Connessioni invisibili: il profondo impatto delle emozioni sulla nostra salute
Come l’elaborazione emotiva incide sul benessere del corpo
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Le emozioni hanno effetti e sostengono il nostro sviluppo poiché in grado di fornire informazioni sulla propria identità, sui propri bisogni personali e sulle azioni necessarie a soddisfare tali bisogni.
Cosa sono le emozioni? Possiamo intenderle come risposte innate ad uno stimolo, che guidano le nostre azioni, i nostri comportamenti e ci identificano nel mondo.
L’origine delle emozioni risale all’evoluzione della specie umana e da sempre ci hanno guidato verso la sopravvivenza: sin dalla più tenera età tendiamo all’espressione delle emozioni con lo scopo evolutivo di tenere il proprio caregiver vicino e potergli comunicare i propri bisogni. Perché ogni emozione esprime un bisogno e, perciò, ogni emozione ha una sua utilità.
Dunque, quale utilità potrebbero avere quelle emozioni considerate, ingenuamente, come “negative “?
Rabbia, paura, tristezza sono emozioni che ci danno dei messaggi importanti e la loro espressione esterna, laddove un disagio è presente, risulta benefica per l’organismo: la rabbia può darci la forza di reagire di fronte un ostacolo e porre rimedio a un’ingiustizia; la tristezza ci spinge a cercare appoggio e contatto; la paura ci spinge a occuparci di un pericolo o a fuggire.
Le emozioni “negative” hanno effetti sulla nostra salute?
Possiamo, da questa riflessione, considerare come tale vasta gamma di emozioni sia forma essenziale di conoscenza su cui fondare la propria vita e che un’emozione possa diventare “negativa ” non per il suo contenuto, ma quando è insufficientemente elaborata.
Ciò vuol dire che ad influenzare il nostro benessere e la nostra salute non siano le emozioni stesse, ma il modo in cui le reagiamo e le elaboriamo quando proviamo qualcosa: quando emergono in forma violenta, aggressiva e distruttiva o, al contrario, quando vengono negate, dissociate, confinate in un’area isolata della mente.
In quest’ultimo caso, la difficoltà nell’identificare, nel descrivere i sentimenti ad altre persone e nel riuscire a distinguerli da sensazioni corporee è tipica dell’alessitimia: un costrutto complesso, derivante un deficit della regolazione affettiva, che comprende un ampio spettro di condizioni cliniche.
Si è dimostrato, infatti, come l’alessitimia sia associata ad un’ampia gamma di disturbi medici, psichiatrici e ad alcune malattie somatiche, come l’ipertensione e diversi disturbi dell’apparato gastrointestinale.
Nei soggetti con un’espressione emotiva estrema, in particolar modo dell’aggressività, si è riscontrato un aumento del rischio di patologie cardiache a causa dei livelli notevolmente alti del cortisolo, l’ormone dello stress.
Diversi studi hanno potuto osservare come persone che manifestano un’espressione emotiva inadeguata siano più predisposti alla formazione di tumori e allo sviluppo di problemi nella funzione immunitaria.
La regolazione affettiva ed il ruolo del caregiver
La “bontà ” dell’emozione dipende dalla nostra abilità di elaborazione: conoscerla, comprenderla, riconoscerla a livello consapevole.
E’ un processo non scontato, complesso e che si articola sin dai primi mesi di vita.
Sviluppare una buona competenza emotiva svolge un ruolo fondamentale nella crescita sana dell’individuo ed è un’abilità sensibilmente influenzata dalla capacità dell’adulto di sintonizzarsi a livello affettivo con il bambino, di essere attento ai suoi bisogni, di fornirgli protezione e senso di sicurezza quando il piccolo ne ha bisogno.
La regolazione affettiva del bambino è il principale compito di ogni genitore: una buona connessione tra caregiver e bambino, sviluppare quello che viene definito come “attaccamento sicuro “, permette all’infante di sviluppare ed organizzare la propria vita mentale accrescendone l’intelligenza emotiva.
Quando questo non accade, quando il bambino non è supportato e regolato nel suo sviluppo psicologico ed emotivo, vi è elevata probabilità che questo sia incapace di regolare l’intensità delle proprie emozioni una volta che queste si attivano.
Tale disregolazione, nel futuro, s’insidierà come modo disfunzionale di vita dell’adulto, il quale vivrà in balia del proprio stato emotivo discontrollato e che si tradurrà in altrettanti comportamenti disregolati pericolosi anche per la vita stessa (dipendenze da alcol e sostante; disturbi alimentari; depressione; disturbi relazionali ecc…).
Elaborare le emozioni significa regolare il corpo
Il sintomo somatico, il problema che trova l’espressione nel corpo, si presenta nella misura in cui non è stato possibile prenderlo abbastanza “in considerazione ” mentalmente.
Gran parte della ricerca contemporanea su emozioni e salute sottolinea il ruolo dell’espressione dell’emozione. A tal proposito, diversi studi hanno confermato l’importanza fondamentale, più che dell’espressione, di un’efficace elaborazione che riesca ad integrare fatti, pensieri ed emozioni all’interno di una narrazione.
James Pennebaker, psicologo sociale dell’Università del Texas, si è occupato di valutare a quali operazioni mentali siano collegati i benefici sul piano di vista della salute che si ottengono attraverso una buona attività referenziale, misura dell’elaborazione delle emozioni.
Nelle sue ricerche Pennebaker ha esposto come un buon numero di parole, esprimenti un’elaborazione cognitiva, usate per mettere per iscritto le proprie esperienze significative sia associato ad uno stato di salute più positivo.
In quest’ottica il linguaggio è azione, un meccanismo potente considerato anche da diverse teorie psicoanalitiche che pongono l’accento su come l’elaborazione linguistica permetta la traduzione di un materiale emotivo più “grezzo ” e corporeo, verso uno più articolato, sequenziale e verbale.
La tecnica di scrittura per l’elaborazione degli eventi traumatici
L’idea di promuovere un’elaborazione per iscritto delle memorie traumatiche, traducendo le parole in emozioni, nasce dalla constatazione che tali memorie taciute abbiano un effetto nocivo sulla salute del paziente. In particolare, la tendenza a non parlarne delle proprie esperienze traumatiche rappresenta uno sforzo stressante per l’organismo, aumentando il rischio d’insorgenza di una malattia.
L’obiettivo di questa tecnica, ideata e promossa da Pennebaker, sarebbe dunque quello di trasformare per iscritto un’esperienza significativa così che la persona abbia la possibilità di rifletterci, darne un significato, un ordine sequenziale e poterla integrare all’interno della rete dei suoi ricordi di vita. La tecnica di Pennebaker permette perciò di ridurre quella condizione stressante legata al tentativo di mantenere l’evento traumatico al di fuori della coscienza.
Pennebaker rileva come, una volta che la storia dell’evento traumatico viene raccontato più volte, la mente va ad affaticarsi sempre di meno per dare all’accaduto una struttura ed un significato. Conseguentemente il racconto s’impoverisce di dettagli superficiali, facendosi breve. La storia diventa compatta e coerente, con maggior probabilità che questa possa venire “archiviata ” nella memoria.
Di conseguenza avviene un cambiamento di prospettiva che si traduce con una variazione dei pronomi personali, passando da quelli in prima persona singolare, associati ad un peggiore stato di salute, a quelli di altro tipo ( “lui/lei “, “noi “, “voi ” ecc.).
Pennebaker condusse diverse ricerche sugli effetti di questa tecnica e dai risultati emergono notevoli effetti positivi sulla salute psicofisica dell’individuo, sul sistema immunitario e sul tono dell’umore, e miglioramenti relativi anche alla sfera relazionale, lavorativa ed accademica.
La straordinarietà di questa tecnica sta soprattutto nella sua facile applicazione. D’altronde, come cita Pennebaker stesso:
Scrivere è molto facile, basta un po’ di tempo e un posto tranquillo. Anche qualcosa di così semplice, che l’uomo fa da millenni, può generare un cambiamento e agire positivamente sulla salute.
Bibliografia
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Dott.ssa Eleonora Scancamarra
Psicologa Clinica
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