzioni erronee, credenze limitanti, anche se costituisce un passo importante verso la loro risoluzione, non basta ad annullare la loro potenza ed influenza sul nostra vita e così rimaniamo in balia di vecchie abitudini mentali che continuano a controllare la nostra vita. Ed a questo punto sorge spontanea la domanda: “Chi sta decidendo di non lasciarle andare?
Il nostro Io si configura quindi come co-costruito e pare non possedere una sua natura sostanziale, argomento questo che ci porterebbe su altri lidi, ma di fatto non siamo in grado di stabilire quali pensieri e desideri siano “nostri ” e quali mediati da altri (Papadopoulos 2014).
Conclusioni
Molte lettrici e lettori non riconosceranno o non potranno accettare però che il proprio Io sia effimero e che in realtà si configura come un Io condiviso perché l’esperienza quotidiana apparentemente conferma l’esistenza costante e permanente di un Io individuale. Questa apparenza di sostanzialità si basa però su di un errato presupposto, ovvero che i fenomeni siano “realmente ” basati sulla dualità. Riprenderemo questo punto al termine della seconda parte dell’articolo, mentre ciò che voglio evidenziare qui è che l’esperienza diretta ci porta a confermare senza ombra di dubbio che non abbiamo alcun controllo sul flusso continuo dei nostri pensieri che spontaneamente si affacciano alla nostra mente che appunto identifichiamo erroneamente come il nostro Io. Questo aspetto va quindi a minare proprio alla base il nucleo della nostra “cabina di comando ” e torna qui la stessa domanda posta più sopra: “Se non è l’Io a comandare, chi è che sta comandando? ” E si potrebbe anche aggiungere: “Sta comandando cosa? ”
Nella seconda parte di questo articolo, si approfondirà il funzionamento della mente reattiva e si risponderà in parte a questi quesiti; si riprenderà il tema della dicotomia controllo-lasciar andare ed infine si concluderà con una proposta di una terza via nel tentativo di far quadrare il cerchio.
Articoli Correlati
L’illusione del controllo: verso una resa del sé, Dott. I. Papadopoulos – Novembre, 2023
Note
(1) Michele Lessona. Nel 1869, pubblicò il libro Volere è potere, libro didascalico scritto sulla falsariga di un altro libro, quello del britannico Samuel Smiles, edito per la prima volta in lingua inglese nel 1865 e tradot-to in diverse lingue, tra cui l’italiano.https://it.wikipedia.org/wiki/Volere_%C3%A8_potere
(2) Questo ideale simbolico, a cui la maggioranza degli individui si attiene, di fatto, anziché portare giovamen-to, spensieratezza e sicurezza, produce nella maggior parte dei casi un enorme stress emotivo perché conti-nuamente si deve rincorrere un qualcosa di molto difficile da raggiungere e soprattutto da mantenere co-stante nel tempo.
(3) Ci sono diverse ricerche sul numero dei pensieri che gli esseri umani hanno in un giorno secondo cui van-no dai 6.200 ai 70.00. Essendo il divario troppo grande non darò nessun riferimento di queste ricerche.
(4) Per ovvii motivi di spazio non parlerò delle ansie e delle fobie che sono totalmente al di fuori del controllo della mente.
Bibliografia
Harré R., The social construction of emotions, Basil Blackwell, London 1986.
Papadopoulos I., I meccanismi di innamoramento, Edizioni Terre sommerse, Roma 2013.
Papadopoulos I., La teoria generale dei pregiudizi di base, Armando Editore, Roma 2014
Dott. Ivo Papadopoulos
Psicologo Clinico | Sociologo
Bio | Articoli | Intervista Scrittori Pensanti | AIIP Novembre 2023
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