
La figura paterna simbolo del conflitto interiore
Da Franz Kafka ai moderni cantautori
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Fare il genitore è un compito di immensa importanza. Se non viene svolto nel modo giusto, può condizionare una persona a vita. Il padre è spesso una figura autoritaria, ingombrante, che implica conseguenze sul figlio. Il rapporto con il padre può generare ferite emotive che accompagnano un individuo per tutta la vita. Quella del padre è una figura che nella nostra cultura occidentale ha incarnato per lungo tempo l’archetipo, estremamente pericoloso, del “comando” e della norma, più che della figura affettiva.
La figura del padre come metafora del conflitto
Attraverso il rapporto con il genitore, tantissimi scrittori hanno raccontato il dramma di essere tormentati dalla paura, a volte anche dall’abuso, oppure dal peso della discendenza. Soprattutto i primogeniti maschi portano sulle spalle il peso della continuità del sangue, come Amleto nell’omonima tragedia shakesperiana che deve vendicare il padre ucciso, apparsogli sottoforma di fantasma. Anche Zeno Cosini de La coscienza di Zeno di Italo Svevo vive con il padre un conflitto enorme: il padre di Zeno è il simbolo dell’ordine borghese cui egli è chiamato ad obbedire, ma verso il quale si sente profondamente inadeguato. È foriero di una legge morale verso la quale Zeno oscilla continuamente tra obbedienza e ribellione. Addirittura, Zeno arriva a ricevere quasi uno schiaffo dal padre sul letto di morte, non si spiega se sia stato un riflesso involontario, ma è da lui visto che l’atto finale di quel rapporto così nevrotico.
Egli mi guardava con occhi spalancati, ed io gli tenevo la mano. All’improvviso sollevò il braccio e lo lasciò cadere sopra di me con un colpo leggero ma secco, come uno schiaffo.
Tale rapporto è l’incarnazione di un conflitto interiore fortissimo, avendo conseguenze invalidanti o comunque molto forti sulla persona.
Su queste conseguenze una delle più illustri testimonianze in letteratura è Lettera al padre di Franz Kafka. Mentre anche i cantautori italiano hanno analizzato spesso i rapporti con il genitore. Da un lato canzoni autobiografiche come lo è la lettera di Kafka, come Caro Babbo di Marco Masini o Lettera a mio padre di Ermal Meta. Dall’altro la famosissima canzone di Mia Martini Padre Davvero, che però non era dedicata al padre di lei.
Franz Kafka e il timore del padre
Carissimo padre, di recente mi hai domandato perché mai sostengo di aver paura di te. Come al solito, non ho saputo risponderti niente, in parte proprio per la paura che ho di te, in parte perché questa paura si fonda su una quantità tale di dettagli che parlando non saprei coordinarli neppure passabilmente. E se anche tento di risponderti per iscritto, il mio tentativo sarà necessariamente assai incompleto, sia perché anche nello scrivere mi sono d’ostacolo la paura che ho di te e le conseguenze, sia perché la vastità del materiale supera di gran lunga la mia memoria e il mio intelletto. – Incipit di Lettera al padre, Franz Kafka
Immediatamente Kafka inizia la sua lettera ponendo al centro il sentimento principale che lo lega al padre: la paura. Nel corso della lettera, mostra questa profonda paura che ha nei suoi confronti, ma anche la stima che la genera. Infatti, l’enorme considerazione che ha del padre ed il timore di deluderlo lo tormentano. Ma si tratta anche di una figura profondamente autoritaria che per lui diventa un tormento. Kafka riconosce i propri torti: non ha mandato avanti l’attività commerciale della famiglia e in generale è stato molto assente. Tuttavia, di contro non ha mai ricevuto affetto dal padre e per questo nella sua vita si è sempre sentito inadeguato, sia caratterialmente che fisicamente. Non si è sentito compreso nelle sue fragilità soprattutto fisiche e giudica eccessivamente severe certe sue posizioni. Non si limita, tuttavia, a definire il rapporto concreto con suo padre, bensì a manifestare un conflitto che è quasi metafisico. Come accade nel suo romanzo incompiuto Il processo, dove il protagonista è schiacciato dalla legge severissima e paradossale che non concede nessuna spiegazione, così anche il padre rappresenta la Legge in senso kafkiano, qualcosa di inspiegabile ma che influenza tremendamente le nostre vite.
Padre Davvero di Mia Martini
Padre Davvero non è stata scritta da Mia Martini, quindi non si riferisce a suo padre. Infatti, il testo è stato scritto da Antonello De Sanctis. Tuttavia, quando l’ha sentita la prima volta, la cantautrice italiana avrebbe affermato che le ricordava moltissimo la sua vera vicenda, dicendo:”nella canzone ‘Padre davvero’ c’è anche mio padre”. Loredana Berté ha spesso raccontato che il loro padre aveva picchiato sia la mamma sia le sorelle, quindi la situazione descritta non è solamente conflittuale, ma estremamente controversa in quanto coinvolge il tema dell’abuso. La canzone fu comunque il primo grande successo di Mimì, anche se fu soggetta alla censura per le tematiche affrontate. Il grande disprezzo del brano mostra un distacco tanto desiderato dalla figura paterna.
Ora che sono mezza inguaiata
E che ho deluso le tue speranze
Vieni di corsa, mi hanno avvisata
Per dirmi in faccia le tue sentenze
Padre, davvero lo vuoi sapere
Se tu non vieni mi fai un piacere
Mi avevi dato per cominciare
Tanti consigli per il mio bene
Quella è la porta, è ora di andare
Con la tua santa benedizione.
Caro Babbo di Marco Masini
Altra canzone autobiografica in riferimento al padre è Caro Babbo di Marco Masini. In questo brano, Masini racconta di un uomo che si è comportato come un vero padre durante l’infanzia, che era come il suo eroe. Tuttavia, dopo è cambiato. La frase più emblematica di questa canzone è quella in riferimento al sangue in comune. I contrasti con i genitori, differentemente da quelli con le altre persone, implicano il peso di diversi sentire come parte di quella persona, possedendo il suo sangue. È un destino che tocca chiunque abbia problemi con la propria figura paterna. A differenza degli altri testi che abbiamo esaminato, in questo caso c’è ancora spazio per l’affetto: proprio poiché si tratta del padre, è difficile smettere di volergli bene.
E ho portato come un lutto il tuo sangue nelle vene
Ma il mio cuore per dispetto ti voleva ancora bene
E ora babbo te lo scrivo come quando ero bambino
Come quando per trovarci giocavamo a nascondino.
Lettera a mio padre di Ermal Meta
Canzone più recente, Lettera a mio padre di Ermal Meta descrive con immensa durezza il disprezzo verso un padre che si è macchiato di una colpa ben più grave della mancanza di affetto. Il padre di Ermal Meta ha picchiato la moglie ed anche il figlio, generando naturalmente non pochi traumi nel ragazzo. Ovviamente viene quindi descritto come una bestia e ancora una volta ricorre il tema della comunità di sangue (non è mai semplice accettare di riconoscerti tra le mie rughe che assomigliano sempre di più alle tue. E questo sangue che sa un po’ di mostro e anche un po’ di me).
Tuttavia, ed è il motivo per cui questo brano si trova in chiusura di questo articolo, Ermal Meta a differenza degli altri scrittori ci pone davanti una soluzione: andare avanti con la vita e fare di questa sofferenza un modo per andare avanti.
Ogni male è un bene quando serve
Ho imparato anche a incassare bene
Sono stato fuori tutto il tempo
Fuori da me stesso e dentro il mondo
Non c’è più paura
Non c’è niente
Quello che era gigante oggi non si vede
Sulla schiena trovi cicatrici
E lì che ci attacchi le ali.
Nella canzone successiva Vietato morire, poi, all’abuso e alla sofferenza che deriva dal rapporto con il padre viene opposta proprio quella disobbedienza che è l’antitesi perfetta per fronteggiare la figura paterna quando è negativa, in quanto ne disgrega l’obbligo all’obbedienza che deriva dall’archetipo autoritario.
Ricorda di disobbedire, perché è vietato morire.
Prof.ssa Silvia Argento
Docente e scrittrice
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